del Venerabile Ajahn Sumedo
– Nona parte
LA QUARTA NOBILE VERITÀ’
Qual è la Nobile Verità del Sentiero che conduce alla Cessazione del
Dolore? E’ il Nobile Ottuplice Sentiero e cioè: Retta Comprensione, Retta
Aspirazione, Retta Parola,
Retta Azione, Retti Mezzi di Sostentamento, Retto Sforzo,
Retta Presenza Mentale, Retta Concentrazione.
C’è la Nobile Verità del Sentiero che conduce alla cessazione
del Dolore: questa fu la visione, l’intuizione, la saggezza, la conoscenza
e la chiarezza che sorsero in me su cose mai udite prima…
Tale Nobile Verità deve essere penetrata coltivando il Sentiero…
Tale Nobile Verità è stata penetrata coltivando il Sentiero: fu questa la
visione, l’intuizione, la saggezza, la conoscenza e la chiarezza che
sorsero in me su cose mai udite prima.
La Quarta Nobile Verità ha tre aspetti come le prime tre Verità. Il primo
aspetto è: ‘C’è l’Ottuplice Sentiero, Yatthangika magga – la via d’uscita
dalla sofferenza’, anche chiamato* ariya magga, il Nobile Sentiero. Il
secondo aspetto è: ‘Bisogna sviluppare questo Sentiero’. L’intuizione
finale che porta alla Liberazione è: ‘Questo Sentiero è stato completamente
sviluppato’.
L’Ottuplice Sentiero si presenta in sequenza: comincia dalla Retta (o
perfetta) Comprensione, samma ditthi, a cui delle cose perché sono le
cose giuste da fare in quel momento e in quel luogo, non per ambizione
personale o per paura del fallimento.
Il sentiero che porta alla cessazione della sofferenza, è il sentiero della
perfezione. La perfezione può essere una sensazione temibile, poiché ci
sentiamo molto imperfetti. Come entità personali, ci chiediamo come osiamo
addirittura pensare alla possibilità di essere perfetti. Nessuno osa
parlare della perfezione umana; non si pensa che possa esistere la
perfezione quando ci si riferisce all’umanità. Eppure un arahant è un
essere umano che ha perfezionato la vita, qualcuno che ha imparato tutto
ciò che doveva essere appreso, avendo compreso la legge che “tutto ciò che
è soggetto a nascere è anche soggetto a cessare”. Un arahant non è tenuto a
sapere tutto di tutto: basta che conosca e comprenda appieno questa sola
legge.
Usiamo la saggezza del Buddha per contemplare il Dhamma, il modo in cui le
cose sono. Prendiamo rifugio nel Sangha, in quelli che agiscono bene e si
astengono dal fare il male. Il Sangha è una cosa sola, una comunità; non è
un gruppo di individui diversi con caratteristiche differenti. Per noi
monaci non ha più importanza essere un individuo, un uomo od una donna.
Questo senso di completezza del Sangha è uno dei Rifugi. C’è una unità per
cui, anche se le manifestazioni sono individuali, la realizzazione è la
stessa. Quando siamo attenti, vigilanti e non più avidi, realizziamo la
cessazione e ci rifugiamo nella vacuità dove tutto si fonde; non vi sono
più persone lì. Si può sorgere e cessare nella vacuità, ma non c’è alcuna
persona. Vi è solo chiarezza, consapevolezza, pace e purezza.
segue la Retta (o perfetta) Intenzione o Aspirazione, samma
sankappa; questi due primi elementi del Sentiero sono conosciuti come
Saggezza (panna). L’impegno morale (sila) ha la sua sorgente in panna e
comprende Retta Parola, Retta Azione e Retti Mezzi di Sostentamento – che
possono essere detti anche Perfetta Parola, Perfetta Azione e Perfetti
Mezzi di Sostentamento, samma vaca, samma kammanta e samma ajjiva.
Poi c’è il Retto Sforzo, la Retta Consapevolezza e la Retta
Concentrazione, samma vayama, samma sati
e samma samadhi, che derivano direttamente da sila. Questi ultimi tre
ci danno un equilibrio emotivo; riguardano il cuore, il cuore che si libera
dall’idea di un sé e dall’egocentrismo. Con Retto Sforzo, Retta
Consapevolezza e Retta Concentrazione il cuore si purifica e la mente sii
purifica. La Saggezza (panna), o Retta Comprensione e Rletn Aspirazione,
viene dal cuore purificato. E questo ci riporttaal punto d’inizio.
Gli elementi dell’Ottuplice Sentiero, raggruppati in tre sezioni, sono:
1. Saggezza (panna)
Retta Comprensione (samma ditthi)
Retta Aspirazione (samma sankcapja)
2. Moralità (sila)
Retta Parola (samma vaca)
Retta Azione (samma kammanta)
Retti Mezzi di Sostentamento (samma ajiva)
3. Concentrazione (samadhi)
Retto Sforzo (samma vayama)
Retta Consapevolezza (samma sati)
Retta Concentrazione (samma samadhi)
Il fatto che li si metta in ordine in questa maniera non vuol dire che essi
seguano effettivamente una via lineare, una sequenza: in realtà sorgono
tutti insieme. Anche se parlando dell’Ottuplice Sentiero diciamo “prima
c’è la Retta Comprensione, poi la Retta Aspirazione, poi…”, in effetti
questa formulazione semplicemente ci insegna a riflettere sull’importanza
di assumersi la responsabilità di ciò che diciamo e facciamo nella vita.
RETTA COMPRENSIONE
Il primo elemento dell’Ottuplice Sentiero è la Retta Comprensione, che
sorge dall’intuizione profonda delle prime tre Nobili Verità. Questa
intuizione vi dà una perfetta comprensione del Dhamma, cioè la comprensione
che ‘tutto ciò che è soggetto alla nascita è anche soggetto alla morte’. E’
semplicissimo! Non vi sarà difficile capire, razionalmente almeno, che
‘tutto ciò che è soggetto a nascere è anche soggetto a morire’, ma per
molti di noi ci vuole parecchio tempo per capire ciò che queste parole
vogliono veramente dire, in modo profondo, non solo attraverso una
comprensione intellettuale.
L’intuizione è una conoscenza globale che non viene solo dalle idee, non ha
a che fare con ‘io penso di sapere’ o ‘mi sembra una cosa ragionevole e
sono d’accordo’, ‘mi piace questo modo di pensare’. Questo tipo di
comprensione viene dall’intelletto, mentre la conoscenza intuitiva è molto
più profonda. E’ una vera conoscenza, in cui non vi è posto per il dubbio.
Questa profonda comprensione nasce dalle precedenti nove intuizioni, per
cui vi è una sequenza che porta alla Retta Comprensione delle cose, così
come sono, e cioè: ‘Tutto ciò che è soggetto a nascere è anche soggetto a
morire ed è non-sé’. Con la Retta Comprensione avete smesso di illudervi
che esista un sé connesso alla condizione mortale. C’è ancora il corpo, ci
sono ancora i sentimenti e i pensieri, ma essi sono semplicemente ciò che
sono – non credete più di essere il vostro corpo, i vostri sentimenti o i
vostri pensieri. L’importante è tenere ben presente che ‘le cose sono ciò
che sono’. Non stiamo dicendo che le cose non sono niente o che non sono
ciò che sono. Sono esattamente ciò che sono e niente di più. Ma quando
siamo nell’ignoranza, quando non abbiamo ancora compreso queste verità,
tendiamo a credere che le cose siano più di ciò che sono. Crediamo a tutto
e ci creiamo un sacco di problemi sugli oggetti della nostra esperienza.
Gran parte dell’angoscia e della disperazione dell’umanità, nasce dalle
complicazioni che ci creiamo e queste, a loro volta, nascono dall’ignoranza
del momento presente. E’ triste vedere come la miseria e la disperazione
dell’umanità siano basate su un’illusione; infatti anche la disperazione è
priva di consistenza e di significato. Quando ve ne rendete conto,
cominciate a provare una grande compassione per tutti gli esseri viventi.
Come si può odiare o portare rancore o condannare qualcuno che è preso in
una tale trappola d’ignoranza? Le persone sono portate a fare le cose che
fanno dall’errata valutazione che danno alle cose stesse.
Man mano che procediamo con la meditazione, sperimentiamo una certa
tranquillità e la mente si calma. Quando guardiamo qualcosa, per esempio un
fiore, con mente tranquilla, lo vediamo esattamente come è. Quando non c’è
attaccamento – niente da ottenere o niente di cui liberarsi – e se ciò che
vediamo, udiamo o sperimentiamo con i sensi è bello, vuol dire che è
veramente bello. Non stiamo criticando, confrontando, cercando di
possedere; proviamo diletto e gioia nella bellezza intorno a noi, perché
non abbiamo bisogno di manovrarla o impossessarcene. E’ esattamente e solo
ciò che è.
La bellezza ci riporta con la mente alla purezza, alla verità, alla
beatitudine ultima. Non dobbiamo vederla come una fascinazione che ci può
ingannare. ‘Questi fiori sono qui solo per attirarmi con la loro bellezza e
poi ingannarmi’;
questo è un atteggiamento da meditatore arcigno! Quando guardiamo una
persona del sesso opposto con cuore puro,
ne apprezziamo la bellezza, senza il desiderio di venirne in contatto o
di possederla. Possiamo godere della bellezza della gente, sia uomini che
donne, quando non vi è un interesse egoistico o un desiderio. C’è solo
onestà: le cose sono come sono.
E’ questo ciò che intendiamo per liberazione, o vimutti in pali. Siamo
liberi dalle distorsioni che corrompono la bellezza intorno a noi, così
come i nostri stessi corpi. Eppure può capitare che la mente sia così
corrotta e negativa, così ossessionata, che non riesce più a veder le cose
così come sono. Se non abbiamo la Retta Comprensione, vediamo tutto
attraverso filtri e veli sempre più fitti.
La Retta Comprensione va sviluppata attraverso la riflessione, usando
l’insegnamento del Buddha. Il Dhamma-cakkappavattana Sutta è già di per
sé un interessante insegnamento da contemplare e da usare come base per la
riflessione. Possiamo considerare anche altri sutta tratti dal
Tipitaka, come quelli che espongono la dottrina dell’origine
condizionata (paticcasamuppada). E’ un argomento molto interessante su cui
riflettere! Se riuscite a contemplare questi insegnamenti, vedrete molto
chiaramente la differenza tra il vero modo di essere delle cose nel Dhamma
e il punto dove noi vi inseriamo la nostra illusione. Ecco perché dobbiamo
stabilizzarci nella consapevolezza cosciente delle cose così come sono. Se
c’è la conoscenza delle Quattro Nobili Verità c’è il Dhamma.
Con la Retta Comprensione tutto è visto come Dhamma; per esempio, siamo
seduti qui… Questo è Dhamma. Non pensiamo a questo corpo e mente come ad
un individuo con tutto il suo bagaglio di opinioni e idee, con i suoi
pensieri e reazioni condizionate, basate sull’ignoranza. Riflettiamo invece
su questo momento: ‘E’ come è. E’ Dhamma’. Portiamo la mente a comprendere
che questo corpo fisico è semplicemente Dhamma. Non è un sé, non è
personale.
E cerchiamo di vedere come Dhamma anche la sensibilità che ci viene dal
corpo, invece di prenderla come una cosa personale: ‘Sono sensibile’ o ‘non
sono sensibile’. ‘Non sei delicato nei miei riguardi’. ‘Chi è più
sensibile?’… ‘Perché proviamo dolore? Perché Dio ha creato il dolore?
Perché non ha creato soltanto il piacere? Perché c’è tanta miseria e
sofferenza nel mondo? Non è giusto! La gente muore e ci dobbiamo separare
da coloro che amiamo; è uno strazio terribile’.
Non vi è Dhamma in questo atteggiamento. E’ solo un punto di vista: ‘Povero
me. Non mi piace. Non voglio che vada in questo modo. Voglio felicità,
sicurezza, piacere e tutto il meglio di tutto. Non è giusto che io non ce
l’abbia. Non è giusto che i miei genitori non siano stati degli
arahant quando mi misero al mondo.
Non è giusto che non eleggano mai un arahant come
Primo Ministro! Se ci fosse veramente giustizia eleggerebbero un
arahant come Primo Ministro!
Enfatizzando questo senso di ‘non è giusto, non è corretto’ fino
all’esagerazione, cerco semplicemente di farvi capire come noi ci
aspettiamo che Dio crei tutto in funzione nostra e non pensi ad altro che a
renderci felici e sicuri. E’ ciò che spesso la gente pensa, anche se non lo
ammette apertamente. Ma quando riflettiamo, vediamo che ‘è come è. Il
dolore è così e anche il piacere è così. La consapevolezza è così’.
Quando nflettiamo, contempliamo la nostra stessa condizione umana così
com’è. Non la assumiamo più a livello personale né rimproveriamo gli altri
perché le cose non vanno come noi vorremmo o ci piacerebbe che fossero.
Sono come sono e noi siamo come siamo! Vi potreste chiedere perché non
siamo allora tutti uguali, con la stessa rabbia, con la stessa avidità, con
la stessa ignoranza, senza variazioni o differenze. Sebbene si possa
riportare l’esperienza umana a poche situazioni basilari , ognuno di noi ha
il proprio kamma con cui rapportarsi – le proprie ossessioni e tendenze,
che sono sempre diverse in quantità e qualità da quelle degli altri.
Perché non possiamo essere tutti uguali, avere tutto come gli altri ed
assomigliarci tutti? In un mondo siffatto, niente sarebbe scorretto, non ci
sarebbero differenze, tutto sarebbe assolutamente perfetto e non ci
sarebbero disparità di sorta. Ma quando riconosciamo il Dhamma, vediamo
che, nel regno condizionato in cui siamo, neanche due cose possono essere
identiche. Anzi, sono molto differenti, infinitamente variabili e
cangianti, e più cerchiamo di renderle conformi alle nostre idee, più ne
rimaniamo frustrati. Anche se cerchiamo di creare degli esseri e una
società che si adattino all’idea che noi abbiamo di come dovrebbero andare
le cose, finiremmo sempre per essere frustrati. Ma se riflettiamo, capiamo
che ‘ogni cosa è così com’è’, che questo è il modo in cui le cose devono
essere – e che possono essere solo così.
Questa non è una riflessione fatalista o negativa; non è l’attitudine di
chi dice ‘questo è così com’è e non c’è niente da fare’. Al contrario, è un
atteggiamento positivo, che accetta il fluire della vita per ciò che è.
Possiamo accettare quello che capita, anche se non è ciò che avremmo
desiderato, e trarre insegnamento dalla situazione.
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