L’insostenibile pesantezza dei propri pensieri

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L’insostenibile pesantezza dei propri pensieri

04 luglio 2014

L’esperienza di restare in solitudine con i propri pensieri anche solo per 15 minuti ha generato disagio nella maggior parte dei partecipanti di un apposito esperimento, che piuttosto avrebbero preferito impegnarsi in qualcosa di spiacevole. Alcuni, soprattutto maschi, hanno addirittura preferito auto-infliggersi una piccola ma spiacevole scossa pur di sfuggire a quel compito
(red)

lescienze.it

Il puro pensiero? Per molti è quasi una tortura. Restare da soli con i propri pensieri è vissuto come qualcosa di così disturbante che un elevato numero di persone preferisce impegnarsi in qualcosa di spiacevole, perfino auto-infliggendosii piccole scosse elettriche, piuttosto che far lavorare la mente in solitudine. È la conclusione di una ricerca effettuata da alcuni psicologi dell’Università della Virginia a Charlottesville impegnati a studiare la capacità di astrarsi dall’ambiente in cui si è e concentrarsi su di sé e sui propri pensieri.

Come spiegato in un articolo pubblicato su “Science”, Timothy Wilson e colleghi si sono chiesti quanto possa essere attraente questa “modalità di default” dell’attività cerebrale e per questo hanno progettato 11 varianti di un esperimento in cui i soggetti non dovevano far altro che trascorrere brevi periodi di tempo – dai 6 ai 15 minuti – da soli in una stanza spoglia, non facendo altro che pensare, riflettere o sognare a occhi aperti.

“È probabile che le persone che amano trascorrere un po’ di tempo semplicemente a pensare trovino i risultati dello studio sorprendenti, ma i partecipanti hanno sistematicamente dimostrato che avrebbero preferito avere qualcosa da fare, qualunque cosa, piuttosto che restare soli con i propri pensieri, anche per un lasso di tempo breve”, dice Wilson.

Alle domande poste successivamente dai ricercatori, la maggior parte dei soggetti ha detto di aver trovato difficoltà a concentrarsi e che la loro mente vagava. Nelle varianti degli esperimenti in cui l’esercizio andava fatto a casa, ben un terzo dei partecipanti ha ammesso di aver ‘tradito’ il compito, impegnandosi in qualche attività, come l’ascolto di musica, l’uso del cellulare o quanto meno di essersi alzato dalla sedia.

La maggioranza dei partecipanti ha anche affermato di non aver trovato affatto piacevole l’esperienza: “Restare soli con i propri pensieri per 15 minuti – scrivono i ricercatori – suscita apparentemente una tale avversione da spingere molti partecipanti ad auto-somministrarsi una scossa elettrica”, che in precedenza avevano detto di volere evitare anche pagando, per mezzo di un’apparecchiatura in grado di produrre una piccola ma spiacevole scossa, che era stata “dimenticata” nella stanza del test dagli autori dello studio. A ricorrere a questo escamotage per sfuggire ai propri pensieri è stato il 67 per cento dei maschi e il 25 per cento delle donne, una differenza probabilmente collegata alla maggiore tendenza alla ricerca di novità e sensazioni forti degli uomini, già messa in evidenza da altre ricerche.

Le ragioni precise di questa difficoltà non sono ancora chiare. Sognare a occhi aperti o fantasticare, capita a tutti, ma evidentemente è piacevole solo se avviene spontaneamente e non a comando: “La mente è progettata per entrare in contatto con il mondo e anche quando ci troviamo soli con noi stessi, l’obiettivo è di solito il mondo esterno”, dice Wilson. “E senza una formazione in meditazione o tecniche di controllo del pensiero, la maggior parte delle persone preferisce impegnarsi in attività esterne.”

dx.doi.org/10.1126/science.1250830

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