Le ricette del buon ricordo
di Francesca Capelli da Newton
01 agosto 1999
Perché ricordiamo o dimentichiamo? Come si migliora l’apprendimento? Esiste una “ginnastica” per
potenziare le capacità mentali? Alberto Oliverio, maggiore esperto italiano in questo campo,
risponde alle vostre domande. E spiega anche i rapporti tra memoria, intelligenza ed emozioni
Studenti afflitti da amnesie da stress. Genitori preoccupati di vedere i loro ragazzi chini tutto il
giorno sui libri. Insegnanti alla ricerca del metodo di studio ideale per i loro allievi. Ma anche
persone con qualche anno in più, che desiderano conservare al meglio la loro memoria. Questi e molti
altri lettori hanno scritto ad Alberto Oliverio, direttore dell’Istituto di Psicobiologia del
Consiglio nazionale delle ricerche, per rivolgergli le loro domande sui meccanismi, i segreti e i
trabocchetti della memoria. Ed ecco le risposte dello scienziato.
Da cosa dipende il déjà vu, cioè la sensazione di essere già stati in un certo luogo o aver già
vissuto una determinata situazione che in realtà sono nuovi? Questa sensazione di solito è simile al
ricordo di un sogno ed è piuttosto inquietante, tanto che per alcuni il déjà vu sarebbe la memoria
di una vita precedente. In realtà il fenomeno dipende dalla sovrapposizione di più punti di
riferimento. In pratica una determinata situazione o un paesaggio attivano in noi la memoria di
un’esperienza simile avuta in passato. Tuttavia il ricordo non compare nella sua globalità, ma solo
attraverso piccoli particolari, che non ci permettono di identificarlo correttamente. Così, un luogo
visto per la prima volta, per esempio una piazza al crepuscolo, con alberi, tavolini all’aperto e
lampioni, può avere elementi comuni con altri crepuscoli, altre piazze e altri tavolini visti in
passato, ma il cui ricordo viene attivato solo parzialmente. E questo ci dà la sensazione di essere
già stati in un posto e di aver già vissuto determinate situazioni.
Quanti e quali tipi di memoria esistono? Ne esistono due diversi tipi: a breve termine e a lungo
termine. La prima, chiamata anche memoria di lavoro, è una sorta di lista della spesa che viene
dimenticata non appena ne abbiamo fatto uso. Questo tipo di memoria ha una capacità di circa sei
sette elementi di informazione e questi possono essere le cose più diverse, dai vestiti da mettere
in valigia alle singole cifre che costituiscono il numero di telefono di un conoscente. Poniamo il
caso che qualcuno ci dia il proprio numero telefonico 8356791: potremmo “mantenerlo in memoria” per
breve tempo, ma la nostra capacità migliora se le sette cifre vengono raggruppate in un minor numero
di elementi, come 83 56 79 1 oppure 835 679 1. Oltre gli otto elementi, nella maggior parte delle
persone la memoria breve vacilla, a meno che il numero telefonico non venga ripetuto e formato più
volte. Esso viene così passato a un diverso “magazzino”, quello della memoria a lungo termine, a cui
affidiamo ricordi come un episodio della nostra vita, il viso di una persona nota, l’apprendimento
di concetti.
Quali sono i processi biochimici che ci permettono di memorizzare? I neuroni sono cellule
eccitabili. Lo stimolo, dovuto a un’esperienza, produce una lieve variazione della loro carica
elettrica e, sotto forma di un’onda elettrica, viaggia dal corpo del neurone verso la periferia
delle sue diramazioni, eccitando il neurone successivo. I neuroni si trasmettono quindi messaggi,
che però non implicano uno scambio diretto di corrente elettrica: giunta alla periferia del
prolungamento del neurone (assone) o delle diramazioni cui quest’ultimo va incontro, l’onda
elettrica produce la liberazione di molecole chimiche, i neurotrasmettitori. Essi agiscono a livello
della sinapsi (i punti di contatto tra i neuroni) sul neurone successivo, eccitandolo
elettricamente. Date queste caratteristiche dei neuroni, resta da capire come un’esperienza possa
lasciare traccia nelle trame nervose. Il passaggio dalla memoria di lavoro a quella a lungo termine,
cioè il consolidamento dell’informazione, richiede che vengano formate nuove sinapsi nervose o che
vengano rese stabili sinapsi che altrimenti sarebbero state eliminate. Studiando la memoria a
livello delle singole cellule nervose, si è scoperto che una blanda stimolazione con una corrente
elettrica può indurre un aumento duraturo dell’attività delle sinapsi di un circuito nervoso. Questo
aumento, o potenziamento, dell’attività elettrica – noto con il nome di Potenziamento a Lungo
Termine (Ltp) – indica che un’esperienza qualsiasi è in grado di alterare la funzione delle sinapsi
di un circuito nervoso, condizione necessaria a qualsiasi tipo di registrazione dell’esperienza
sotto forma di memoria a breve termine. Il potenziamento dell’attività elettrica delle sinapsi può
però produrre modifiche permanenti: ai fenomeni elettrici fanno seguito fenomeni di tipo biochimico,
attivazione di enzimi che sintetizzano proteine, come la tubulina, che formano lo scheletro delle
sinapsi nervose. Questo fa sì che le esperienze vengano codificate stabilmente nella memoria a lungo
termine.
Esistono differenze tra uomo e donna nella capacità di memorizzare? No, le differenze sono più che
altro individuali, legate alla capacità di attenzione e non al sesso.
Con quali criteri il cervello “sceglie” di ricordare o dimenticare un evento? Non è una scelta, né
una casualità. Il ricordo è più forte se possiedo elementi di aggancio. Per esempio, ricorderò più
facilmente la formula della relatività (E = mc2) se ho nozioni di fisica, se so cos’è la massa di un
corpo e così via.
Intelligenza e memoria sono collegate? Non necessariamente, anzi ci può essere una dissociazione tra
le due cose. E’ il caso degli idiot savants (idoti sapienti) con basso quoziente intellettivo, ma
capaci di ricordare elenchi lunghissimi di elementi privi di nessi logici, come serie casuali di
numeri o lo stradario di New York. Nella vita, però, queste persone non riescono a sfruttare le loro
straordinarie capacità e sembrano imprigionate nella gabbia dei ricordi, senza poterli rielaborare
per andare oltre il dato mnemonico.
Perché si distingue tra memoria e apprendimento? In cosa consiste la differenza? Esistono tre
diversi livelli di apprendimento. Il primo, il più elementare, è quello mnemonico ed è molto
specifico. Spesso, però, la memorizzazione pura e semplice è inefficace e non costituisce una forma
di vero apprendimento: non soltanto perché, quando non se ne coglie il significato, fatti e concetti
vengono dimenticati più in fretta, ma anche perché non viene effettuato alcun collegamento con
precedenti esperienze e quindi non si inquadra e non si organizza il materiale in modo
significativo. Recitare il teorema di Pitagora (“in un triangolo rettangolo il quadrato costruito
sull’ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti”) non significa saperlo
usare per risolvere un problema. Il secondo livello, allora, è quello della comprensione. In questo
caso, chi impara arriva a capire principi che possono essergli utili per analizzare altri fatti e
concetti o per risolvere futuri problemi. Per esempio, partendo dal fatto che alcune specie vegetali
o animali possono estinguersi in un particolare ambiente, mentre altre si affermano, si può
comprendere il significato generale dei cosiddetti “indicatori biologici” ambientali. Così, il
proliferare dei gabbiani nelle aree urbane non apparirà come un espisodio isolato relativo alla
diffusione di una specie animale, ma come un segno dell’inquinamento ambientale (i gabbiani si
nutrono nelle discariche a cielo aperto) e l’inizio della probabile scomparsa di altre specie di
uccelli, che vengono predate dai sempre più numerosi gabbiani.” Il terzo livello è quello della
riflessione. Nel caso della comprensione, chi impara può essere passivo nei confronti di chi
insegna, cioè colui che indica i principi in base ai quali organizzare l’apprendimento. A livello
della riflessione, è invece necessario partecipare attivamente con i propri ragionamenti e
intuizioni e affrontare un problema che emerge dall’esperienza effettuata. Questo tipo di approccio
ha il vantaggio di non restare confinato a un particolare contesto: chi è abituato a riflettere, ha
imparato a cogliere le contraddizioni di alcuni ragionamenti e a confrontare posizioni opposte, ha
un maggior numero di intuizioni utili e originali e tende a fare uso di queste capacità, anche al di
fuori del contesto dell’apprendimento. Per esempio, se si comprendono le regole e la struttura di un
linguaggio del computer, si potrà cercare di scrivere un nuovo tipo di linguaggio originale.
La nostra memoria ha una capienza finita? E’ come una stanza dalle pareti rigide, dove può essere
stipata una quantità determinata di oggetti, o al contrario queste pareti sono mobili? Le pareti
sono elastiche. L’idea del contenitore rigido è vecchia, anche se suggestiva. In Uno studio in rosso
di Arthur Conan Doyle, l’investigatore Sherlock Holmes afferma: “Il cervello di un uomo in origine è
come una piccola soffitta vuota, e bisogna metterci i mobili che si scelgono. Lo stupido ci mette
dentro un’accozzaglia di cose, e le nozioni che potrebbero essergli utili restano fuori…E’un
errore pensare che questa stanzetta abbia muri elastici che possano allargarsi all’infinito”. Si
tratta di una visione superata. Per la nostra memoria, non vale il concetto “un luogo per ogni
ricordo”, ma quello delle “catalogazioni incrociate”. Secondo questa impostazione, gli individui
possono essere ricordati per il loro nome, ma anche sulla base di varie caratteristiche comuni. Per
esempio, le persone conosciute sul luogo di lavoro o in vacanza, quelle con i capelli rossi, i baffi
o gli occhiali.
Quali sono le differenze tra la memoria animale e quella umana? La differenza maggiore riguarda i
processi simbolici e astratti tipici degli umani. Gli animali, invece, si affidano soprattutto a
memorie procedurali, che comportano sequenze di azioni, e a memorie di tipo episodico, che
“fotografano” un evento rilevante. Anche noi ci affidiamo a memorie procedurali, quando ci
allacciamo le scarpe o andiamo in bicicletta. E usiamo memorie episodiche che “fissano” i singoli
eventi della nostra vita. Ma gran parte delle nostre memorie sono di tipo semantico, cioè legate a
significati. La memoria semantica implica una conoscenza di fatti, concetti, elementi linguistici
che, a differenza della memoria episodica, non sono legati a un contesto specifico. Quando affermo
che Milano è a Nord di Roma e Venezia a Est di Torino, richiamo conoscenze generali, non limitate a
una singola circostanza. Le memorie semantiche sono costruite nel tempo, mattone dopo mattone, e
danno origine a un edificio di conoscenze in cui è difficile, se non impossibile, rintracciare le
origini delle singole esperienze e dei singoli ricordi. Questo succede con la nostra lingua madre,
frutto di complesse relazioni nella conoscenza di vocaboli, regole grammaticali e strutture
sintattiche.” La memoria semantica appartiene alla categoria della memoria dichiarativa, costituita
da una serie di fatti e di elementi di informazione che possono essere, appunto, “dichiarati”. Nel
momento in cui affermiamo che sotto casa passa la linea B del metrò o che l’Italia fa parte
dell’Unione europea ricorriamo alla memoria dichiarativa. La memoria procedurale è antica in termini
di evoluzione – si presenta in organismi primitivi come gli invertebrati – ed è la prima forma di
memoria che compare nel corso dello sviluppo umano, tanto che è presente anche nel feto. Al
contrario, la memoria di tipo semantico rappresenta una tappa tardiva dell’evoluzione (compare
soltanto a partire dai mammiferi superiori) e si sviluppa più tardi, nel corso dell’infanzia. La
memoria di tipo procedurale è anche l’ultima a essere colpita in caso di malattie degenerative del
cervello. Mentre la memoria semantica e dichiarativa possono subire deficit gravi durante la
vecchiaia.
E’ vero che utilizziamo soltanto una piccola parte della nostra memoria? Questo in realtà è un po’
un luogo comune. L’utilizzo è legato alla motivazione: su questa base, c’è chi ne fa buon uso e chi
invece non la sfrutta.
Perché a volte un profumo o un sapore riescono a farci ricordare cose che credevamo dimenticate?
Perché le memorie olfattive e gustative sono le più primitive e potenti che abbiamo. Servono infatti
agli animali per riconoscere le situazioni di pericolo e per questo motivo devono funzionare bene.
Buona e cattiva memoria
La buona memoria è ereditaria? Alcuni studi mettono in evidenza una certa familiarità nella buona
memoria, ma l’aspetto genetico non sembra così determinante. Conta di più la motivazione,
l’attenzione, la capacità di osservare in modo efficace.
E’ vero che alcune persone sono più dotate nel ricordare le immagini? Il nostro cervello è per
natura molto ben equipaggiato per registrare ed elaborare l’informazione visiva: le aree della
corteccia che trattano l’informazione visiva sono molto vaste e in grado di analizzare numerosi
aspetti del messaggio. La memoria visiva è ancora più potente nell’infanzia: il bambino ha
un’incredibile capacità di registrare ricordi sotto forma di immagini, mentre altrettanto non si
verifica con l’informazione uditiva, più astratta. La realtà visiva esercita una forte presa anche
nell’adulto: rappresentare l’informazione in termini visivi significa memorizzare in modo più
efficace e, di conseguenza, imparare meglio di quanto non avvenga ascoltando o leggendo, cioè
attraverso codici basati sul significato. In termini di apprendimento, la migliore “resa” si
verifica quando le stesse informazioni vengono sentite (o lette) e viste contemporaneamente. Cioè
quando una stessa esperienza fa capo a due diversi canali sensoriali e implica due diversi sistemi
di rappresentazione, a cui corrispondono precise aree nervose. Da studi effettuati sappiamo che le
esperienze visive sono 3 4 volte più efficaci di quelle uditive e che quelle audiovisive sono a loro
volta due volte più efficaci di quelle visive.
Le persone con eccezionale memoria (in grado di ricordare, per esempio, lunghe serie casuali di
numeri) sono tali soltanto per allenamento o hanno qualcosa di diverso dalle altre persone? Il loro
cervello non ha nulla di diverso. Di solito riescono bene nella visualizzazione di concetti astratti
e possono trasformare una lunga formula matematica in stimoli visivi. Per loro, “V” (simbolo della
radice quadrata) diventa la radice di un albero, una cifra in esponente un frutto, la virgola una
goccia di pioggia e così via. Infine sono in grado di collegare questi stimoli in una specie di
racconto.
Perché alcune nozioni si apprendono meglio di altre? Perché interessano di più oppure perché
rientrano in una sfera di conoscenza già consolidata. Se una materia non ci appartiene già, maggiore
è lo sforzo da fare per ricordare la singola nozione. Pensiamo a una formula matematica: sarà molto
più facile da memorizzare, perché riconducibile al terreno del “già noto”, per uno studente di
ingegneria che non per uno di lettere classiche. Inoltre, noi ricordiamo facendo: un numero
telefonico che viene composto spesso si memorizza meglio di uno utilizzato raramente.
I trabocchetti della memoria
A volte si studia un argomento, ma il suo ricordo viene cancellato da quanto si studia dopo. Perché?
Il consolidamento della memoria può essere turbato da esperienze che si verificano successivamente
all’apprendimento: questo fenomeno si chiama interferenza retroattiva e in qualche modo impedisce al
ricordo di “depositarsi”. Per capirne il meccanismo, immaginiamo di mostrare a una persona un
cartoncino su cui siano scritte le lettere SLT e di chiederle di ricordare le tre lettere a distanza
di tempo, per esempio dopo 3 oppure 6, 9, 12, 15 secondi dalla loro presentazione: nell’intervallo
questa persona deve contare alla rovescia per due (20, 18, 16, 14…). Il ricordo diminuisce a mano
a mano che aumenta l’intervallo di tempo tra la presentazione dello stimolo e la sua rievocazione.”
Un altro esempio di interferenza dipende dall’assonanza, secondo il principio che “simile cancella
simile”. Il fenomeno è tanto più evidente, quanto più lettere, parole o argomenti da ricordare si
assomigliano. Se si chiede a una persona di ricordare la serie di lettere CDB e poi di copiare le
lettere TPV o TVP, simili per assonanza alle precedenti, la prima serie di lettere viene molto
probabilmente dimenticata; ciò si verifica in misura minore se le si chiede di copiare la serie MLE
o MLM, che suonano in modo diverso. Ecco spiegato perché, dopo aver studiato un capitolo di scienze
è meglio proseguire con storia, piuttosto che con un altro argomento di scienze.
Perché se si va a dormire dopo aver studiato, al risveglio si ha l’impressione di aver memorizzato
meglio? Perché dormendo non si verificano le interferenze retroattive che abbiamo appena spiegato.
Il sonno è poi caratterizzato da fasi che favoriscono attivamente la fissazione dei ricordi. Una di
queste è la fase Rem (dalle iniziali delle parole inglesi “movimenti rapidi degli occhi”), quella in
cui si sogna, durante la quale gli occhi hanno movimenti involontari al di sotto delle palpebre,
mentre il cervello è percorso da onde elettriche rapide e intense. Si pensa che queste onde
elettriche servano a “lubrificare” i circuiti nervosi: agiscono sui circuiti ancora instabili da cui
dipendono le memorie recenti, trasformandoli in circuiti più stabili, grazie alla formazione di
nuove sinapsi. Per sfruttare questo processo, gli studenti dovrebbero ripetere i punti essenziali di
un argomento prima di prendere sonno: così le associazioni che costituiscono la “scaletta” del
discorso verranno fissate. Il rapporto tra sonno Rem e memoria è provato da esperimenti sui
topolini: se si privano gli animali di questa fase del sonno, essi tendono a dimenticare le
esperienze che si sono verificate immediatamente prima della privazione. Anche farmaci come gli
antidepressivi, che riducono la quantità di sonno Rem, possono avere un effetto negativo sulla
memoria.
Funzionano i metodi di apprendimento basati sull’ascolto di audiocassette durante il sonno? Dormire
non è certo la soluzione a tutti i problemi di apprendimento. Anzi, i metodi che promettono di farvi
imparare durante il sonno (per esempio, le audiocassette con i corsi di lingue) sono completamente
inefficaci, come indicano ormai molti studi scientifici: spesso, però, chi ha comperato le famose
audiocassette si vergogna ad ammettere la propria credulità e la leggenda continua.”
Perché a volte non si riesce a ricordare qualcosa che si ha “sulla punta della lingua”? Il fenomeno
della “punta della lingua” dipende dal fatto che viene rintracciata soltanto una parte
dell’informazione necessaria per produrre un ricordo totale. Per esempio, se penso a una persona che
incontro saltuariamente in ufficio e ricordo che il suo cognome inizia con la lettera R – o mi dico
che la capitale dell’Iraq inizia con la lettera B – possiedo soltanto parte dell’informazione per
innescare il ricordo nella sua pienezza. Ma posso aggiungere informazioni supplementari: penso a
un’altra persona che conosce il signor R e alle varie occasioni in cui l’ho incontrato. Oppure, nel
caso della capitale dell’Iraq, alle Mille e una notte o alla guerra del Golfo. Allora forse
ricorderò che quel signore si chiama Rinaldi e che la capitale dell’Iraq è Baghdad. In sostanza, più
“suggerimenti” o “imbeccate” si hanno, più è facile ricostruire una memoria. La nostra mente è come
un palcoscenico, popolato di attori che devono recitare una serie di battute (i ricordi), nel modo
più aderente possibile al testo scritto dal commediografo, cioè alle esperienze originarie. Non
sempre gli attori sono in grado di ricordare le battute e il loro compito può essere facilitato da
un suggeritore, che sussurra l'”attacco”. A ognuno di noi è capitato di recuperare all’improvviso un
nome che aveva sulla punta della lingua, quando ormai aveva rinunciato a trovare la soluzione. La
nostra mente, nel frattempo, ha continuato a “lavorare” inconsciamente alla ricerca di quel nome,
finché un’informazione casuale è servita da “battuta d’attacco”. Questo succede perché un ricordo
non viene registrato e classificato dalla mente nella sua integrità, ma scomposto nei suoi diversi
elementi, ognuno dei quali richiede un complesso lavoro di formazione di categorie,
generalizzazioni, paragoni con simili ricordi, connotazioni emotive. Insomma, una serie di
caratteristiche che in seguito potranno servire da spunti per far riaffiorare quel ricordo.
Da cosa dipendono i vuoti di memoria improvvisi, i cosiddetti lapsus? Dall’interferenza con altre
memorie, come se la procedura del ricordo avesse imboccato una strada sbagliata, oppure come se
fossimo momentaneamente incapaci di “tirare la leva giusta”. Un classico caso è questo: esco dalla
camera per andare in cucina a prendere qualcosa, e appena entro in questa stanza non ricordo più che
cosa dovevo fare. Allora torno in camera e mi viene di nuovo in mente, come se i messaggi
dell’ambiente stimolassero i ricordi.
L’ansia può bloccare la memoria? Senza dubbio sì, come sanno tutti gli studenti. Buona parte dei
loro problemi di memoria dipendono spesso dall’ansia. Poter controllare le proprie emozioni,
risolvere le situazioni stressanti, imparare a prestare attenzione, significa tagliare fuori dal
cervello fattori di disturbo che deconcentrano e impediscono di dare il meglio. Esistono trucchi per
diminuire l’ansia e di conseguenza migliorare il rendimento mentale. Prima strategia, l’esercizio
fisico. Dopo una giornata di studio o prima di un esame o di un colloquio importante, è utile fare
sport che migliora la circolazione e contribuisce a ossigenare il cervello, facendolo funzionare
meglio. L’attività fisica inoltre libera molecole “tranquillanti” come le endorfine e ha un effetto
ansiolitico naturale. La seconda strategia, semplice ma efficace, è quella di respirare
profondamente e lentamente, rilassando i muscoli. Per aiutarsi, si può immaginare che gli arti
superiori, poi quelli inferiori e infine tutto il corpo stiano diventando pesanti. Questo esercizio,
se praticato regolarmente, può diminuire la tensione muscolare che ingigantisce l’ansia: i muscoli
contratti – da cui il sentirsi “a pezzi” dopo un esame – producono più acido lattico, sostanza che
può far aumentare la percezione di ansia. La terza strategia consiste nel cercare di estraniarsi per
un momento, immaginando di trovarsi in un paesaggio rilassante, anziché a scuola, all’università o
nel luogo in cui ci si sente a disagio. L’umore migliorerà immediatamente. Ma ansia e stress non
hanno lo stesso effetto su tutte le persone. Per alcuni una piccola dose di stress aiuta a rendere
meglio, come se permettesse di funzionare con una marcia più alta: è il caso dello studente che ha
la sensazione di non ricordare nulla mentre aspetta di essere interrogato, ma davanti
all’esaminatore fa bella figura.
Nutrire e allenare la memoria
E’ vero che il fosforo contenuto negli alimenti e in certi farmaci può aiutare la memoria? Esiste
una dieta che migliora la capacità di ricordare? Queste convinzioni non hanno niente di scientifico.
Non esiste una “dieta” da seguire in vista degli esami, né farmaci o integratori da assumere per
ricordare meglio. La memoria si coltiva con uno stile di vita sano: un’alimentazione equilibrata,
povera di grassi, e la pratica sportiva regolare migliorano il sistema circolatorio. Di conseguenza,
il cervello riceve più ossigeno ed è più efficiente.
Le tecniche insegnate nei vari corsi di memorizzazione funzionano davvero? Queste tecniche
funzionano e sono utili soprattutto per ricordare liste. Esiste per esempio il metodo “dei loci”,
che consiste nell’associare ogni elemento di un elenco a un oggetto della propria camera da letto.
Un altro metodo insegna a visualizzare le cose da ricordare, collegandole tutte con una storia. “
Ancora più utili sono gli esercizi che insegnano a sviluppare attenzione. Uno di questi consiste
nell’imparare ad analizzare le immagini. Prendere una foto, guardarla nell’insieme, scomporla in più
piani, studiarne il soggetto, scoprire se c’è un messaggio o una storia che lega gli elementi che vi
compaiono. Sembra banale ma non lo è. Uno studio condotto al Museum of Modern Art di New York ha
provato che i guardiani delle sale non sono in grado di descrivere i quadri che hanno sotto gli
occhi tutti i giorni. I loro ricordi sono parziali e distorti, mentre un critico, che è allenato a
osservare, riesce a ricordare nei particolari un’opera vista una volta sola. Non bisogna poi
dimenticare che i corsi non sono indolori, nel senso che imparare le varie tecniche costa fatica,
bisogna frequentare e studiare. L’ideale è trovare strategie personali di codifica, tagliate su
misura per le proprie esigenze di studio o di lavoro [vedi riquadro qui a destra].
C’è un momento del giorno in cui la memoria funziona meglio? Studiare con la musica o la tv accesa è
utile o dannoso? Il momento migliore non è lo stesso per tutti. Ognuno deve scoprire il proprio. In
generale, si memorizza meglio in assenza di stimoli che agiscano da rumori di fondo. Le parole sono
gli stimoli più disturbanti, perché si tende a seguire il senso del discorso, spostando l’attenzione
e distraendosi. La tv accesa è deleteria per gli studenti. Mentre la musica, almeno per qualcuno,
aiuta a isolarsi. In ogni caso, il grado di disturbo creato dai rumori di fondo è sempre
soggettivo.”
Amnesie e inconscio
Esistono vari tipi di amnesia e da cosa dipendono? Perché certi incidenti o traumi fanno dimenticare
tutto sulla propria identità ma non influiscono sulla capacità di leggere, scrivere o guidare
l’auto? Le amnesie possono essere provocate da incidenti o ictus, dall’abuso di alcol e da sostanze
stupefacenti come allucinogeni e anfetamine. Il grado di amnesia dipende dall’entità della lesione.
In alcuni casi non si ricordano le ore che precedono il trauma, perché quelle esperienze non state
codificate dalla mente e non si sono “depositate”. A volte le amnesie cancellano le memorie relative
alla propria identità, ma non quelle procedurali (come andare in bicicletta, leggere o scrivere),
che sono più radicate. Esiste poi l’amnesia selettiva, o “a pelle di leopardo”, che cancella il
ricordo di alcuni periodi della vita. Chi è colpito da amnesia, infine, può ricordare singoli
episodi senza vederne la connessione. E’ il caso di un ragazzo che faceva il meccanico. Dopo un
trauma ricordava la sua officina, le automobili, gli attrezzi, ma non il fatto che lui lavorasse in
quel luogo.
Che rapporto c’è tra memoria e inconscio, che rimuove alcuni ricordi? Quale dei due è più forte? In
realtà è più forte la mente. Anche senza scomodare la psicanalisi, sappiamo che memorie ed
esperienze non consce possono influenzare il nostro comportamento. Pensiamo alle ricerche sui
messaggi subliminali, per esempio immagini di bibite fresche inserite in una pellicola di film. Si
tratta di singoli fotogrammi che l’occhio non distingue, perché proiettati troppo velocemente, ma
che fanno ugualmente venire voglia di bere una bibita agli spettatori.
Francesca Capelli
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