Una ricerca dell’Università di Bristol, diretta dal dottor Peter Rogers e pubblicata su
“Neuropsychopharmacology”
I bevitori assidui diventano presto resistenti agli effetti della bevanda
da NEWSFOOD.com – 03/06/2010
La sensazione di allerta data dal caffè può essere solo una sorta di illusione. Questo vale in
particolare per i bevitori più convinti: più caffè si assume, più si diventa insensibili alla
bevanda.
A dirlo, una ricerca dell’Università di Bristol (Gran Bretagna), diretta dal dottor Peter Rogers,
psicologo, e pubblicata su “Neuropsychopharmacology”.
Il team del dottor Rogers ha lavorato con 379 volontari, tutti amanti del caffè: 162 bevitori
moderati (una tazzina o meno al giorno) e 217 bevitori decisi (più di una tazzina al giorno). I
soggetti sono rimasti a secco per 16 ore, poi sono stati divisi in due gruppi.
Il primo gruppo ha bevuto 100 mg di caffeina (una tazza di caffè americano, poco più di una di
espresso nostrano) e, dopo 90 minuti,altri 150 mg di caffeina. Il secondo gruppo ha assunto negli
stessi orari un simil-caffè, un placebo privo di caffeina.
Prima o dopo la consumazione, i volontari sono stati sottoposti ad esami per valutare il grado di
allerta, ansia e l’eventuale mal di testa. Tale indagine ha mostrato come il caffè non offrisse
nessun bonus all’allerta dei bevitori assidui.
Spiega il dottor Rogers: “Con il consumo frequente di caffè si sviluppa innanzitutto una tolleranza
agli effetti ansiogeni della bevanda, che quindi non provoca più agitazione. Qualcosa di simile
avviene anche per l’attenzione e la lucidità mentale: in chi beve caffè spesso l’effetto di
«sveglia» si perde. Anzi, succede che quando si è in astinenza da caffè, fra una tazzina e l’altra,
il livello di attenzione scende al di sotto della soglia «normale» per quell’individuo: bere la
tazzina non fa “svegliare”, semplicemente riporta l’amante del caffè nella situazione-base.
Gli esperti fanno notare come i potenziali effetti della caffeina (dalla maggiore attenzione fino
all’incremento della pressione sanguigna) sono innanzitutto regolati dall’effetto sui recettori
cerebrali dell’adenosina. Tuttavia, nel meccanismo sono coinvolte anche particolari variazioni del
DNA. Il team dell’Università di Bristol ha scoperto come coloro che posseggono geni che
predispongono all’ansia tendono a bere più caffè, come se godessero del nervosismo legato alla
bevanda.
Inoltre, “Abbiamo scoperto che la caffeina induce tolleranza ai suoi effetti molto prima di quanto
si credeva in passato: bastano un paio di tazzine al giorno, ad esempio, per non risentire più
dell’effetto ansiogeno del caffè. Il problema vero però è l’astinenza: in chi beve abbastanza caffè
basta meno di un giorno lontano dalla tazzina per ritrovarsi con il mal di testa e una riduzione
della lucidità mentale”.
Detto in parole povere, è facile passare dall’amore alla dipendenza per il caffè, perché il non
prenderlo provoca mal di testa ed un senso d’intorpidimento mentale. A peggiore le cose, il fatto
che la dipendenza è relativamente facile da acquisire (possono bastare tre tazze di caffè americano
al giorno, l’equivalente di 4 espressi, si è già in difficoltà dovendo fare a meno della “dose”
giornaliera).
Parziale consolazione: sotto tale soglia si è al sicuro. Quindi viva il caffè, ma con moderazione.
Fonte: Peter J Rogers, Christa Hohoff, Susan V Heatherley, Emma L Mullings, Peter J Maxfield,
Richard P Evershed, Jürgen Deckert, David J Nutt, “Association of the Anxiogenic and Alerting
Effects of Caffeine with ADORA2A and ADORA1 Polymorphisms and Habitual Level of Caffeine
Consumption”, Neuropsychopharmacology 2010, doi:10.1038/npp.2010.71
Matteo Clerici
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Caffè, molta gloria e pochi risultati
L’effetto risvegliante del caffè sarebbe solo illusorio, afferma ricerca
Molti riescono a fatica a raggiungere la cucina per mettere la macchinetta sul fuoco. Tante persone
giustificano la loro attivazione lenta con la mancanza di caffè, ma uno studio potrebbe smentirli
clamorosamente.
In realtà, il caffè non avrebbe alcun effetto sulla lucidità mentale e, anzi, a lungo andare la
peggiorerebbe perché costringe la persona a una vera e propria dipendenza da caffeina, sostanza che
agisce sul sistema nervoso centrale stimolando la produzione di adenosina. Quest’ultima è coinvolta
nei processi di regolazione della pressione arteriosa e spinge l’organismo a rendersi più vigile
rispetto all’ambiente circostante.
Tuttavia, uno studio pubblicato sulla rivista Neuropsychopharmacology mette in dubbio tante certezze
acquisite finora sull’argomento. Ricercatori inglesi dell’Università di Bristol hanno
disintossicato quasi 400 appassionati di caffè, divisi fra consumatori accaniti e occasionali,
lasciandoli a secco per 16 ore di seguito durante la giornata. I medici hanno poi diviso i volontari
in due gruppi, offrendo alla metà di essi una tazza di 100 ml di caffè e agli altri la stessa
quantità di placebo.
I risultati hanno mostrato che il placebo produceva lo stesso effetto del caffè, aiutando
l’organismo a recuperare lucidità e a svegliarsi, in quei volontari che non ne erano dipendenti. Fra
chi beveva caffè in maniera quotidiana e smodata, invece, il placebo non riusciva a riprodurre gli
stessi effetti nelle persone, che oltretutto accusavano cali di concentrazione e mal di testa.
L’autore dello studio, Paul Rogers, ne spiega i motivi: benché i consumatori di caffeina si sentano
più svegli dopo un caffè, leffetto reale è quello di riportare lorganismo agli stessi livelli di
allerta che si avevano prima dellastinenza dalla caffeina.
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