Lettera di un veggente ad un amico
Le Chiavi Mistiche dello Yoga
di Guido Da Todi
Capitolo 33:
– LETTERA DI UN VEGGENTE AD UN AMICO –
Vivevo a Roma; più o meno con l’età dei tuoi impatti fenomenologici: 17 anni.
Era il periodo in cui, acceso di misticismo, lottavo con le forze dualistiche che compongono l’incarnazione umana. Luce ed ombra.
Ricordo i miei solitari rifugi nella famosa Libreria Bocca, a Piazza di Spagna. Il mio inerpicarmi sulle lunghe scale scorrevoli che portavano ai piani più alti degli scaffali, alla ricerca istintiva di ogni testo esoterico di buona lega che potessi scoprire….
Una tarda sera estiva uscii da casa mia; abitavo nel quartiere Nomentano, con i miei genitori.
A poche centinaia di passi vi è la chiesa di S. Agnese. Una splendida chiesa, anche se modesta e parca. Nel suo cortiletto interno, la riproduzione esatta della grotta di Lourdes, con la statua della Madonnina in preghiera, il rosario tra le mani bianche….
Io passeggiavo, sotto un cielo stupendo di stelle, con serenità, distacco, in un vialone (Corso
Trieste) silenzioso e tranquillo, vista l’ora.
Imboccai la salitella stretta e lunga che porta alla parte retrostante dell’entrata principale della
Chiesa, proprio lì dove sta il cancellino del cortile di Lourdes, e iniziai a salire.
Prese, a quel punto, a nascere nella mia coscienza uno stato di gioia acuto, di distacco da ogni problema contingente; sentivo che la dimensione normale (dei tre piani) stava dilatandosi. E percepivo lo stato di grazia che prelude l’impatto con la libertà dal corpo.
Una sensazione simile a quella che provò Yogananda (ma, che è comune ad ogni individuo che prova le stesse esperienze) quando Sri Sri Sri Sri Yukteswarji, toccandolo nel centro tra gli occhi, lo sbalzò fuori del corpo, nell’Ashram, e gli fece provare la libertà dello spirito (salvo, poi, a indicargli la scopa, in un angolo della terrazza, e dirgli di spazzare per terra, per la legge dei contrasti, quando Mukunda …).
avvicinarsi un’atmosfera di ; una pace difficile a descrivere; quasi simile ad una droga lucida e ricca di senso di realtà (dico spesso che Dio è la più potente che esista, i cui effetti sono assoluti, a fronte del rabberciato nichilismo di quella umana..).
Mi lasciai andare a questo stato di riposo dello spirito, che si introduceva, lentamente, in ogni aspetto radicale del mio essere fisico e metafisico; e continuai a camminare lentamente lungo la stradetta… La lontana luce dei lampioni colpiva di riflesso il luogo dove mi trovavo; non c’era un buio totale. Ed ecco che, allungando lo sguardo, vidi davanti a me , più che camminare, due
presenze lattescenti. Esse parlavano tra di esse, con attenzione e partecipazione. Ma, la loro , più che sonora e labiale, era mentale; era un suono interiore..
Non appena si accorsero di me, però in un modo direi (perdona, ma non si può essere esatti nel descrivere queste dimensioni…) ebbero un atteggiamento di sorpresa. Ma, non più di tanto. Quando ci si trova nel mondo della verità si acquisisce un senso delle proporzioni ben più equilibrato di quando si vive nel mondo di maya…
Nel mio caso, la sorpresa non esisteva. Riconobbi quella dimensione. Era quella tra le incarnazioni…
Procedetti nel sentiero; lo stato di completo samadhi sarebbe venuto di lì a poco…
Più avanti, a dieci metri, altre forme scivolavano; piene di vita, di verità, di espressività; ma, sempre lattescenti. Andavano verso il luogo di culto verso il quale mi dirigevo io stesso.
Oramai la spazialità spirituale mi aveva quasi del tutto assorbito.
Giunsi al cancellino che separa la strada dal cortiletto. Una circolare grata di sbarre si diparte ai suoi
due lati, per chiudere lo spiazzale antistante la chiesa, e del verde intenso, a quei tempi, copriva fittamente queste grate.
Mi appoggiai al cancellino, attraversandolo con le braccia e tenendo le mani a pencolare al di là di esso.
Molte volte ero andato (sin da bimbetto) in quella chiesa; molte volte avevo giocato con la mia sorellina Silvana davanti all’effigie sacra.
Oramai, la coscienza si era ed io mi trovavo in un ben reale di quella dimensione che tutti sentiamo, parlando del metafisico, ma non riusciamo a .
Una piccola folla di figure luminose, trasparenti, ombrate e sempre lattescenti stava davanti alla statua; tutte in atteggiamento di preghiera, e di sacra devozione. L’atmosfera percepibile s’era fatta totalmente mistica; è difficile spiegare la sensazione del divino, quando la si prova senza un corpo fisico. È difficile anche spiegare il senso di perfetta, lucida realtà che il proprio animo recepisce in questi casi. Dubitare di essa sarebbe come dubitare della tua mano, messa a sventolare davanti ai propri occhi…
Di solito, e la gente ne ignora il fatto, i luoghi di culto sono visitati dagli spiriti liberi dal proprio corpo..
Ho sempre impressa alla mente una vecchina, vestita modestamente, con un fazzoletto al collo
(sempre radiante) che, l’unica, si mise a fissarmi con una sorpresa distinta dalle altre persone
(che, a dir la verità, fecero attenzione non più di tanto a me…). “Cosa ci sta a fare, questo, nel mondo della non fisicità? Come è entrato qui?…”
La penetrazione nei mondi sottili si faceva più profonda…Il piano fisico cominciò a non esistere; a consumarsi e a dileguarsi fuori dalla mia coscienza. Ma, possedevo ancora un brandello di essa.
Forse per un istinto di protezione, di ricerca di intimità maggiore mi infilai in un foro tra le grate verdeggianti del cortile ed entrai nel cortile.
Mi trovavo, ora, davanti alla piccola grotta. Sullo zoccolo che sbalzava, in terra, davanti all’inferriata che proteggeva la statua, erano posti molti di quei candelotti tondi, di quei lumini che si adoperano anche per rendere onore ai morti.
Osservandone le fiammelle vidi, con immenso stupore e curiosità, le piccole creature del Fuoco. Minuscoli esseri (alcuni antropomorfi) che si avvorticavano, con lentezza, movimenti lenti, naturali all’interno del luminoso e rovente stoppino. Erano minuscole, giocose, istintuali; capriolavano lentamente, come delfini grandi un pollice (ma, con movenze molto più rallentate..)…
Dopo avrei studiato e conosciuto l’esistenza degli ; in quel momento non ne sapevo nulla…
Mi avvicinai ad un angolo del cortile; mi sedetti per terra.. E sopravvenne il samadhi.
Il mondo dei Deva.
La grotta, adesso, ardeva di luce propria. Ma, il fenomeno è naturale. TUTTO È LUCE! Semplicemente la materia mi stava mostrando il suo vero ed originale aspetto; pur non trascurando quello normale. Ossia, le rughe, le scanalature, la composizione materiale dello sfondo di essa restava, in qualche modo, visibile alla mia doppia vista.
E fu proprio da questo mosaico di forme riprodotte dall’uomo che, lentamente, dolcemente, luminosamente prese (non so come meglio dirlo) ad emergere una nuova realtà.
Due splendide Figure si inserirono fuori dal non essere; presero spazio, senza violenza, in modo spontaneo, armonioso nel mondo della forma. Divennero protagoniste di quel brandello di ambiente che era la grotta, facendola scomparire.
Erano due Deva.
Rappresentavano l’aspetto bipolare dell’essere.
La prima figura si manifestò come un Pensatore, avvolto da una tunica che lo ricopriva, e che ne svelava solo il volto intenso; egli era seduto, come su di un seggio invisibile, il capo poggiato sul dorso della mano, sostenuta dal braccio celato dalla tunica. Per tutto il tempo non si mosse mai; solo i significati del suo impronunziabile messaggio si scolpivano nel mio essere, in una magica osmosi.
Tuttora, il messaggio non cessa di esprimersi, fuori da ogni tempo e spazio.
In piedi, alta accanto a lui, la figura di un Deva in forma femminile. Ma, al contrario della del primo, Ella incarnava la Madre Cosmica.
Era l’unica che mi guardasse negli occhi. E lo fece per tutto il tempo, sorridendomi con un incanto che, tuttora, non sono riuscito a formalizzare e decifrare completamente.
Ad un certo punto annuì con il capo.
In questo assenso era nascosto un messaggio ermetico che solo io posso comprendere, perché diretto ad un mio personale destino e karma.
L’unità dell’Essere divenne una concreta, manifesta, comprovata sensazione metafisica, che, da allora, fa parte del mio io, in forma inestinguibile.
La luce, la luce, la luce materiale, immateriale, radiante, magica, pranica, interna ed esterna alle cose; la luce era protagonista di quell’esperienza che durò solo il battito di una ciglia.
Difatti, aprii gli occhi e vidi che era giorno pieno.
Udii allora un rumore di chiavi. Il guardiano della chiesa, dall’interno, veniva ad aprire l’usciolo del cortile. Mi vide e rimase come un allocco. Forse non ebbe il coraggio di dirmi nulla, considerata l’espressione estatica che mi riempiva l’animo ed il viso…
Fu allora che mi alzai ed uscii dal cancellino (aperto dal guardiano)… Tornai a casa….
…e non fui più lo stesso…
(Guido Da Todi)
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