L’impronta dell’entropia nella fisiologia umana

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L’impronta dell’entropia nella fisiologia umana

Scienza e Fisica Quantistica

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La seconda legge della termodinamica conferma la sua trasversalità in tutto l’Universo fisico.
L’impronta dell’entropia è riconoscibile anche nell’ambito della fisiologia umana quando
nell’organismo, o in sue parti, intervengono modificazioni a seguito di interazioni con l’ambiente
esterno.

Fausto Bersani Greggio – 27/12/2023

Il rapporto stimolo – risposta

Gli organi di senso rappresentano la base biologica della percezione. Nell’uomo completano la loro
maturazione entro i primi 4-5 mesi di vita e la loro funzione è quella di registrare i cambiamenti
che avvengono nell’ambiente e trasmetterli al cervello.

Per esempio il sistema visivo è sensibile alla luce emessa o riflessa da un oggetto (energia
elettromagnetica) e i diversi sistemi sensoriali la traducono in impulsi nervosi.

Lo stesso dicasi per i suoni percepiti dal nostro apparato uditivo.

Ogni organo di senso comporta una trasduzione, ossia la modificazione di un tipo di energia presente
nell’ambiente (ad esempio onde luminose o sonore) in segnali neuronali, ossia un altro tipo di
energia.

Inoltre i sensi non rispondono solo alla stimolazione di una particolare forma di energia, ma devono
anche fornire percezioni differenziate a fronte di eventuali variazioni del segnale esterno.

In sostanza ogni forma di energia può variare secondo due modalità: quantitativa e qualitativa.

Nella fase di registrazione i nostri organi di senso, come tutti gli strumenti di misura, sono però
vincolati da alcuni limiti.

Il primo è legato al fatto che ogni sistema è sensibile solo ad un particolare tipo di energia.

Ciò comporta che molti altri stimoli possono essere presenti nell’ambiente ma noi non possiamo
avvertirli, perché il nostro sistema sensoriale non è capace di rilevarli (1), almeno non in tempo
reale. Di questo problema me ne occuperò nell’ultima parte.

Un altro limite è rappresentato dall’intensità dello stimolo.

Questo vuol dire che qualsiasi stimolo fisico deve raggiungere un livello minimo per suscitare una
sensazione. Tale livello, chiamato soglia assoluta, segna il confine fra gli stimoli che vengono
recepiti dall’organismo (stimoli sovraliminari) e gli stimoli che, pur essendo presenti, non sono
avvertiti dall’organismo (stimoli infraliminari) [1].

Un importante contributo in questo ambito venne dallo studio della fisiologia dell’occhio. Infatti
si può dimostrare che l’occhio umano reagisce alla sensazione della luce in modo logaritmico. Per
dare un idea, proviamo a immaginarci dentro una stanza completamente buia, e supponiamo di
cominciare ad accendere una lampadina. La prima sensazione che proveremo sarà quella di essere quasi
abbagliati da questa luce. Supponiamo adesso di accendere una seconda lampadina di uguale intensità.
Adesso non percepiremo più questo secondo evento con una sensazione di abbaglio, ma semplicemente
vedremo la stanza più luminosa. All’accensione di una terza lampadina la sensazione di abbaglio sarà
sempre meno intensa e così via.

Altro esempio lo possiamo formulare pensando all’udito. Quando siamo fermi ad un semaforo per
aspettare il verde e ad un tratto sentiamo il suono di un clacson lo avvertiamo in maniera molto
netta provocandoci una sensazione molto intensa. Se a questo primo si aggiunge un secondo clacson
non percepiremo una sensazione di intensità doppia rispetto alla precedente.

Un altro caso di relazione esistente tra stimolo e percezione può essere realizzato con un
esperimento consistente nell’incrementare, di una certa quantità, il peso di un oggetto sostenuto da
una persona. La percezione di tale stimolo (l’incremento di peso) risulta essere tanto meno
accentuata, quanto più pesante è l’oggetto: ad esempio aggiungere 1 kg ad un oggetto il cui peso è
di 50 g risulta essere percepito in maniera più gravosa rispetto ad aggiungere 1 kg ad un oggetto il
cui peso iniziale è di 20 kg. In altri termini aumenti graduali e costanti del peso fisico si
accompagnano ad aumenti via via sempre più deboli della sensazione di pesantezza.

La differenza appena percepibile pare sia una costante, che ha un valore specifico per ogni modalità
sensoriale e misura l’intensità di uno stimolo dicendoci di quanto esso deve variare per essere
percepito come diverso da un altro (Legge di Weber-Fechner).

Tornando all’esempio delle lampadine, nella rappresentazione grafica che mette in relazione lo
stimolo con la risposta (v. fig.1), all’inizio ci sarà un plateau dovuto all’assenza di luce o
comunque alla presenza di stimoli talmente deboli da essere al di sotto della soglia percettiva
(stimoli infraliminari). Via via che il numero di lampadine aumenta ci sarà un incremento della
percezione della luce che poi si trasformerà ancora in un plateau con una lenta crescita quando il
numero delle sorgenti accese sarà sufficientemente elevato per cui l’occhio non sarà più in grado di
apprezzarne la differenza. Quindi la curva sarà costituita da una soglia iniziale, seguita da un
andamento di crescita approssimativamente lineare e quindi da una saturazione:

www.scienzaeconoscenza.it/data/upload/Schermata%202017-07-24%20alle%2014.08.53.png
fig. 1

Volendo semplificare, diremo che la risposta degli organi di senso presenta una curva con un
andamento logaritmico, per cui noi possiamo descrivere la “sensazione” (risposta) come una costante
(k) che moltiplica il logaritmo della “Intensità del segnale” (stimolo), più una costante che è
dipendente dalla soglia:

R = k ·ln I + costante (1)

Entropia e statistica

In fisica esiste una grandezza che quando viene nominata incute soggezione e allo stesso tempo
suscita fascino: l’entropia. A livello microscopico, tutte le leggi fisiche sono stranamente
reversibili nel tempo, tuttavia a livello macroscopico, quando viene coinvolto un numero elevato di
particelle, il tempo presenta una freccia ben definita: l’inchiostro versato in un bicchiere
contenente acqua si diffonderà e si mescolerà, non si separerà mai dalla soluzione acquosa per
tornare nel contagocce, quest’ultima sequenza è contraria al nostro senso del tempo.

L’uomo che diede un significato a tutto ciò fu Ludwig Boltzmann il quale, non preso molto sul serio
dai suoi contemporanei, oggi viene considerato uno dei geni della fisica. Nella seconda metà del XIX
secolo, intuì per primo che l’entropia, una grandezza già nota in fisica, in particolare nel secondo
principio della termodinamica, era una misura del disordine di un sistema.

In particolare propose che fosse da mettere in relazione con il numero dei diversi modi microscopici
(microstati) attraverso i quali si può ottenere una situazione osservabile sul piano macroscopico
(macrostato) (2).

Un microstato di un sistema termodinamico rappresenta una precisa configurazione dei suoi parametri
microscopici (per esempio masse, posizioni e velocità di tutte le molecole che costituiscono il
sistema). Un macrostato rappresenta invece una condizione con valori ben determinati di pressione,
volume e temperatura, tutte grandezze macroscopiche.

Inoltre, mentre ad ogni microstato possiamo associare uno ed un solo macrostato, ad ogni macrostato
possono corrispondere più microstati possibili.

Pensiamo ad esempio alle molecole di un gas che, occupando il medesimo volume, possono avere
velocità e posizioni molto diverse pur mantenendo la stessa energia cinetica media e quindi la
stessa temperatura misurabile a livello macroscopico con un termometro.

Il risultato fondamentale a cui giunse Boltzmann fu che l’entropia S può essere calcolata, a meno di
una costante, con un’espressione logaritmica del tipo:

S = k ·ln W + costante (2)

in cui W rappresenta il numero di possibili modi equivalenti su scala microscopica (microstati) in
cui le molecole possono essere organizzate fra loro per dare lo stesso stato macroscopico
(macrostato) [2].

Boltzmann riuscì a trovare il legame tra il concetto termodinamico di entropia e quello di disordine
passando attraverso una chiave di lettura statistica: qualsiasi situazione definita in modo tale da
poter essere descritta in pochi modi diversi viene riconosciuta come ordinata e meno probabile. Al
contrario, una qualsiasi situazione che possa essere descritta in molti modi, tutti equivalenti,
viene detta disordinata e più probabile.

Quando nel secondo principio della termodinamica si afferma che l’entropia totale dell’Universo è in
continuo aumento arriviamo a uno dei concetti più importanti di tutta la scienza: in un qualsiasi
processo reale e spontaneo il disordine dell’Universo aumenta sempre. Anche se il moto di ogni
singola particella è reversibile nel tempo, non lo è la tendenza verso l’aumento del “disordine” di
una grande collezione di particelle. In questo consiste la freccia del tempo, ossia nel divenire
macroscopico dell’Universo da uno stato di maggiore ordine, e meno probabile, ad uno di maggiore
disordine, e più probabile, proprio come nel caso dell’inchiostro nell’acqua.

Tentiamo una sintesi

Alla luce di quanto sopra esposto, viene spontaneo tentare una sintesi accattivante. Nelle varie
trasformazioni energetiche che avvengono nell’Universo, l’energia totale rimane sempre costante
(Primo principio della termodinamica) anche se la sua qualità subisce una sorta di degrado a causa
dell’inevitabile tendenza al disordine. In altri termini, ad ogni passaggio successivo, è come se
l’energia perdesse di qualità e diventasse sempre meno disponibile per produrre lavoro.

In tutto ciò la somiglianza tra la legge sperimentale di Weber – Fechner (1) e l’interpretazione
statistica dell’entropia fornita da Boltzmann (2) è sorprendente.

Gli accostamenti, ad esempio, tra la risposta a uno stimolo e l’entropia, così come tra il numero di
microstati possibili e l’intensità dello stimolo stesso non possono passare inosservati: uno stimolo
esterno sarà tanto più significativo quanto maggiore sarà il numero di microstati che metterà a
disposizione del sistema e, allo stesso tempo, la risposta fisiologica sarà proporzionale al grado
di disordine che viene introdotto a livello biologico a fronte di tale interazione con l’ambiente.
Di fatto l’energia che viene fornita a livello cellulare genera un disordine in grado di produrre
sensazioni e percezioni con una risposta che in linguaggio matematico diremo logaritmica.

Il nostro sistema percettivo, nel momento della trasduzione, trasforma energia ordinata ad esempio
sotto forma di onde elettromagnetiche o acustiche, le quali contengono informazioni sull’universo
circostante, in impulsi nervosi, l’unico linguaggio che il cervello è in grado di comprendere, anche
se più disordinati. Questo connotato degenerativo comporta, dopo la trasduzione del nostro cervello,
una perdita delle informazioni originali dello stimolo e impedisce un’ulteriore possibilità di
produrre lavoro.

Oltre gli organi di senso

In sostanza ritengo che la legge di Weber – Fechner non sia altro che una forma mascherata della
seconda legge della termodinamica. Se così fosse, dal momento che essa rappresenta una legge
trasversale a tutto l’Universo fisico, dovrebbe potersi manifestare, per quanto ci riguarda, anche
laddove il nostro apparato sensoriale, dotato di specifiche sensibilità (acustica, visiva,
gustativa, olfattiva, tattile), non riesce ad essere allertato.

Ad esempio non siamo in grado di inseguire visivamente il movimento troppo veloce della luce, ma ciò
non impedisce che la nostra vista ne riceva stimoli e fornisca delle risposte percettive. Allo
stesso modo non siamo in grado di apprezzare il moto troppo lento della terra, ma ciò non toglie
comunque che alcuni nostri bioritmi, ad esempio, si siano adattati al ritmo circadiano notte –
giorno legato proprio alla rotazione terrestre, basti pensare alla produzione di melatonina o di
cortisolo.

Pertanto ritengo che uno stimolo non sia solamente energia in grado di suscitare una risposta rapida
a livello dei recettori legati agli organi di senso, quanto piuttosto ad ogni tipo di bioricettore.

Potrebbero essere coinvolti complessi meccanismi, non solo quelli preposti alla raccolta e
all’elaborazione di informazioni in tempi molto brevi. È noto che esistono effetti, anche
patologici, a distanza di tempo senza un preavviso sensoriale. Una sollecitazione silente che
tuttavia potrebbe comportare un aumentato rischio di evoluzioni patologiche a causa di una sorta di
effetto di accumulazione nel tempo.

A questo punto ho provato ad applicare queste valutazioni ad una serie di studi epidemiologici volti
a verificare l’ipotesi di incidenza di leucemia infantile per esposizioni a campi magnetici generati
da linee elettriche in bassa frequenza (50 Hz). A questo proposito è utile segnalare che in virtù di
alcuni di questi studi la IARC (International Agency for Research on Cancer, Lione, Francia)
classificò, nel 2002, tali campi fra i possibili cancerogeni per l’uomo.

Nel corso della mia ricerca bibliografica [2], [3], [4], [5], che ha coinvolto 20 pubblicazioni
apararse dal 1993 al 2010, è stato preso in considerazione, come parametro statistico, il cosiddetto
Rapporto di disparità (Odds Ratio = OR) (3).

Il suo significato si può facilmente chiarire con un esempio: se in un’indagine risulta che il 12%
dei fumatori e il 4% dei non fumatori si ammalano di broncopolmonite in un periodo di osservazione
di dieci anni, il fattore OR si ottiene confrontando il rapporto tra individui colpiti dall’evento e
individui non colpiti, selezionati tra gli esposti, ed il corrispondente rapporto tra i non esposti.
Nell’esempio precedente, tra i fumatori il rapporto è 12/(100-12), ossia 3/22, mentre tra i non
fumatori risulta 4/(100-4), ossia 1/24; pertanto si ha che OR = 3/22 : 1/24 = 72/22 = 3,27. Quando
il fattore OR è pari a 1 l’esposizione non ha alcuna influenza sul rischio, siamo cioè in condizioni
di soglia, quando risulta maggiore di 1 il rischio aumenta con l’esposizione, se invece è inferiore
a 1 l’esposizione ha un ruolo protettivo. I dettagli dell’analisi statistica che ho condotto sono
reperibili sul mio sito [6]. In questa sede mi limito a riportare solo il risultato principale:
mediando la variabile di rischio OR ottenuta nei vari studi e mettendola in relazione con il campo
magnetico, espresso in microTesla, a cui erano esposti a livello residenziale campioni della
popolazione in età pediatrica, si ottiene nuovamente una curva logaritmica:

www.scienzaeconoscenza.it/data/upload/Schermata%202017-07-24%20alle%2014.28.29.png
fig.2

La soglia si colloca intorno a 0,2 microTesla (uT), esposizione che fornisce un OR = 1. Il
coefficiente di correlazione R2, che compare nel riquadro giallo, ci indica il livello di
adattamento della curva ai punti sperimentali. L’interpolazione è tanto più corretta quanto più R2
si avvicina ad 1. Nel nostro caso si ottiene un valore pari a 0,9985. Un’analisi statistica
dettagliata dimostra che la probabilità che due variabili non correlate diano un R2 maggiore o
uguale a quanto ho trovato (cioè forniscano un “falso positivo”) è solo del 2,5%. Secondo gli
standard statistici questa correlazione viene definita significativa.

Una riflessione finale

In conclusione credo che questo tipo di approccio possa aprire un varco estremamente interessante
nell’ambito della fisiologia umana. In sostanza ritengo si possa affermare che l’impronta
dell’entropia sia riconoscibile a tutti i livelli: sia negli effetti immediati e acuti legati agli
organi di senso, sia nelle dinamiche più complesse dei cosiddetti effetti cronici caratterizzati da
lunghi periodi di latenza. Il filo conduttore comune è la natura statistica dell’entropia, un
connotato fondamentale dei sistemi macroscopici per i quali Boltzmann dimostrò l’esistenza di una
freccia temporale, una vera e propria rottura di simmetria nell’Universo fisico. È forse veramente
il caso di dire che la seconda legge della termodinamica non perdona!

Note

(1) k rappresenta la costante di Boltzmann = 1,38·10-23 J/°K.

(2) Per esempio noi sappiamo che le microonde consentono il funzionamento dei nostri telefoni
cellulari, ma queste non sono visibili ai nostri occhi.

(3) L’epidemiologia consiste nell’osservazione delle frequenze e della distribuzione delle patologie
nelle popolazioni umane ricercando eventuali rapporti di causalità con agenti esterni.

Bibliografia

[1] Sensazione e Percezione, Eleonora Bilotta, https://it.pinterest.com/pin/561613016010986164.

[2] AGENZIA INTERNAZIONALE PER LE RICERCHE SUL CANCRO (O.M.S.), DI LIONE (FRANCIA): IARC Monographs,
Vol. 80 (2002).

[3] Esposizione a campi elettromagnetici a bassa ed alta frequenza e rischi per la salute, Paola
Michelozzi – Dipartimento di epidemiologia del Lazio, Università degli studi di Brescia, Seminari di
Sanità Pubblica, V Edizione, 2012.

[4] CAMPI ELETTROMAGNETICI NON IONIZZANTI (CEM): QUALI RISCHI PER LA SALUTE?, ANGELO GINO LEVIS,
Prof. Ordinario di Mutagenesi Ambientale, Univ. PD Padova/ISDE, 16.05.2013.

[5] Inquinamento da campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, Paolo Bevitori – Maggioli
Editore (2007).

[6] Bersani G. Fausto, sites.google.com/site/unasvoltainfisica/attualita, Leucemia infantile
e campi magnetici ELF (2017).

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