L’ingegneria del wormhole e l’antigravità

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L’ingegneria del wormhole e l’antigravità

John Gribbin

C’è ancora un problema coi wormhole affinché un ingegnere dell’hyperspazio possa prenderli in
considerazione. I calcoli più semplici suggeriscono che qualsiasi cosa possa accadere nell’universo
al di fuori, il tentativo di passaggio di una nave spaziale attraverso il buco dovrebbe far serrare
lo stargate. Il problema sta nel fatto che un oggetto in accelerazione, secondo la teoria generale
della relatività, genera quelle increspature nella trama dello spazio-tempo conosciute come onde
gravitazionali. La stessa radiazione gravitazionale, viaggiando davanti alla nave spaziale e nel
buco nero alla velocità della luce, potrebbe essere amplificata fino a raggiungere un’energia
infinita nell’approssimarsi alla singolarità all’interno del buco nero, incurvando lo spaziotempo
attorno a se e serrando la porta sulla nave spaziale in arrivo. Anche se esistesse un wormhole
naturale attraversabile, sembrerebbe essere instabile alla più piccola perturbazione, incluso il
disturbo causato da un qualsiasi tentativo di attraversarlo.

Ma il gruppo di Thorne trovò una risposta a questo argomento che si adattasse alla richiesta di
Sagan. Dopotutto i wormhole in Contact sono tutt’altro che naturali, sono costruiti. Uno dei suoi
personaggi spiega:

C’è un tunnel interno nell’esatta soluzione di Kerr delle Equazioni di Campo di Einstein, ma è
instabile. La più piccola perturbazione lo chiuderebbe e convertirebbe il tunnel in una singolarità
fisica attraverso cui non può passare nulla. Ho provato ad immaginare una civiltà superiore che
riesca a controllare la struttura interna di una stella che collassa per mantenere stabile il tunnel
interno. E’ molto difficile: La civiltà dovrebbe monitorare e stabilizzare per sempre il tunnel.

Ma il punto sta nel fatto che il trucco, benché possa essere molto difficile, non è impossibile.
Potrebbe operare attraverso un processo conosciuto come feedback negativo, in cui qualsiasi disturbo
nella struttura dello spaziotempo del wormhole crea un altro disturbo che cancella il primo
disturbo. Si tratta dell’opposto dell’effetto familiare di feedback, che porta ad un forte rumore
dagli altoparlanti se viene posto davanti a loro un microfono collegato ad essi stessi tramite un
amplificatore. In questo caso, il rumore dagli altoparlanti va nel microfono, viene amplificato,
esce dagli altoparlanti più forte di prima, viene amplificato… e così via. Si immagini invece che
il rumore che esce dagli altoparlanti e che entra nel microfono venga analizzato da un computer che
poi produce l’onda di un suono con le caratteristiche esattamente opposte da un secondo
altoparlante. Le due onde si cancellerebbero producendo il silenzio totale.

Per l’onda di un suono semplice questo espediente è realizzabile già oggi. Cancellare rumori più
complessi, come l’urlo della folla ad una partita di calcio, non è ancora possibile ma la cosa è
vicina. Così potrebbe non essere completamente inverosimile immaginare la “civiltà superiore” di
Sagan costruire un sistema di ricevitore/trasmettitore d’onda gravitazionale che se ne stia nella
gola di un wormhole e che possa registrare i disturbi causati dal passaggio della nave spaziale
attraverso il wormhole, rimandando un gruppo di onde gravitazionali che cancellerebbero esattamente
il disturbo, prima che possa distruggere il tunnel.

Ma, in primo luogo, da dove vengono fuori i wormhole? Il modo in cui Morris, Yurtsever e Thorne
affrontarono il problema posto da Sagan era opposto a quello in cui tutti prima di loro avevano
pensato ai buchi neri. Invece di considerare alcune specie di oggetti conosciuti nell’Universo, come
una stella morta o una quasar, e cercare di immaginare cosa potesse accadere ad esse, iniziarono col
costruire la descrizione matematica di una geometria che descrivesse un wormhole attraversabile e
poi usarono le equazioni della teoria generale della relatività per immaginare quale tipo di materia
e di energia sarebbe associata ad uno spaziotempo di questo tipo. Ciò che trovarono ha completamente
del buonsenso (con qualche forzatura). La gravità, una forza d’attrazione che spinge a stare assieme
la materia, tende a creare delle singolarità e a staccare la gola di un wormhole. Le equazioni
dicono che allo scopo di tenere aperto un wormhole la sua gola deve essere infilata da una qualche
forma di materia, o da qualche forma di campo, che generi una pressione negativa e che abbia
associata a se l’antigravità.

Ora, potreste pensare, ricordando la fisica fatta a scuola, che ciò esclude completamente la
possibilità di costruire dei wormhole attraversabili. La pressione negativa non è qualcosa che
incontriamo nella vita di tutti i giorni (si immagini di soffiare qualcosa con pressione negativa in
un pallone e vedere il pallone che come risultato si sgonfia). Di sicuro una materia esotica non può
esistere nell’Universo reale? Ma potreste sbagliarvi.

Creando l’antigravità.

La chiave all’antigravità fu scoperta da un fisico olandese, Hendrik Casimir, già nel 1948. Casimir,
che era nato a L’Aia nel 1909, lavorò dal 1942 in poi nei laboratori di ricerca del gigante
elettrico Philips e fu mentre lavorava là che formulò quello che venne poi conosciuto come l’effetto
Casimir.

Il modo più semplice per comprendere l’effetto Casimir sta in due piatti paralleli di metallo
piazzati molto vicini e con niente tra di loro.

Il vuoto quantistico non è come quel tipo di “niente” che si immaginava che fosse prima dell’era
quantistica. Ribolle di attività, con coppie di particelle-antiparticelle prodotte costantemente e
che si annullano l’una con l’altra. Tra le particelle che nascono e muoiono nel vuoto quantistico ci
saranno molti protoni, le particelle che portano la forza elettromagnetica, alcuni dei quali sono le
particelle della luce. Senza dubbio è particolarmente facile per il vuoto produrre fotoni virtuali,
in parte perché un fotone è la propria antiparticella e in parte perché i fotoni non hanno “massa
d’appoggio” di cui preoccuparsi, cosicché tutta l’energia che deve essere presa
dall’indeterminazione quantistica è quella dell’energia dell’onda associata al particolare fotone. I
fotoni con energie differenti sono associati con onde elettromagnetiche di lunghezza d’onda
differente, con lunghezze d’onda più brevi corrispondenti ad energie più grandi; cosicché un altro
modo di pensare a questo aspetto elettromagnetico del vuoto quantistico è che lo spazio vuoto sia
pieno di un mare effimero di onde elettromagnetiche con rappresentate tutte le lunghezze d’onda.

Questa irriducibile attività del vuoto fornisce al vuoto un’energia, ma questa energia è la stessa
dovunque e così non può essere scoperta o usata. L’energia può solo essere usata per fare del
lavoro, e con ciò mostrare la propria presenza, se c’è una differenza tra un posto ed un altro.

Tra due piatti conduttori elettricamente, sottolineò Casimir, le onde elettromagnetiche
riuscirebbero solamente a formare certi schemi stabili. Le onde che rimbalzano tutto intorno ai
piatti si comporterebbero come le onde di una corda di chitarra pizzicata. Tale corda può vibrare
solo in certi modi e produrre certe note, quelle per cui le vibrazioni della corda si adattano alla
lunghezza della corda in modo tale che non ci siano vibrazioni alle estremità fisse della corda. Le
vibrazioni ammesse sono la nota fondamentale per una particolare lunghezza della corda e le sue
armoniche o suoni armonici. Allo stesso modo, solo alcune lunghezze d’onda della radiazione possono
adattarsi allo spazio tra i due piatti di un esperimento di Casimir. In particolare, nessun protone
corrispondente a una lunghezza d’onda più grande della separazione tra i due piatti può adattarsi a
quello spazio. Ciò significa che una parte dell’attività dello spazio viene soppressa nella zona tra
i piatti, mentre continua l’attività solita al di fuori. Il risultato è che in ogni centimetro
cubico di spazio ci sono meno fotoni virtuali che rimbalzano tra i piatti di quanti non ce ne siano
al di fuori e così i piatti subiscono una forza che li spinge ad avvicinarsi. Potrebbe apparire
bizzarro, ma è vero. Sono stati condotti molti esperimenti per misurare la potenza della forza di
Casimir tra due piatti, usando sia piatti piani che curvi e fatti di vari tipi di materiale. La
forza è stata misurata per uno spazio tra i piatti che va da 1,4 nanometri a 15 nanometri (un
nanometro è un miliardesimo di metro) e coincide esattamente con le previsioni di Casimir.

In un articolo che pubblicarono nel 1987, Morris e Thorne attrassero l’attenzione su tali
possibilità e sottolinearono anche che pure un campo puramente elettrico o magnetico infilando il
wormhole “è proprio sul limite d’essere insolito, se la sua tensione fosse infinitesimamente più
larga… soddisferebbe i nostri bisogni nel costruire il wormhole.” Nello stesso scritto concludevano
che “non si dovrebbe assumere in modo spensierato l’impossibilità del materiale esotico che è
richiesto per la gola di un wormhole attraversabile.” I due ricercatori del CalTech hanno messo in
evidenza il punto importante che molti fisici soffrono di mancanza di immaginazione allorché si
arriva a considerare le equazioni che descrivono materia ed energia in condizioni molto più estreme
di quelle che incontriamo qui sulla Terra. Lo mettono in evidenza con l’esempio di un corso per
principianti sulla relatività generale, tenuto al CalTech nell’autunno del 1985, dopo la prima fase
di lavoro stimolata dalla richiesta di Sagan, ma prima che niente di tutto questo fosse di dominio
pubblico, anche tra i relativisti. Agli studente impegnati non fu insegnato niente di specifico sui
wormhole, ma gli fu insegnato ad esplorare il significato fisico delle metriche dello spaziotempo.
Durante l’esame fu posta una domanda che li portava, passo dopo passo, attraverso la descrizione
matematica della metrica corrispondente ad un wormhole. “Fu sorprendente,” dissero Morris e Thorne,
“vedere quanto fosse ristretta l’immaginazione degli studenti. La maggior parte di essi poteva
decifrare le proprietà dettagliate della metrica, ma furono in pochi a riconoscere realmente che
rappresentava un wormhole attraversabile che connetteva due universi differenti.”

Per coloro con l’immaginazione meno ristretta, ci sono ancora due problemi: trovare un modo per fare
un wormhole che sia largo abbastanza per farci passare attraverso della gente (e delle navi
spaziali) e di mantenere il materiale esotico non a contatto con i viaggiatori. Qualsiasi prospetto
per costruire un tale strumento è ben al di là delle nostre possibilità attuali. Ma, come Morris e
Thorne mettono in rilievo, non è impossibile e “di conseguenza non possiamo attualmente escludere
wormhole attraversabili.” A me sembra che ci sia un’analogia qui che pone l’opera di sognatori del
calibro di Thorne e di Visser in un contesto che è al tempo stesso utile e intrigante. All’incirca
500 anni fa, Leonardo da Vinci speculava sulla possibilità delle macchine volanti. Progettò sia
elicotteri che aerei con ali e i moderni ingegneri aeronautici dicono che gli apparecchi costruiti
dai suoi progetti probabilmente avrebbero potuto volare se solo Leonardo avesse avuto i moderni
motori con cui fornirli, anche se non c’era modo in cui un qualsiasi ingegnere del suo tempo avrebbe
potuto costruire una macchina volante con la potenza capace di portare un uomo nell’aria. Leonardo
non poteva neppure sognarsi le possibilità dei jet e i voli passeggeri di routine a velocità
supersoniche. Eppure il Concorde e i jumbo operano sugli stessi principi fisici di base delle
macchine volanti da lui progettate. In non più di mezzo millennio tutti i suoi sogni più sfrenati
non solo si sono avverati, ma sono stati sorpassati. Potrebbe occorrere più di mezzo millennio per i
progettisti a far lasciare il tavolo da disegno ad un wormhole attraversabile, ma le leggi della
fisica dicono che è possibile… e secondo le speculazioni di Sagan, qualcosa che gli assomigli
potrebbe già essere stato realizzato da una civiltà più avanzata della nostra.

© 2001 John Gribbin, titolo originale Wormhole engineering, traduzione italiana Danilo Santoni

da intercom.publinet.it/time/gribbin9.htm

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