LIBERARSI DAL FALSO EGO

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LIBERARSI DAL FALSO EGO

Di Marco Ferrini

L’ego è il Distruttore, il principio di separazione e di disunione. È antitetico all’Amore. L’ego dà
l’illusione di possedere la felicità, ma a contatto con esso non vi è che piacere effimero. L’ego dà
l’illusione di possedere l’amore, ma questo sentimento accostandosi all’ego diventa nulla più di un
attaccamento morboso. L’amore divino immortale appartiene all’anima; gli attaccamenti egoistici e
condizionati appartengono all’ego. Liberarsi dalla prigione dell’ego falso (ahamkara) è il primo e
più importante lavoro da fare da parte di un aspirante spiritualista, qualsiasi tradizione o
sentiero religioso egli scelga di seguire. Liberandosi da ahamkara non si smarrisce la nostra
identità, anzi essa può risorgere solo quando vengono meno le false identificazioni e maschere della
personalità (sarvo upadhir vinir muktam). Finché rimaniamo avvinghiati all’ego falso e ci
trastulliamo con esso, non ci sarà modo di conoscere né noi stessi, né Dio.

Il lavoro da fare è serio, impegnativo, ma anche magnifico e affascinante. Ci conduce a vedere noi
stessi, gli altri e ogni cosa nel mondo con gli occhi dell’anima, percependoci come creature del
Signore che operano per la Sua grazia e misericordia, in armonia con il Tutto. Nel Buddhismo l’ego è
descritto come la causa del dolore e di tutti i mali; si combatte con la radicale rinuncia al mondo.
Nelle Tradizioni mediorientali: Ebraismo, Cristianesimo, Islam, si combatte con la rinuncia, la
preghiera e il digiuno. Nell’ordine francescano i tre voti perpetui sono: povertà, castità e
obbedienza. Nel Vedanta e nel Samkhya l’ego è considerato come causa principale di avidya, di
allontanamento da Dio, di caduta e degradazione. Esso è il più grande ostacolo alla realizzazione
del Sé e della Felicità; è la forza che si oppone all’anima e a Dio. E’ la principale causa
dell’invidia e di caduta negli angeli e negli uomini: da Lucifero a Macbeth, sia nelle vicende
antiche che in quelle moderne. A causa dell’ego Lucifero diventa Satana e Lord Macbeth diventa una
persona degradata e ripugnante. In lui l’ego si manifesta nella forma della sua Eva, Lady Macbeth,
che stimola ed incrementa le sue tendenze più negative.

Il principio di Eva e di Adamo è in ciascuno di noi, così come in ciascuno di noi c’è l’angelo, il
puro devoto che aspira alla liberazione di sé e degli altri. Se scegliamo di nutrire il serpente,
vincerà il serpente. Se nutriamo l’angelo e la sua luminosa natura spirituale, vincerà l’angelo. In
ognuno di noi ci sono Vitra e Indra, Lucifero e Michele. Il nostro destino dipende dalla scelta che
facciamo, se verso l’uno o verso l’altro. Assieme all’orgoglio e alla superbia, il falso ego é la
caratteristica principale degli esseri demoniaci, asura, che letteralmente significa senza luce.
L’umiltà è l’atteggiamento opposto e, in parte, ne è anche l’antidoto. In una celebre metafora con
cui Shri Caitanya Mahaprabhu ammaestra il suo principale discepolo, Shrila Rupa Gosvami, la
devozione, Bhakti, dell’aspirante spiritualista viene paragonata ad una tenera pianticella, bhakti
lata bija, circondata dalle piante infestanti dell’ego che tendono ad estendersi e a distruggerla.
Dobbiamo con ogni nostra forza prenderci cura e proteggere questa tenera pianticella della Bhakti
praticando la disciplina spirituale (sadhana) in modo costante (abhyasa) e con distacco emotivo dal
fenomenico (vairagya), sviluppando il puro desiderio di servizio e di offerta a Dio.

L’offerta al Supremo di tutto ciò che si possiede è definita da Shri Caitanya come la più alta forma
di rinuncia: yukta vairagya. La malapianta dell’ego è sradicata dalla pratica costante della sadhana
bhakti con umiltà e in spirito di servizio. Nella vaidhi sadhana bhakti la centralità delle pratiche
spirituali è costituita dall’Harinama japa o Harinama Sankirtana, l’implorazione di Dio attraverso i
Santi Nomi: servire la Divinità invocando il Suo Nome, poiché Dio e il Suo Nome sono identici; il
Nome stesso è manifestazione divina. Per invocare il Santo Nome con purezza, senza un atteggiamento
offensivo, è richiesta umiltà. Quest’ultima deriva dalla consapevolezza della nostra natura di
servitori di Dio; è l’umiltà della parte che si rapporta al Tutto, a Dio, alle Sue creature e al Suo
creato. L’umiltà si sviluppa imparando a rispettare e a valorizzare tutti gli esseri, chiunque essi
siano, a prescindere dal corpo che temporaneamente indossano. Solo allora, per misericordia divina,
le offese che minacciano la nostra realizzazione spirituale cesseranno e sarà possibile cantare il
Santo Nome in estasi.

da psicologiaespiritualita.blogspot.com/

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