Le radici buddiste della mindfulness

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Le radici buddiste della mindfulness

a cura di Bianca Pescatori e Loredana Vistarini

La prima indicazione che la coltivazione di uno stato mentale di
consapevolezza ci aiuta nel contenere e sciogliere la sofferenza ci
viene dalle scritture buddiste.

Il buddismo è piuttosto diverso dalle altre tradizioni spirituali, in
quanto appare molto più affine ad una sfera psicologica che religiosa.
Nei suoi insegnamenti il Buddha si è molto più occupato di esplorare
la dimensione mentale e sensoriale dell’uomo, rivelandosi un acuto e
raffinato studioso dei molteplici stati di coscienza, piuttosto che
della dimensione dell’anima e della sua relazione con una qualche
entità sovrannaturale.

Lasciando a chi fosse interessato l’approfondimento del buddismo (un
bel libro, di facile e amabile lettura è “Vita di Siddaharta il
Buddha” del monaco vietnamita Thich Nhat Hanh, edizioni Astrolabio) da
un punto di vista filosofico, storico, o religioso, ai numerosissimi e
autorevoli testi sull’argomento, vorremmo mettere piuttosto il focus
sulla comunanza di intenti che portarono Siddharta ad abbandonare la
sua felice vita di figlio di re per divenire un ricercatore spirituale
e tutti coloro che oggi si occupano di salute fisica e mentale e che
hanno trovato nelle indicazioni buddiste un aiuto nella propria
professione, e cioè scoprire l’origine della sofferenza e aiutare
coloro che soffrono nel corpo e nello spirito.

Quando nel buddismo si parla di liberazione (nirvana), si intende
liberazione dalla sofferenza (dukka). Si dice che qualche settimana
dopo aver aver ottenuto l’illuminazione che fece del principe
Siddartha il “Risvegliato”, egli abbia iniziato il suo cammino di
insegnamento, esponendo nel suo discorso “Dhammacakkapavattanasutta”
– Il discorso della messa in moto della ruota del Dhamma – le “Quattro
Nobili Verità” sulla sofferenza ai suoi cinque antichi discepoli.

La prima Nobile Verità sulla sofferenza ci dice che la sofferenza è
connaturata all’esistenza umana: “la nascita è sofferenza, la
vecchiaia è sofferenza, la malattia è sofferenza, la morte è
sofferenza, l’unione con ciò che non è caro è sofferenza, la
separazione da ciò che è caro è sofferenza, il non ottenere ciò che si
desidera è sofferenza.” In un altro discorso il Buddha precisa ancor
di più “la pena, il lamento, l’angoscia e la mancanza di serenità sono
sofferenza…”

La seconda Nobile Veritàci dice che la sofferenza ha una origine:
“l’origine della sofferenza s’identifica con la brama …. e trova
appagamento, ora qua ora là. Esiste la brama per l’oggetto dei sensi,
la brama per l’esistenza e la brama per la non esistenza …

La terza Nobile Verità ci dice che, poiché la sofferenza ha una
origine, può avere anche una cessazione: “la cessazione del dolore è
l’estinzione, il completo svanimento, l’abbandono, il rifiuto di
questa brama …”

La quarta Nobile Veritàè la descrizione del “sentiero” che conduce
alla cessazione della sofferenza: chiamato anche Nobile Ottuplice
Sentiero: “retta visione, retta risoluzione, retta parola, retta
azione, retti mezzi di vita, retto sforzo, retta consapevolezza, retta
concentrazione”.

E’ interessante notare che per “sofferenza” sembrano intendersi non
solo i grandi dolori della vita, ma anche le piccole contrarietà, le
insoddisfazioni che riempiono spesso le nostre giornate. Quella,
appunto, “mancanza di serenità” tipica del disagio esistenziale che
connota la condizione umana.Ora, le quattro nobili verità ci dicono
che questo “disagio” non è assolutamente, pur essendo così connaturato
alla nostra condizione, scontato e ci indicano anche il percorso per
stabilizzarci in uno stato di “gioia e letizia … calma e
consapevolezza”

Secondo la psicologia buddista le tre cause fondamentali della
sofferenza umana sono dunque :

a) l’attaccamento – la separazione da ciò che è caro è sofferenza –
che può esprimersi come dipendenza (da persone, sostanze, o oggetti
esterni, come anche dall’essere sedotti da se stessi, dalle proprie
idee, fantasie, desideri), paura di abbandono, avarizia
ecc.(contrapposto a equanimità, generosità, o rinuncia);

b) l’avversione – l’unione con ciò che non è caro è sofferenza – :
rabbia, criticismo, giudizio negativo, controllo dell’altro
(contrapposta alla benevolenza, compassione, accettazione);

c) visione errata, distorsione, o ignoranza della realtà, distacco
affettivo ed emotivo, negazione, intellettualizzazione, dissociazione
(contrapposta a saggezza)

La cessazione della sofferenza deriva dal conseguimento, attraverso
pratiche etiche e meditative, di quella saggezza che risveglia
dall’ignoranza, da cui discendono appunto attaccamento e avversione,
con il conseguente abbandono di queste due usuali automatiche modalità
della mente di essere in relazione con gli oggetti sensoriali
(compresi gli stessi oggetti mentali).

Tre appaiono i punti fondamentali del sentiero buddista verso la
liberazione: la pratica di Sila, virtù o purezza morale che purifica
la mente; Samadhi, concentrazione meditativa, che calma e unifica la
mente e Satisampajanna, attenzione che porta a chiara comprensione e
che libera la mente dall’ignoranza.

L’esperienza mentale a cui facciamo oggi riferimento nei protocolli
Mindfulness Based si riferisce proprio alla « retta consapevolezza »,
questa attenzione che porta a chiara comprensione, dell’Ottuplice
Sentiero buddista e alla sua coltivazione e sviluppo che si fonda su
pratiche che provengono dalla tradizione buddista theravada (la più
antica delle tre grandi correnti meditative buddiste); in particolare,
sulla pratica di meditazione vipassana (presenza mentale, o chiara
visione) diffuse in Asia meridionale, Birmania, Cambogia, Laos
eThailandia da 2500 anni.

Meditazione, dunque, come pratica di autoconoscenza I suoi presupposti
prevedono un’investigazione continua della realtà interiore ed
esteriore per arrivare ad eliminare la sofferenza, attraverso un
cammino di liberazione’.

I cardini della meditazione Vipassana vengono descritti dal Buddha nel
“Mahasatipatthanasuttanta – Grande discorso della Presenza Mentale”-
che indica, come oggetti di investigazione diretta, “strenua, con
piena comprensione e consapevolezza, avendo rimosso la cupidigia e
l’angoscia nei riguardi del mondo”, i cinque aggregati (che sono,
secondo il buddismo, i costituenti psico-fisici della persona umana) e
cioè il corpo, le sensazioni, la percezione, i fenomeni mentali e la
coscienza.

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