Le radici della guerra di Thich Nhat Hanh

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All’inizio della mia attività di traduttore ho avuto la fortuna di
lavorare per Ubaldini e tradurre 6 volumi di un monaco zen
vietnamita, Thich Nhat Hanh, poeta scrittore e attivista per la pace
(per il suo lavoro ai tempi della guerra del Vietnam venne candidato
al Nobel per la pace). In seguito l’ho invitato in Italia, dove non
era mai stato, ho potuto conoscerlo personalmente e partecipare a
incontri e conferenze organizzati in occasione della sua presenza.
Grazie a lui credo di aver capito qualcosa di più sulle radici della
pace e della guerra. Quale contributo ‘pacificatore’ offro un brano
che TNH scrisse in occasione della prima guerra del Golfo, nel 1991.

Sergio Orrao da: Lista Gaia

Le radici della guerra

(tratto da ‘L’amore e l’azione’,
Thich Nhat Hanh, Ubaldini – traduzione mia)

La nostra società è in una condizione di grave disagio. Basta dare
uno sguardo al consumo di sostanze stupefacenti, con cui tanti
giovani cercano di dimenticare. Sono questi i semi della guerra, e
dobbiamo riconoscerli se vogliamo trasformarli. Dobbiamo farlo
insieme, guardando in profondità nella natura della guerra presente
nella nostra coscienza collettiva. La guerra è qui, nelle nostre
anime.

Molti tra noi sono malati dentro, eppure continuiamo a cercare cose
che non fanno che danneggiarci. Torniamo a casa dal lavoro esausti e
non sappiamo come rilassarci. C’è una sorta di vuoto interiore, che
cerchiamo di compensare accendendo il televisore. Viviamo in una
società dove siamo continuamente in preda a una sensazione di
insoddisfazione, e vogliamo placare questa sete. Se non abbiamo
acceso il televisore, mangiamo oppure leggiamo o parliamo al
telefono. Siamo sempre alla ricerca di qualcosa che colmi la
sensazione di vuoto. Alcune persone sono spinte all’attività sociale
o politica proprio da questo bisogno. Però ogni nostro sforzo finisce
per renderci sempre più insoddisfatti, affamati e smaniosi di nuovi
consumi. Ci sentiamo alienati da noi stessi. In noi c’è una gran
quantità di rabbia e paura, e vogliamo a tutti i costi reprimerla,
perciò consumiamo sempre di più cose che non fanno che aumentare
l’intossicazione. Guardiamo film pieni di urla e violenza. Leggiamo
riviste e racconti basati sull’odio e sulla confusione. Non abbiamo
neppure il coraggio di spegnere il televisore, perché abbiamo paura
di trovarci soli con ciò che siamo realmente.

Non sono riuscito a dormire, la notte in cui il presidente Bush ha
dato ordine di attaccare l’Iraq. Mi sono sentito arrabbiato e
sconfitto. La mattina dopo, nel mezzo del mio discorso, mi sono
fermato improvvisamente e ho detto ai miei amici: “Non credo che
andrò in Nord America questa primavera”. Quelle parole sono saltate
fuori. Poi ho continuato l’insegnamento. Nel pomeriggio, uno studente
americano mi ha detto: “Thây, penso che dovresti andare negli Stati
Uniti. Molti amici provano le tue stesse sensazioni, e sarebbe
importante che tu andassi là e li aiutassi”. Non ho risposto. Ho
praticato la respirazione, la meditazione camminata e seduta, e
qualche giorno dopo ho deciso di andare comunque. Avevo visto che ero
un’unica cosa con il popolo americano, con George Bush e con Saddam
Hussein. Ero arrabbiato con il presidente Bush, ma dopo aver
praticato la respirazione consapevole e aver osservato in profondità,
avevo capito di essere il presidente Bush. Non avevo praticato con
sufficiente energia per poter cambiare la situazione. Avevo capito
che Saddam Hussein non era stato il solo a incendiare i pozzi
petroliferi in Kuwait. Tutti noi abbiamo allungato le braccia e li
abbiamo incendiati con lui.

Nella nostra coscienza collettiva ci sono alcuni semi di nonviolenza,
e infatti il presidente Bush ha iniziato con le sanzioni. Però non lo
abbiamo sostenuto e incoraggiato a sufficienza, e quindi è passato a
metodi più violenti. Non possiamo dare la colpa solo a un’unica
persona. Il presidente ha agito in tal modo perché quei metodi
corrispondevano alla nostra volontà. Non siamo abbastanza felici, e
così c’è stata una guerra. Se fossimo stati più soddisfatti, non ci
saremmo rifugiati nell’alcol, nelle droghe, nella guerra e nella
violenza. I giovani mi dicono che il più bel regalo che possono
ricevere dai genitori è la felicità dei genitori stessi. Se il padre
e la madre sono felici, i figli ricevono nelle loro coscienze molti
semi di felicità e crescendo sapranno come fare per rendere felici
gli altri. Quando i genitori litigano, seminano la sofferenza nel
cuore dei figli e con quel tipo d’eredità non è possibile crescere
felici. Sono queste le radici della guerra. Se i figli sono infelici,
vanno alla ricerca di cose che sono della stessa natura della guerra:
alcol, stupefacenti, un certo genere di programmi televisivi, riviste
e film, e molti altri ‘prodotti culturali’ intrisi di violenza.

La nostra società è malata. Introdurre un giovane in questa società
senza fare uno sforzo per proteggerlo vuol dire esporlo ogni giorno
alla violenza, all’odio e alla paura, sino a farlo ammalare. Le
nostre conversazioni, i programmi televisivi, le pubblicità, i
giornali e le riviste, non fanno altro che innaffiare i semi della
sofferenza nei giovani come nei meno giovani.

Come possiamo trasformare la coscienza individuale e la coscienza
collettiva della nostra società? Come possiamo astenerci dal
continuare a consumare altri prodotti culturali nocivi? Abbiamo
bisogno di una linea di condotta, di una dieta, e abbiamo bisogno
anche di imparare a innaffiare i semi della pace, della gioia e della
felicità presenti in noi stessi. Per prevenire la guerra la pratica
più importante consiste nello stare in contatto con gli elementi
rivitalizzanti, salutari e gioiosi in noi e tutt’intorno a noi. Se
pratichiamo la meditazione camminata, restando in contatto con la
terra, l’aria, gli alberi e con noi stessi, possiamo guarirci e
contemporaneamente anche l’intera società riacquisterà la salute. Se
tutta la nazione praticasse l’innaffiare i semi della gioia e della
pace, anziché i semi della rabbia e della violenza, gli elementi
della guerra presenti in noi subirebbero una trasformazione.

Dobbiamo prepararci, che abbiamo a disposizione un solo minuto, dieci
anni o migliaia d’anni. Se non abbiamo tempo, possiamo anche
risparmiarci di discutere della pace, perché non è possibile
praticare la pace se non si ha tempo. Anche se non avete che un
minuto di tempo, vi invito a usarlo per inspirare ed espirare con
calma e piantare in voi stessi i semi della pace e della
comprensione. Se potete disporre di dieci anni usate quei dieci anni
per prevenire la prossima guerra. Se ne avete mille, usate quel
periodo di tempo per prevenire la distruzione del pianeta.

La trasformazione è possibile, ma richiede tempo. Anche nel cuore di
quelli che chiamiamo ‘falchi’ ci sono già semi di pace, ma hanno
bisogno delle nostre cure: se non innaffieremo i semi della pace e
della comprensione, i semi della rabbia e dell’aggressione
continueranno a prevalere. Non fatevi prendere dallo scoraggiamento.
Il vostro semplice punto di vista e le vostre azioni sono già
sufficienti a influenzare gli altri. Avvicinate tutti con amore e
pazienza, e provate a innaffiare i semi positivi che sono presenti in
chi incontrate. Dobbiamo aiutarci gli uni con gli altri, essere
abili, gentili e comprensivi. Accusare e discutere non è mai servito
a nessuno.

Tutti hanno potuto vedere i poliziotti di Los Angeles che pestavano
Rodney King. La prima volta che ho assistito a quella scena, alla
televisione francese, mi sono identificato con chi veniva picchiato,
e ho sofferto molto. Credo che abbiate provato le stesse sensazioni.
Siamo stati picchiati tutti in quello stesso momento. Siamo stati
tutti vittime della violenza, della rabbia, dell’incomprensione e
della mancanza di rispetto per la dignità umana.

Guardando più in profondità, ho però visto che i poliziotti che hanno
pestato Rodney King sono anch’essi un’unica cosa con me stesso. Si
sono comportati in quel modo perché la nostra società è satura di
odio e di violenza. Ogni cosa è come una bomba pronta a esplodere, e
siamo tutti parte di quella bomba: siamo tutti corresponsabili. Noi
tutti siamo quei poliziotti, e siamo quella vittima.

Nella pratica della consapevolezza nutriamo l’abilità di guardare in
profondità nella natura della cose e delle persone, e il frutto della
pratica è la visione profonda, la comprensione e l’amore. Non avendo
praticato a fondo, la violenza è giunta a essere il substrato della
nostra società. Mettere quei poliziotti dietro le sbarre non affronta
le radici del problema. Purtroppo accettiamo la violenza come stile
di vita e come metodo per risolvere i problemi. I nostri figli un
giorno saranno nei panni della vittima o del carnefice, se non siamo
consapevoli e non trasformiamo e condividiamo la nostra sofferenza
grazie all’energia della compassione e della comprensione profonda. È
una cosa che ci riguarda personalmente. Dobbiamo rivolgere la nostra
attenzione alle radici del problema, evitando un approccio
superficiale.

(tratto da ‘L’amore e l’azione’, Thich Nhat Hanh, Ubaldini – traduzione mia)

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