Le razze secondo il cervello

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Le razze secondo il cervello

L’appartenenza al proprio gruppo etnico o razziale è subito rilevata a livello inconscio da aree
coinvolte nella gestione dell’emotività, in particolare dall’amigdala, che tendono a proporre un
pregiudizio negativo verso gli estranei. In un secondo momento intervengono le aree preposte alla
gestione delle motivazioni personali e sociali, culturalmente determinate e parzialmente consce, che
possono imporsi sulle altre. Questa conclusione è stata ottenuta dall’analisi di studi di
neuroscienze che dagli anni novanta hanno esaminato le risposte alla categorizzazione razziale in
cittadini degli Stati Uniti

(red)

I circuiti neurali coinvolti nella percezione di razza ed etnia si sovrappongono a quelli che
elaborano le emozioni e i processi decisionali. E’ questa la conclusione di un articolo pubblicato
su “Nature Neuroscience” i cui autori, diretti da Elizabeth Phelps, della New York University, hanno
analizzato tutti gli studi che dagli inizi degli anni novanta hanno utilizzato la fMRI per esaminare
le risposte alla categorizzazione in razza bianca o nera in soggetti statunitensi.

Per quasi un secolo, gli psicologi hanno studiato le credenze e i sentimenti degli americani bianchi
verso i neri americani, e i dati dimostrano un costante e marcato calo negli stereotipi e negli
atteggiamenti negativi.

Negli ultimi decenni, alle indagini sugli atteggiamenti esplicitamente riferiti in questionari e
sondaggi si sono affiancate misurazioni di cognizione sociale basate sulle nuove tecniche di
registrazione dell’attività cerebrale, che offrono un quadro più complesso. Tra le misurazioni di
questo tipo più diffuse c’è il test di associazione implicita (IAT), che riguarda la forza di
associazione tra concetti, come quello di bianco e nero, e attributi, come bene e male. Misurando il
tempo di latenza nella risposta alla classificazione delle coppie concetto-attributo, lo IAT
permette di valutare la spontaneità con si realizza un’associazione di questo tipo nei differenti
soggetti: quanto minore è il tempo di latenza, tanto più collegati fra loro sono le due idee.

Ebbene, se si usano queste misurazioni di cognizione sociale, che non passano per il controllo
cosciente, i risultati sono in contrasto con l’immagine ottenuta dai sondaggi.

In particolare, per gli americani bianchi, anche se le risposte ai questionari indicano una
preferenza razziale debole o nulla, lo IAT evidenzia una preferenza positiva per i bianchi. Nel caso
dei neri americani il modello è più complesso, con il 40 per cento che mostra un pregiudizio
positivo per i bianchi, il 40 per cento in favore dei neri, mentre il 20 per cento ha un
atteggiamento neutro.

Dall’analisi delle aree di attivazione cerebrale registrate nei vari studi è inoltre apparso
corroborato il modello di controllo gerarchico degli atteggiamenti. Questo modello psicologico
comporta almeno due fasi di elaborazione degli stimoli legati alla razza. Il primo richiede il
rilevamento, la classificazione e la valutazione automatica della razza. La ricerca basata sulle
neuroimmagini indica che in questa fase iniziale si ha il coinvolgimento dell’amigdala e della
cosiddetta area fusiforme per la faccia, che mostrano entrambe risposte rapide alla presentazione
subliminale di volti con caratteristiche tipiche del proprio gruppo di appartenenza (ingroup) o di
un altro gruppo (outgroup).

La seconda fase dell’elaborazione dell’informazione sull’etnicità coinvolge invece le aree preposte
alla gestione di motivazioni personali e sociali di ordine superiore, ossia culturalmente
determinate, che esercitano un certo controllo sui processi di ordine inferiore. Dalle ricerche
emerge che questa fase comporta l’attivazione della corteccia cingolata anteriore e della corteccia
prefrontale dorsolaterale, che elaborano informazioni di cui siamo consapevoli.

lescienze.it

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