L’intelligenza delle piante

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L’intelligenza delle piante

Alla scoperta della neurobiologia vegetale, disciplina che studia i segnali e la comunicazione nelle piante a tutti livelli di organizzazione biologica dalla singola molecola alle comunità ecologiche

di Alessandro Silva – 13/05/2013

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Le piante si comportano in maniera intelligente: sono in grado di percepire segnali multipli dall’ambiente circostante e di prendere, in conformità a questi, decisioni in merito alle strategie da seguire. Ma possiamo davvero dire che le piante possiedono una propria forma di intelligenza? Lo studioso italiano di botanica Stefano Mancuso ci presenta delle prove sorprendenti.

La neurobiologia vegetale

La neurobiologia vegetale è la nuova disciplina scientifica che studia come le piante superiori siano capaci di ricevere segnali dall’ambiente circostante, rielaborare le informazioni ottenute e trasmetterle al resto della pianta o ad altre piante, anche distanti. A differenza del comportamento animale che, come risposta a degli stimoli, tende all’azione (movimento), quello che le piante fanno è di modificare la propria morfologia o il loro metabolismo. Questa nuova scienza, di cui si è tenuto di recente a Firenze il primo congresso internazionale, è il frutto delle ricerche di un gruppo di scienziati delle Università di Firenze e di Bonn di cui fanno parte Stefano Mancuso e František Baluška. Proprio Il professor Mancuso, in Italia, ha creato il LINV (Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale) l’unico laboratorio al mondo che, applicando numerose tecniche tipiche delle neuroscienze, studia sensi, segnali e comportamenti delle piante e, inoltre, svolge un continuo lavoro di divulgazione delle nuove conoscenze sul comportamento vegetale.

«La neurobiologia vegetale è nata all’Università di Bonn, con il team di František Baluška» – racconta Mancuso. «Abbiamo scoperto – continua – che in ciascun apice radicale c’è una zona, detta di transizione, le cui cellule mettono in atto una trasmissione sinaptica identica a quella dei tessuti neurali animali». Già nel 1880, Charles Darwin, nel suo libro The power of movement in plants scriveva degli apici radicali: «Non è un’esagerazione dire che la punta delle radici, avendo il potere di dirigere i movimenti delle parti adiacenti, agisce come il cervello di un animale inferiore; il cervello essendo situato nella parte anteriore del corpo riceve impressioni dagli organi di senso e dirige i diversi movimenti della radice».
Nella zona di transizione, che occupa circa due millimetri della punta delle radici, sono localizzate migliaia di cellule che possono rilevare, in tempo reale, una quindicina di parametri diversi quali la temperatura, la presenza di acqua e sali minerali, e contribuire così alle strategie di sopravvivenza della pianta.

L’intelligenza delle piante

Dopo più di un secolo dall’intuizione di Darwin, è ormai un dato certo che le piante superiori non solo sono capaci di ricevere segnali dall’ambiente circostante, ma possiedono anche meccanismi per la loro rapida trasmissione. Inoltre, le piante, sono in grado di (ri)elaborare le informazioni ottenute dall’ambiente manifestando una capacità di apprendimento che implica la ricerca di uno scopo, la capacità di stimare gli errori e la presenza di meccanismi mnemonici.

Le cellule vegetali producono sia sostanze attive neurologicamente, come caffeina, teina e cannabina, che veri e propri neurotrasmettitori (soprattutto a livelli degli apici radicali) molti dei quali sono gli stessi attraverso cui comunicano i neuroni animali (glutammato, GABA, acetilcolina). Sempre a livello degli apici radicali, le cellule vegetali sono capaci di generare segnali elettrici per comunicare a livello locale o globale e infine sviluppano vere e proprie sinapsi, specializzate per il trasferimento di informazioni sia chimiche che elettriche fra cellule adiacenti. Grazie a questi segnali le piante sono capaci sia di percezioni sensoriali che di integrare percezioni multiple in azioni di adattamento. In pratica, le piante agirebbero con lo stesso sistema “prova-errore” degli animali: davanti ad un problema procedono per tentativi fino a trovare una soluzione ottimale che è memorizzata e ripescata quando si presenta una situazione simile.
Se, per esempio, manca acqua, le piante aumentano lo spessore dell’epidermide e ne chiudono le aperture (gli stomi), evitando la traspirazione. Riducono poi il numero di foglie e aumentano quello delle radici per la ricerca di acqua ma anche di ossigeno e nutrienti minerali.

Inoltre sembra che le piante siano in grado di valutare le comunicazioni chimiche che si scambiano non solo attraverso la terra ma anche l’aria, quindi tutti i messaggi sullo stato di salute o la presenza di parassiti. Ad esempio, piante attaccate da insetti erbivori o patogeni emettono sostanze per segnalare il pericolo a piante vicine della stessa specie, invitandole a mettere in atto meccanismi difensivi per proteggersi dai nemici.

Le piante, dunque, non obbediscono a stimoli puramente meccanici, ma seguono complesse e articolate regole di comportamento: non solo comunicano, ma combattono e stringono alleanze. Le piante possiedono una forte territorialità poiché la terra è fondamentale per la loro vita: non tollerano invadenze del loro spazio e per difendersi attuano strategie aggressive quali il rilascio di molecole chimiche che, in casi estremi, hanno natura velenosa.
Tenendo conto di tutti questi stimoli l’apice radicale decide cosa fare. Decisione influenzata dalla memoria: una pianta è infatti in grado di rispondere in modo più efficiente se ha già affrontato lo stesso problema. «Questa caratteristica» – ricorda Mancuso – «era già nota: si parlava di acclimatazione. Per esempio, l’olivo a ottobre-novembre si modifica per affrontare l’inverno. Finora si spiegava come una risposta meccanica alle variazioni ambientali. In realtà la pianta decide di farlo quando sente le condizioni che ha memorizzato».

Applicazioni terapeutiche e nella robotica

Si è appena all’inizio di una rivoluzione nel modo di pensare alle piante. Questi studi, oltre a sovvertire le conoscenze sulle piante, hanno ricadute anche sull’uomo. I neuroni verdi possono fungere da modello per sperimentare terapie contro malattie degenerative del sistema nervoso, come il morbo di Parkinson e di Alzheimer.

«Gli animali sono utilizzati, e con successo, in questo tipo di studi. Usare le piante non sarebbe un regresso nella scala evolutiva» – dice Mancuso. «Una cellula neuronale vegetale – prosegue – è sì un modello semplificato di neurone, ma proprio per questo consente di individuarne più facilmente i meccanismi». Inoltre, non sussistono problemi di vivisezione e le cellule delle piante sono trasformabili geneticamente con facilità, caratteristiche che potrebbero farne un materiale da laboratorio valido dalla ricerca di base alle applicazioni terapeutiche. Anche in campo psicologico. Se una persona vive a lungo senza nessun contatto con le piante pare sia destinato a soffrire di disturbi psichici. Alcune ricerche hanno provato la correlazione tra suicidi, violenze domestiche, criminalità e assenza di verde nelle città. Inoltre, è stato dimostrato che guidare su strade costeggiate da pini marittimi o platani crea minori incidenti stradali. Questo perché le piante hanno un effetto rilassante e antistress.

La neurobiologia vegetale si può prestare persino ad applicazioni nella robotica. Il LINV ha elaborato, assieme all’Agenzia spaziale europea, un progetto per la creazione di “plantoidi”, veri e propri ibridi vegetali e meccanici per gli scavi e l’esplorazione del sottosuolo attraverso delle radici “intelligenti”, capaci di rilevare diversi parametri. Speriamo dunque che, in futuro futuro, ci sia sempre più spazio per questi “verdi” progetti.

tratto da:

Scienza e Conoscenza
Scienza e Conoscenza – N. 44
Nuove scienze, Medicina non Convenzionale, Consapevolezza
Editore: Scienza e Conoscenza – Editore
Data pubblicazione: Maggio 2013
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