24 ottobre 2013
Da un serbatoio di elettroni, noto anche come mare di Fermi, è possibile eccitare ed estrarre un
singolo elettrone, facendolo poi propagare come una quasiparticella. Il risultato è stato ottenuto
per la prima volta con un elettrodo di dimensioni nanoscopiche in cui è applicata una differenza di
potenziale variabile nel tempo. Il risultato conferma per la prima volta una previsione teorica
fatta nel 1996 dal fisico russo Leonid Levitov, e la quasiparticella è stata perciò battezzata
levitone (red)
lescienze.it
Un intervento esterno può provocare la propagazione di un’unica onda sulla superficie del mare? La
risposta è sì, a patto che si tratti del cosiddetto mare di Fermi, cioè un serbatoio di elettroni, e
che per onda si intenda un singolo elettrone. Lo dimostra un nuovo studio apparso sulla rivista
Nature da Jacques Dubois del Nanoelectronics Group, Service de Physique de lEtat Condense
dell’IRAMIS/DSM a Saclay, in Francia, e colleghi di un’ampia collaborazione.
Gli autori hanno realizzato un apparato di dimensioni nanoscopiche, tenuto a temperature
criogeniche, che ha permesso per la prima volta di osservare una quasiparticella, cioè una
particolare eccitazione elementare di un sistema condensato, chiamata levitone e prevista per via
teorica nel 1996 da uno studio del fisico russo Leonid Levitov.
Il sistema ideato da Levitov è un elettrodo a nanoscale, che può essere considerato come un
serbatoio pieno di elettroni, denominato anche mare di Fermi. Applicando una differenza di
potenziale all’elettrodo, si può cambiare il livello del mare di Fermi alzandolo, cioè immettendo
più elettroni, oppure abbassandolo, togliendo elettroni.
Se però la differenza di potenziale varia nel tempo, allora eccita il mare di Fermi, causando onde e
“spruzzi” di elettroni. Questo effetto ha portato Levitov e colleghi a studiare per via teorica il
problema e a trovare un risultato importante: una particolare forma di impulso di potenziale è in
grado di eccitare un solo elettrone nel mare di Fermi, senza lasciare tracce dietro di sé.
Per produrre i levitoni, Dubois e colleghi hanno usato un circuito a nanoscale che consiste di due
elettrodi collegati da un piccolo conduttore. Hanno poi applicato una tensione a impulsi, variabile
nel tempo, a un elettrodo per generare levitoni che dall’elettrodo si propagano attraverso il
conduttore all’altro elettrodo. Una delle maggiori difficoltà dell’esperimento è stata evitare
fluttuazioni termiche che potessero sovrastare l’effetto delle variazioni di potenziale. Per
osservare il fenomeno dei levitoni, l’apparato sperimentale è stato tenuto a temperatura molto
bassa: 35 millikelvin, cioè 35 millesimi di grado sopra lo zero assoluto.
Il lavoro di Dubois e colleghi dimostra la possibilità di avere un preciso controllo su un singolo
elettrone nel mare di Fermi di un nanoelettrodo, aprendo così interessanti prospettive per un’ampia
gamma di applicazioni nella ricerca fondamentale, per esempio nel campo dell’elettronica quantistica
o dell’ottica quantistica.
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