L’interazione sociale e i cervelli sincronizzati

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L’interazione sociale e i cervelli sincronizzati

20 aprile 2019

L’analisi dell’attività cerebrale di persone impegnate in un’interazione sociale ha rilevato i
segnali di una sincronizzazione dei loro cervelli. La scoperta è stata ottenuta attraverso una nuova
metodologia di imaging cerebrale, denominata “iperscanning”, che coinvolge più soggetti
contemporaneamente

di Lydia Denworth / Scientific American

La stragrande maggioranza degli studi di neuroscienze si basa su tre elementi: una persona, un
compito cognitivo e una macchina ad alta tecnologia in grado di vedere all’interno del cervello.
Questa semplice ricetta può produrre una scienza potente. Tali studi ora producono regolarmente
immagini che fino a poco tempo fa un neuroscienziato poteva solo sognare. Permettono ai ricercatori
di delineare la complessa macchina neurale che dà un senso alle immagini e ai suoni, elabora il
linguaggio e trae un significato dall’esperienza.

Ma qualcosa manca in gran parte di questi studi: le altre persone. Noi esseri umani siamo
intrinsecamente sociali, eppure neanche le neuroscienze sociali, un campo creato appositamente per
esplorare la neurobiologia dell’interazione umana, sono state sociali come si potrebbe pensare. Solo
un esempio: nessuno ha ancora catturato la ricca complessità dell’attività cerebrale di due persone
mentre parlano insieme. “Trascorriamo le nostre vite conversando tra noi e stabilendo legami”, dice
il neuroscienziato Thalia Wheatley del Dartmouth College. “Ma capiamo ben poco di come
effettivamente le persone si connettano tra loro. Non sappiamo quasi nulla su come si accoppiano le
menti”.

Impronte cerebrali di gruppo

La situazione sta cominciando a cambiare. Un gruppo sempre più numeroso di neuroscienziati utilizza
una tecnologia sofisticata e una matematica molto complessa per catturare ciò che accade in uno, due
o anche 12 o 15 cervello, nel momento in cui le persone sono impegnate nel contatto visivo, nella
narrazione, nell’attenzione congiunta focalizzata su un argomento o su un oggetto, o qualsiasi altra
attività che richieda uno scambio sociale di dare e avere.

Anche se il campo delle neuroscienze sociali interattive è ancora agli inizi, la speranza è che
l’identificazione delle basi neuronali del vero scambio sociale possa cambiare la nostra
comprensione di base della comunicazione, e in definitiva migliorare l’educazione o influenzare il
trattamento dei molti disturbi psichiatrici che coinvolgono disabilità sociali.

In precedenza, i limiti della tecnologia hanno rappresentato un grosso ostacolo allo studio
dell’interazione umana reale. L’imaging cerebrale richiede l’immobilità del soggetto e il rigore
scientifico richiede un livello di controllo sperimentale tutt’altro che naturale. Di conseguenza, è
difficile ottenere dati di alta qualità da un cervello; farlo con due cervelli “vuol dire più che
raddoppiare”, spiega il neuroscienziato David Poeppel della New York University. “Devi sincronizzare
i macchinari, i dati e l’acquisizione dei dati”.

Tuttavia, il primo studio che ha monitorato con successo due cervelli contemporaneamente risale a
circa 20 anni fa. Il fisico Read Montague, ora al Virginia Tech, e i suoi colleghi, hanno messo due
persone dentro macchine per la risonanza magnetica funzionale (fMRI) separate e hanno osservato la
loro attività cerebrale mentre erano impegnate in un semplice gioco competitivo in cui un giocatore
(il mittente) doveva trasmettere un segnale non appena avesse visto il colore rosso o verde e
l’altro giocatore (il ricevente) doveva decidere se il mittente stesse dicendo la verità o mentendo.
Le ipotesi corrette determinavano l’attribuzione di una ricompensa. Montague ha chiamato la tecnica
“iperscanning”, e il suo lavoro ha dimostrato la possibilità di osservare due cervelli
contemporaneamente.

All’inizio, la direzione intrapresa da Montague è stato seguita principalmente dai neuroeconomisti
invece che che dai neuroscienziati sociali. Ma il termine iperscanning ora viene applicato a
qualsiasi ricerca di imaging cerebrale che coinvolge più di una persona. Attualmente, le tecniche
che vi si adattano includono l’elettroencefalografia (EEG), la magnetoencefalografia e la
spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso. L’uso di queste varie tecniche, molte delle quali
piuttosto nuove, ha ampliato la gamma di possibili esperimenti e ha reso l’iperscanning meno
ingombrante e, di conseguenza, molto più popolare.

Il coinvolgimento conta

Al di là delle sfide pratiche delle neuroscienze interattive, è emersa una domanda più filosofica,
vale a dire se le informazioni neurali raccolte monitorando le persone durante l’interazione sociale
sono significativamente diverse dalle scansioni effettuate quando i soggetti sono soli o agiscono
solo come osservatori. E’ importante che la persona che stiamo guardando ci guardi a sua volta? C’è
differenza tra pronunciare una frase e rivolgerla a qualcuno che sta ascoltando?

Sì, a quanto pare una differenza c’è. Stanno aumentando, spiega lo psichiatra e neuroscienziato
sociale Leonhard Schilbach del Max-Planck-Institut per la Psichiatria di Monaco di Baviera, che “la
cognizione sociale differisce fondamentalmente quando si è coinvolti direttamente con un’altra
persona rispetto a quando si osserva un’altra persona”.

Dimostrare queste differenze non richiede per forza studi su più di un cervello alla volta, ma esige
esperimenti relativamente naturalistici, che sono difficili da progettare entro i limiti imposti ai
protocolli di laboratorio standard.

La psicologa Elizabeth Redcay dell’Università del Maryland studia l’interazione sociale
nell’autismo, con particolare attenzione alla prima infanzia. Nel 2010, quando occupava una
posizione di postdottorato e lavorava con Rebecca Saxe al Massachusetts Institute of Technology, ha
realizzato un esperimento pionieristico che includeva un partecipante all’interno dello scanner e un
altro (in realtà un ricercatore) al di fuori, che interagivano in tempo reale attraverso un video. I
video registrati di un altro interlocutore facevano da controllo. Redcay ha rilevato nelle
interazioni in tempo reale, rispetto a quelle registrate, una maggiore attivazione delle aree
cerebrali coinvolte nella cognizione sociale e nella ricompensa.

I suoi studi successivi hanno continuato a documentare differenze nel modo in cui risponde il
cervello coinvolto in un’interazione.

Nei cervelli dei bambini, le regioni coinvolte nel pensare agli stati mentali degli altri – nel
“mentalizzare”, in altri termini – sono più attive quando credono di interagire con un coetaneo
rispetto a quando non lo sono. In studi di attenzione congiunta, una componente critica
dell’interazione sociale, Redcay ha scoperto che le regioni coinvolte nella mentalizzazione
cerebrale, come la giunzione parietale temporale, rispondevano in modo diverso quando i soggetti
condividevano l’attenzione rispetto a quando guardavano qualcosa in modo indipendente.

Ora la ricercatrice vuole sapere se ci sono ulteriori differenze nel modo in cui interagisce il
cervello degli individui con autismo. “Il grado di coinvolgimento delle regioni di mentalizzazione è
legato al successo delle persone nell’interazione sociale?” si chiede. “E’ troppo presto per dirlo”,
ma è chiaro, spiega, che “non hai il quadro completo se ti affidi solo agli approcci degli
osservatori”.

Schilbach è stato uno dei principali fautori di quella che ldefinisce la neuroscienza in seconda
persona. I suoi studi hanno incluso personaggi virtuali che sembrano rispondere allo sguardo di un
partecipante. In quelle situazioni, “i cosiddetti network di mentalizzazione e network di
osservazione dell’azione sembrano connessi molto più strettamente di quanto pensassimo”, afferma.
“Si influenzano a vicenda, a volte in modo complementare e talvolta in modo inibitorio”. Schilbach
ha scoperto inoltre che anche azioni molto semplici, come guardare un’altra persona e credere che
questa stia ricambiando lo sguardo – un’interazione in cui percepisci che il tuo comportamento ha un
effetto su un’altra persona – stimolano l’attività nel circuito di ricompensa del cervello, in
particolare nello striato ventrale. E quanto più gratificante troviamo un comportamento, tanto più è
probabile che lo ripeteremo.

Gli occhi lo sanno

Che cosa sta succedendo nel cervello dell’altra persona? Il contatto visivo era il posto più logico
dove cercare.

Avere un contatto visivo attiva il cervello sociale e segnala a un’altra persona che stiamo
prestando attenzione. È un modo con cui condividiamo intenzioni ed emozioni. All’inizio del 2019,
Norihiro Sadato dell’Istituto nazionale di scienze fisiologiche in Giappone, e i suoi colleghi,
hanno usato l’iperscanning per mostrareche il contatto visivo prepara il cervello sociale a entrare
in empatia attivando contemporaneamente le stesse aree del cervello di ogni persona: il cervelletto,
che aiuta a predire il conseguenze sensoriali delle azioni, e il sistema limbico dei neuroni a
specchio, un insieme di aree cerebrali che si attivano sia quando muoviamo qualsiasi parte del corpo
(inclusi gli occhi) sia quando osserviamo i movimenti di qualcun altro.

Il sistema limbico, in generale, è alla base della nostra capacità di riconoscere e condividere le
emozioni. In altre parole, è fondamentale per regolare la nostra capacità di empatia.

Le storie che ci raccontiamo sono il mezzo ideale per esplorare il collante sociale che ci lega. Il
neuroscienziato Uri Hasson della Princeton University ha condotto esperimenti pionieristici
sull’accoppiamento dei cervelli usando la narrazione.

In uno di questi studi, ha posto un soggetto in uno scanner e gli ha chiesto di raccontare una
storia. In seguito ha inserito un’altra persona nello scanner e gli ha fatto ascoltare una
registrazione della storia raccontata dalla prima persona. Hasson ha confrontato l’elaborazione del
cervello di chi parlava con quella di chi ascoltava nel corso del test, abbinando la loro attività
cerebrale momento per momento e ha trovato la prova dell’accoppiamento dei due cervelli. “Il
cervello dell’ascoltatore diventa simile al cervello di chi parla”, dice Hasson. E più i cervelli
erano allineati, maggiore era la comprensione riferita dall’ascoltatore. Afferma Hasson, “Il tuo
cervello come individuo è determinato dal cervello a cui sei connesso.”

Di recente Hasson ha unito le forze con Wheatley di Dartmouth per vedere se riuscivano a misurare
l’accoppiamento dei cervelli durante la conversazione.

Una buona conversazione, dice Wheatley, significa “creare nuove idee insieme ed esperienze che non
avresti potuto avere da solo”. Vuole vedere quell’esperienza nel cervello. Il loro studio prevede
l’uso di scanner in diverse università collegati online. (La maggior parte dei dipartimenti di
psicologia ha solo uno scanner.) Con una persona in ogni scanner, i soggetti completano una storia a
turno: un partecipante pronuncia alcune frasi e l’altro riprende da dove il compagno si è
interrotto. Se gli scienziati possono catturare gli stati cerebrali durante questa interazione, dice
Wheatley, potrebbero essere in grado di vedere come due cervelli si avvicinano e poi si allontanano
l’uno dall’altro durante la conversazione.

Oltre le coppie

Forse inevitabilmente, i neuroscienziati sono passati a studiare non solo due, ma molti cervelli
contemporaneamente. Questi esperimenti richiedono l’uso dell’EEG perché è portatile.

I primi studi hanno dimostrato che quando ci impegniamo in attività di gruppo come concerti o film,
le nostre onde cerebrali si sincronizzano: l’attenzione rapita del pubblico significa che gli
spettatori elaborano allo stesso modo il finale sinfonico o una scena d’amore o di lotta. Ciò non è
poi così sorprendente, ma ora gli scienziati stanno applicando lo stesso approccio nelle aule
scolastiche, dove i risultati potrebbero aggiungere ciò che sappiamo su come gli studenti possono
apprendono meglio.

In una serie di studi nelle scuole superiori di New York, un gruppo di ricercatori dell’Università
di New York tra cui Poeppel, Suzanne Dikker e Ido Davidesco ha fatto ripetute registrazioni EEG di
ogni studente in una classe di biologia nel corso di un semestre. Hanno scoperto che le onde
cerebrali degli studenti erano più in sintonia tra loro quando erano più impegnati in classe. La
sincronia da cervello a cervello riflette anche quanto gli studenti si piacciono tra loro e quanto
apprezzano l’insegnante: relazioni più strette portano a una maggiore sincronizzazione. Il loro
studio attuale sta esaminando se i livelli di sincronia cerebrale durante la lezione predicono la
conservazione dei contenuti appresi. “Penso che quello che stiamo facendo è molto utile”, dice
Poeppel. “Ma come usare queste tecniche in modo mirato per l’apprendimento STEM?”.

“Schilbach crede che le neuroscienze interattive abbiano anche applicazioni nella vita reale in
psichiatria. Potrebbero rendere possibile prevedere quale terapeuta funzionerà meglio con quale
paziente, per esempio. E l’attenzione alle situazioni della vita reale aiuta a garantire che ogni
scoperta abbia un valore per i pazienti. “Come psichiatra”, dice Schilbach, “non sono interessato ad
aiutare una persona a migliorare in un particolare compito sociale cognitivo. Sto cercando di
aiutare quella persona a condurre una vita felice e soddisfacente”.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 10 aprile 2019.
Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

www.scientificamerican.com/article/hyperscans-show-how-brains-sync-as-people-interact/

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