Lo Yoga integrale di Sri Aurobindo e Mère – 1

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Lo Yoga integrale di Sri Aurobindo e Mère 1

Parte Prima

Dal suo ritiro, Sri Aurobindo continuava pur sempre a seguire da vicino lo svolgimento degli eventi
del mondo e dell’India e vi interveniva effettivamente ogni volta che lo vedeva necessario, ma
unicamente con la forza spirituale nel quadro di un’azione silenziosa.

Tuttavia, in due occasioni uscì dal suo riserbo: la prima volta nel 1940, agli inizi della Seconda
Guerra mondiale, poiché vedeva dietro Hitler e il nazismo le forze demoniache la cui vittoria
avrebbe significato la schiavitù dell’uomo alla tirannia del Male e un brutale regresso nel suo
percorso evolutivo, soprattutto sul piano spirituale. La seconda volta fu nel 1942, durante i
negoziati con il Governo britannico a proposito dell’ indipendenza dell’India, allorché consigliò ai
dirigenti del paese di accettare le offerte di Sir Stafford Cripps. Il loro rifiuto da parte dei
leader politici indiani non impedì l’indipendenza, ma contribuì alla susseguente scissione del paese
in India e Pakistan, cui Sri Aurobindo fu sempre contrario.

Nel marzo del 1914 la Madre arrivò a Pondichéry. Sarebbe in seguito ripartita, a causa della Guerra,
nel 1915, per poi ritornare definitivamente il 24 aprile 1920.

Il 15 agosto del 1914 uscì il primo numero dell’Arya, la rivista di grande sintesi filosofica nella
quale Sri Aurobindo esponeva la sua visione dell’uomo e della storia, del destino divino
dell’umanità, del percorso per raggiungerlo, dell’ascesa della società umana verso l’unità e
l’armonia, della natura e dell’ evoluzione della poesia, del senso profondo dei Veda, delle
Upanishad e della Bhagavad Gita e dello spirito e significato della cultura indiana.

Tutti i suoi scritti sono ora pubblicati in libri che sono stati per la maggior parte tradotti nelle
lingue principali ed in tantissime altre, molti anche in Italiano: la Vita Divina, la Sintesi dello
Yoga, il Ciclo Umano, l’Ideale dell’Unità Umana, la Poesia Futura, il Segreto dei Veda, le Otto
Upanishad, i Saggi sulla Gita, i Fondamenti della Cultura Indiana, e altri ancora. La pubblicazione
dell’Arya proseguì fino al 1921. Nel frattempo, l’Ashram del maestro aveva iniziato a costituirsi
spontaneamente: poco a poco, a quei pochi compagni che avevano all’inizio seguito Sri Aurobindo si
erano aggiunti dei discepoli.

” Il 24 novembre del 1926 – scriveva Sri Aurobindo – è avvenuta la discesa di Krishna nel fisico. La
discesa di Krishna sta a significare la discesa della qualità divina del Sovramentale [Overmind] che, senza essere la Supermente [Supermind], prepara la discesa della Supermente e dell’Ananda [la
beatitudine ed estasi divine].” Da quel momento Sri Aurobindo interruppe ogni contatto diretto con i
discepoli e non apparve più in pubblico, tranne tre volte e poi quattro volte l’anno, in occasione
dei Darshan, quando Sri Aurobindo e la Madre ricevevano discepoli e devoti.

La sua attività restò comunque considerevole: non soltanto intratteneva una cospicua corrispondenza
con i suoi discepoli per guidarli nella loro sadhana [la disciplina dello yoga], ma lavorava anche a
livelli più profondi. Allo stesso tempo, proseguiva nella composizione del suo grande poema epico
Savitri, che secondo la Madre è “la rivelazione suprema della visione di Sri Aurobindo” .

Sri Aurobindo lasciò il corpo fisico il 5 dicembre 1950.

In una lettera sulla pratica dello yoga, Sri Aurobindo scrisse: ” Ho iniziato il mio yoga nel 1904
senza guru; nel 1908 ricevetti un notevole aiuto da uno yogi del Mahârashtra e scoprii i fondamenti
della mia sadhana; ma da allora e fino all’arrivo in India della Madre, non ho ricevuto alcun aiuto
spirituale da nessuno. Dapprima, e poi anche in seguito, la mia sadhana non si è basata sulle
conoscenze dei libri ma su innumerevoli esperienze personali che scaturivano da dentro. Ma in
prigione avevo con me la Gita e le Upanishad. Seguivo lo yoga della Gita e meditavo con l’aiuto
delle Upanishad; sono gli unici libri in cui ho trovato delle indicazioni. I Veda, che ho iniziato a
leggere molto più tardi a Pondichéry, confermarono le esperienze che avevo già avuto, piuttosto che
fare da guida alla mia sadhana. A volte mi rivolgevo alla Gita per trovarvi un chiarimento quando si
presentava una domanda o una difficoltà, e in generale vi trovavo un aiuto o una risposta. “

Prima di venire a Pondichéry, Sri Aurobindo aveva già acquisito due delle quattro grandi
realizzazioni spirituali sulle quali si fondano il suo yoga e la sua filosofia spirituale. La prima
gli venne durante la meditazione con lo yogi del Maharashtra, Vishnu Bhaskar Lélé, nel gennaio 1908,
a Baroda: era la realizzazione del Brahman silenzioso fuori dallo spazio e dal tempo che egli
ottenne dopo una completa e costante immobilità di tutta la coscienza. Tale realizzazione fu
dapprima accompagnata dal sentimento e dalla percezione irresistibili della irrealtà totale del
mondo. Tuttavia, questo sentimento scomparve dopo la seconda realizzazione, quella della coscienza
cosmica che ebbe qualche mese più tardi nella prigione di Alipore: questa esperienza gli fece vedere
il Divino in tutti gli esseri e in tutto ciò che esiste. In prigione, le sue meditazioni dovevano
condurlo ad altre due realizzazioni: quella del Brahman nel suo doppio aspetto statico e dinamico, e
quella dei piani superiori della coscienza che conducono alla Supermente. Mettendo così assieme gli
elementi essenziali dell’esperienza spirituale, che si ottiene sul cammino della comunione divina e
della realizzazione, così come lo si segue ancora oggi in India, Sri Aurobindo cercava però
un’esperienza più completa che unisse e mettesse in armonia i due aspetti dell’esistenza: lo Spirito
e la Materia.

La maggior parte dei metodi dello yoga conducono all’aldilà, allo Spirito, ed infine fuori dalla
vita. Lo Yoga Integrale di Sri Aurobindo invece s’innalza verso lo Spirito per ridiscenderne
arricchito e portare la luce, il potere e la beatitudine dello Spirito nella vita per trasformarla.
E’ possibile, aprendosi ad una coscienza divina superiore, innalzarsi fino a questo potere di luce e
di beatitudine, scoprire il vero Io, rimanere in costante unione con il Divino e far discendere la
Forza Supermentale affinché trasformi la mente, la vita e il corpo. Realizzare tale possibilità –
che Sri Aurobindo chiama la ‘ Vita Divina ‘- è lo scopo dinamico del suo yoga.

” Se è vero che lo Spirito è sepolto nella Materia e che questa Natura apparente è Dio nascosto, è
evidente che la manifestazione del Divino e la realizzazione di Dio interiormente e all’esterno sono
lo scopo più alto e più legittimo dell’uomo sulla terra. “

** ** *Lo Yoga integrale di Sri Aurobindo e Mère* ** ** *Introduzione*

L’insegnamento di Sri Aurobindo parte da quello degli Antichi saggi dell’India che sostenevano che
dietro alle apparenze dell’universo vi è la realtà di un

essere della coscienza, un sé di tutte le cose, uno ed eterno. Tutti gli esseri sono uniti in
quell’unico sé e spirito, ma divisi da una certa separatività di coscienza, un’ignoranza del loro
vero sé e realtà nella mente, nella vita e nel corpo.

E’ possibile, per mezzo di una disciplina psicologica, rimuovere questo velo di coscienza separativa
e divenire consci del vero sé, della divinità in noi e in tutto, L’insegnamento di Sri Aurobindo
stabilisce che questo unico essere e coscienza è involuto qui nella materia. L’evoluzione è il
metodo grazie al quale libera sé stesso; La coscienza appare in ciò che sembra essere incosciente e,
una volta apparsa, è automaticamente spinta a crescere sempre più in alto e allo stesso tempo ad
ampliarsi e a svilupparsi verso una sempre più grande perfezione. La vita è il primo passo di questa
liberazione di coscienza; la mente è il secondo; ma l’evoluzione non termina con la mente, attende
di rivelarsi in qualcosa di più grande, una coscienza che sia spirituale e supermentale. Il prossimo
passo dell’evoluzione deve essere verso lo sviluppo della supermente e dello spirito come il potere
dominante dell’essere cosciente. Perché solo allora la divinità involuta nelle cose rivelerà se
stessa interamente e sarà possibile alla vita  manifestare la perfezione. Ma, mentre i primi
passi dell’evoluzione furono intrapresi dalla natura nella pianta e nella vita animale senza una
volontà cosciente, nell’uomo la natura diviene capace di evolvere grazie alla volontà cosciente
nello strumento. Non è tuttavia per mezzo della volontà mentale nell’uomo che questo può essere
fatto compiutamente, perché la mente giunge solo fino ad un certo punto e dopo questo può solo
muoversi in tondo. Deve essere attuata una conversione, un rivolgimento della coscienza con il quale
la mente deve essere cambiata in un principio superiore.

Questo metodo è da ricercarsi attraverso l’antica disciplina psicologica e alla pratica dello yoga.
In passato era stato tentato con un allontanamento dal mondo e una scomparsa nelle altezze del sé, o
dello spirito. Sri Aurobindo insegna che è possibile una discesa del più alto principio, che non
rivelerà semplicemente il sé spirituale fuori del mondo, ma lo rivelerà nel mondo, rimpiazzerà
l’ignoranza della mente o la sua limitatissima conoscenza con una verità coscienza supermentale.
Questa sarà uno strumento del sé profondo che renderà possibile all’essere umano  scoprire se
stesso dinamicamente cosi come interiormente e svincolarsi dalla sua umanità ancora animale in una
razza più divina. La disciplina psicologica dello Yoga può essere usata a questo fine,

aprendo tutte le parti dell’essere verso una conversione o una trasformazione attraverso la discesa
e l’operare di un  più alto principio supermentale ancora celato. Questo cambiamento, tuttavia
non può essere fatto all’improvviso, o in breve tempo, o per mezzo di una trasformazione rapida o
miracolosa. Molti passi devono essere intrapresi dal ricercatore prima che la discesa supermentale
sia possibile. L’uomo vive, per lo più, nella sua mente, vita e corpo superficiali, ma vi e un
essere profondo in lui con più grandi possibilità al quale deve risvegliarsi, perché ora egli riceve
da questo essere un’influenza assai ridotta ed è questa che lo spinge verso una costante ricerca di
una più grande bellezza, armonia, potere e conoscenza. Il primo sviluppo dello Yoga è perciò quella
di aprire le distese di questo essere interiore e di vivere da lì verso l’esterno, di governare la
sua vita esteriore per mezzo della luce e della forza interiore. Nel fare questo egli scopre in se
stesso la sua vera anima che non è la commistione esterna gli elementi mentali, vitali e psichici,
ma qualcosa della realtà che sta dietro a loro, una scintilla originata dall’unico fuoco divino.
Deve apprendere a vivere nella propria anima e a purificare e orientare, per mezzo di questa guida
verso la verità, il resto della natura. A quel punto può esserci un’apertura verso l’alto e la
discesa di un più principio dell’essere. Ma persino allora non si tratta della piena luce e forza
supermentali, giacché vi sono parecchi campi di coscienza fra la mente ordinaria e umana e la verità
coscienza supermentale.

Questi campi di coscienza intermedi devono essere aperti e il loro potere fatto discendere nella
mente, nella vita e nel corpo. Solo in seguito il pieno potere della verità coscienza potrà lavorare
nella natura. Lo sviluppo di questa autodisciplina, o Sadhana, è di conseguenza lungo e difficile,
ma persino una piccola parte di esso è un grande guadagno  perché rende la realizzazione e la
perfezione ultime più possibili. Vi sono molte cose che appartengono a sistemi più antichi che sono
necessarie sulla via: un’apertura della memte a più grandi comprensioni e al senso del sé e
all’infinito, un emergere in ciò che è stata chiamata la coscienza cosmica, il controllo sui
desideri e sulle passioni; un ascetismo esteriore non è essenziale, ma sono indispensabili la
conquista del desiderio e dell’attaccamento e un controllo del corpo e delle sue necessità, le sue
bramosie e i suoi istinti.

Vi è una combinazione dei principi dei vecchi sistemi: la via della conoscenza attraverso il
discernimento della mente fra la realtà e l’apparenza, la via del cuore, della devozione, dell’amore
e del dono di sé, e la via delle opere che volge la volontà dagli interessi  egoistici verso la
verità e il servizio di una più grande realtà che non sia l’ego. Per questo, l’intera natura deve

essere esercitata affinché possa rispondere e venire trasformata ogni qualvolta una più grande luce
e forza operi in essi. In questa disciplina l’ispirazione del maestro e il suo controllo e la sua
presenza nei momenti di difficoltà sono indispensabili,perché sarebbe altrimenti impossibili
superarli  senza un gran numero di ostacoli ed errori che impedirebbero ogni possibilità di
successo. Il maestro è qualcuno che ha raggiunto una coscienza e uno stato d’essere più alti ed è
spesso visto come la loro manifestazione o il rappresentante. Egli non aiuta solo grazie al suo
insegnamento e in misura maggiore con la sua influenza ed esempio, ma con il potere di comunicare
agli altri la sua propria esperienza. Questo è l’insegnamento e il metodo d’azione di Sri Aurobindo.
Non è suo scopo sviluppare alcun tipo  di re4ligione o di amalgamare le religioni più vecchie,
o di fondare alcuna nuova religione, poiché ciascuna di queste cose allontanerebbe dal suo scopo
centrale. La sola meta di questo Yoga è un autosviluppo interiore per mezzo del quale chiunque lo
segua possa col tempo scoprire l’unico sé  in tutti ed evolvere una più alta coscienza di
quella mentale, una coscienza spirituale e supermentale che trasformerà e divinizzerà la natura
umana.

; (Sri Aurobindo – Ashram)

*La Pratica dello Yoga*

*I tre movimenti*

Ci sono tre passaggi secondo Sri Aurobindo nei quali si sviluppa la pratica dello Yoga nel sadhaka,
colui che percorre questo sentiero:

– Il primo movimento è quello di riporre tutto nel Divino.

Scrive Sri Aurobindo “*Mettetevi con tutto il cuore e tutte le vostre forze nelle mani
di Dio. Non ponete condizioni, non chiedete nulla […] eccetto che in voi e attraverso di voi la
Sua volontà sia manifestata direttamente. A quelli che chiedono Dio dà quanto richiesto, ma a quelli
che danno se stessi e non domandano nulla, Egli dà tutto ciò che avrebbero potuto chiedere o di cui
potevano aver bisogno, ma anche dà Se stesso e offre spontaneamente il Suo amore*”. Questo è il
primo movimento: il dono di sé, incondizionato, senza nessuna richiesta, senza alcun tornaconto
personale, abbandonando qualsiasi volontà di conseguimento.

– Continua Sri Aurobindo: “* Il movimento successivo consiste nel mettersi da parte e
osservare l’opera del potere divino in voi*”, In questa prospettiva le difficoltà, i problemi che si
incontrano durante il percorso vengono vissuti in altro modo rispetto all’atteggiamento di chi
ritenga di fare qualcosa, per produrre certi risultati: qui invece non bisogna preoccuparsi o
lottare, i risultati non dipendono dai nostri tentativi: l’unico nostro, vero compito è darsi al
divino.

– Terza tappa: ” *Il terzo movimento dello yoga è di percepire tutte le cose come
Dio*”. La divinizzazione dell’intera realtà, la visione mistica dell’universo dello yogi.

Solo che, ovviamente, questo non avviene immediatamente. C’è bisogno di tempo e non poco; c’è
bisogno di impegno, tanta costanza, purificazione. Sri Aurobindo ripete spesso che la via del suo
yoga non è per tutti, non è facile, non è alla portata di chiunque. Chi ha quella curiosità –
propria di molti – di cose sempre nuove, di rivelazione un po’ su tutto, di novità, di cambiamenti
rapidi, non avrà nessuna possibilità di successo. Ci vuole pazienza e fiducia.

*Aspirazione*

Il primo requisito che deve essere presente nell’aspirante yogi, che deve fare parte del suo
atteggiamento verso quello che sarà il suo percorso è l’aspirazione: “*Se ci sono una sincera
aspirazione e una perseverante volontà d’arrivare ad una coscienza superiore, nonostante tutti gli
ostacoli, l’apertura avverrà certamente*”. Questo tipo di aspirazione non è cosa da poco, se la
consideriamo con un minimo di serietà. A questo punto vediamo realmente quanto lo yoga di Sri
Aurobindo sia una via per pochi e per pochi eletti, per quelle persone che riescono a mantenere
costantemente viva questa aspirazione, un’aspirazione che deve essere costantemente attiva,
presente, in ogni momento e contesto della propria vita. Un’aspirazione che sia sincera, autentica.
In una lettera di Sri Aurobindo a un suo discepolo, scrive: “*La completa sincerità richiede che si
desideri solamente la Verità divina, che ci si sottometta sempre di più alla Madre divina, che ogni
esigenza personale ed ogni desiderio che non siano quest’unica aspirazione vengano scacciati, che si
offra al Divino ogni azione della vita e la si compia come un lavoro che ci è stato affidato, senza
alcuna intromissione dell’ego. Tale è la base della vita divina*”.

L’aspirazione può avvenire in vari modi, a seconda l’indole del praticante. Può essere
un’aspirazione silenziosa, sempre indirizzata al desiderio di ricevere la Forza, in un atteggiamento
di attesa, di controllo, di ricezione, di apertura: un’aspirazione che va vissuta e sentita. Oppure
può realizzarsi tramite l’invocazione, mentale o vocale, della discesa della Forza in noi,
dell’aiuto della Madre. Oppure può concretizzarsi in forma di preghiera.

*Lo sforzo*

In questa aspirazione, come elemento successivo ad essa deve essere presente uno sforzo. L’abbandono
completo al divino necessita, almeno inizialmente, di uno sforzo, uno sforzo che, come dice Sri
Aurobindo, non è desiderabile abbandonare subito. Poi però questo sforzo personale si trasformerà
progressivamente nell’azione della Forza divina in noi. Vediamo come c’è sempre questo rapporto tra
ascesa e discesa, che viene poi risolto in una esclusiva discesa della Forza. Devo ascendere, con le
mie capacità e il mio sforzo, per far si che la Forza discenda in me: in altre parole devo preparare
il terreno in me, perché possa prendere posto la Forza. Devo fare pulizia, devo trasformarmi in un
puro ricovero, eliminando tutto ciò che possa ostruire il passaggio e poi il lavoro della Forza in
me. Abbandonare subito lo sforzo cosa può causare? Il rischio è l’inerzia, il ristagno. Il fatto è
che la nostra natura inferiore, la pressione delle forze avverse non sono facili da eliminare: esse
vanno contrastate per un certo periodo, a volte lungo. Occorre quindi perseverare, lavorare,
sforzarsi, respingere tutto ciò che non è dalla parte del Divino, invocare la discesa della Forza
con costanza, senza stancarsi. Abbandonarsi e basta può essere la scusa per giustificare tutte le
negatività e la pigrizia che continuano a sedimentarsi e ad agire in noi. Dono di sé non significa,
almeno all’inizio, darsi semplicemente tutto al divino, senza preoccuparsi di alcunché. Significa
anche, e soprattutto, compiere quel lavoro di rifiuto delle suggestioni provenienti dai desideri e
dagli impulsi inferiori, che sono ostacolo all’opera del Divino stesso in noi.

*La Concentrazione e la trasformazione psichica*

*Centro del cuore*

Ci si può concentrare in uno qualunque dei tre centri che risulti più facile per il *sadhaka *o che
dia più risultati. La concentrazione nel centro del cuore ha il potere di aprire questo centro e,
con la forza dell’aspirazione, dell’amore, della bhakti e della sottomissione, di rimuovere il velo
che copre e nasconde l’anima o essere psichico, di portarla in primo piano perché governi la mente,
la vita il corpo, li orienti verso il Divino e li apra interamente a Lui, eliminando tutto ciò che
si oppone a quest’orientamento e a queat’apertura.

Questo è quanto viene chiamato nel nostro yoga apertura psichica.

*Sopra la testa*

La concentrazione sopra la testa ha il potere di portare la pace, il silenzio, la liberazione dal
senso del corpo e dell’immedesimazione con la mente e la vita, e di aprire la strada perché la
coscienza inferiore (mentale, vitale e fisica) possa salire a incontrare la coscienza superiore al
di sopra e perché i poteri della coscienza superiore (natura spirituale) possano scendere nel
mentale, nel vitale e nel corpo. Questo è quanto in questo yoga viene chiamato trasformazione
spirituale. Se si inizia con questo movimento, il Potere che viene dall’alto deve, nella sua discesa
aprire tutti i centri (compreso il più basso) e fare emergere l’essere psichico; finché ciò non
avviene, è possibile infatti che ci siano molte difficoltà e conflitti a causa della coscienza
inferiore che intralcia l’Azione divina che viene dall’alto, si mescola ad essa e perfino la
rifiuta. Una volta che l’essere psichico sia attivo, questi conflitti e difficoltà possono essere
ridotti al minimo.

*Fra le sopracciglia*

La concentrazione fra le sopracciglia ha il potere di aprire il centro corrispondente, di liberare
la mente e la visione interiore e la coscienza interiore o yoghica, con le sue esperienze e i suoi
poteri. Da lì, inoltre,ci si può aprire verso l’alto e agire sui centri inferiori; ma il pericolo di
questo procedimento è che si rischia di restare prigionieri delle proprie formazioni mentali,
spirituali, e di non poterne uscire per entrare nell’esperienza e nella conoscenza spirituale libera
e integrale, e nella trasformazione integrale dell’essere e della natura.

Sulle modalità di concentrazione, Sri Aurobindo precisa uleriormente: “*Concentrate la vostra
coscienza nel cuore (alcuni lo fanno nel capo o al di sopra di esso) e meditate sulla Madre
chiamandola nel vostro cuore. […] Soprattutto all’inizio tranquillizzare la mente è la sola grande
necessità, rifiutando durante la meditazione tutti i pensieri e tutti i movimenti estranei alla
sadhana*”. Riguardo alla superiorità della concentrazione sul cuore rispetto a quella tra le
sopracciglia o a quella sopra la testa, Sri Aurobindo dice che essa trova fondamento nel fatto che è
il tipo di concentrazione più facile alla maggior parte dei praticanti. la Mère dice che è proprio
nel cuore che “*troverete la volontà di progredire, la forza della purificazione, l’aspirazione più
intensa ed efficace*” Quindi in sintesi, questi sono le condizioni per seguire il Divino:

– rivolgersi verso la Forza, aspirare a che nessun’altra cosa possa influire su di noi,
condizionandoci;

– non permettere al piano vitale (emotivo) di avere la meglio, di intromettersi con le sue esigenze,
pulsioni, istinti, ecc.;

– mantenere la mente tranquilla, calma,, pronta a ricevere la verità senza persistere sui propri
pensieri sulle proprie idee;

– mantenere il centro psichico in noi, che è la natura divina, desto, perché possa rimanere in
contatto diretto con la Forza, conoscendone la sua Volontà.

*L’essere psichico*

Ma, cos’è il centro psichico? Questo ci conduce alla struttura dell’essere umano, un discorso un po’
complesso e su cui non possiamo, in questa trattazione, addentrarci più di tanto. Sommariamente
possiamo dire che per Sri Aurobindo l’uomo è composto dal fisico, dal subconscio, dal piano
vitale,dalla mente e dall’essere psichico. Riguardo al fisico e al subconscio possiamo evitare
spiegazioni, perché si riferiscono a ciò che significano nel nostro linguaggio corrente; per quanto
riguarda il piano vitale, esso è il piano delle emozioni, degli istinti, degli affetti , dei
sentimenti, dei desideri, delle passioni, degli appetiti, delle sensazioni, dei piaceri, delle pene,
delle gioie, dei dolori, delle esultanze, delle depressioni, ecc. La mente è invece ciò che è in
rapporto con la cognizione e con l’intelligenza, con le idee, con i pensieri.

L’essere psichico è nell’uomo ciò che sostiene tutto, è la testimonianza silenziosa del Divino in
lui; è ciò che sente e conosce spontaneamente, in maniera diretta, luminosa e pura: essendo di
essenza divina rivela quindi immediatamente i movimenti giusti e quelli falsi della nostra natura.

L’essere psichico è in noi l’unico elemento che naturalmente si sottomette al Divino. Per il resto
la mente ha il suo carico di idee, di arroganti certezze e ad esso si aggrappa; il vitale resiste
alla sottomissione, ha le sue esigenze, le sue pretese, i suoi impulsi, i suoi infiniti e
innumerevoli desideri, è tutto tranne che addomesticato. Quindi solo l’essere psichico, per la sua
natura essenzialmente divina, è – potremmo dire – pronto allo yoga di Sri Aurobindo. Ma all’inizio è
velato, assopito: deve essere risvegliato e quando lo è, può produrre una reale e repentina
sottomissione di tutto l’essere; fino a quel punto però lo sforzo è necessario, fino a quando, come
abbiamo già detto, verrà sostituito dalla Forza.

*Precisazioni e chiarimenti*

*Il silenzio mentale*

Riguardo alla necessità di mantenere la mente in uno stato di quiete e silenzio, necessario per
poter “ascoltare” e ricevere la verità proveniente dalla Forza, questo silenzio non è
necessariamente completa assenza di pensieri. Scrive Aurobindo ” *Avere la mente tranquilla non
significa la mancanza assoluta di pensieri o di movimenti mentali; significa che essi rimarranno
alla superficie e che sentirete il vostro vero essere interiore separato, che osserva senza
lasciarsi coinvolgere, capace di sorvegliarli e di giudicarli, respingendo tutto ciò che deve essere
respinto, accettando e mantenendo tutto ciò che è vera coscienza e vera esperienza*”.

In conclusione, come è stato ribadito, lo yoga di Sri Aurobindo, distinguendosi molto dagli yoga
tradizionali non ha come fondamento la meditazione, i mantra, le asanas, ecc., tutt’al più queste
tecniche potranno essere considerate strumenti transitori di preparazione.

Lo yoga integrale si basa piuttosto su questa aspirazione, su questa capacità di sadhaka di rimanere
aperto, disponibile a ricevere. Il Maestro scrive: ” *La sadhana di questo yoga non procede
attraverso[…] forme prescritte di meditazione, mantra o altro, ma attraverso l’aspirazione,
un’auto-concentrazione verso l’interno e verso l’alto, con l’apertura all’influenza del Potere
Divino sopra di noi e al suo operare, della Presenza Divina nel cuore e con il rifiuto di tutto ciò
che è estraneo a queste cose. E’ solo con la fede, l’aspirazione e il dono di sé che questa apertura
in noi può avere luogo*”. *E’ solo quest’apertura alla Forza la cosa necessaria, nient’altro; rimani
aperto, disponibile e tutto il resto verrà da sé: “Solo è importante che vi manteniate aperto alla
Forza. Nessuno può trasformarsi senza aiuto e mediante i propri sforzi. Solo la Forza divina può
trasformarvi. Mantenetevi aperto, tutto il resto verrà compiuto per voi*”.

Si può arrivare da più vie, l’abbiamo già detto: non c’è un metodo valido per tutti. Ci si può
inizialmente dedicare alla pratica della devozione, della bhakti; oppure mediante la conoscenza, o
le opere o altro ancora. Poi va sviluppato tutto il resto, nella consapevolezza di dover cambiare
tutto: tutti i piani dell’essere e i loro rispettivi oggetti devono essere coinvolti. Conoscenza,
devozione, azione, mente, corpo… tutto. Questi metodi possono essere praticati anche
parallelamente o in successione: dipende come sempre dalla natura di ognuno, del shadaka, da ciò che
la Forza progressivamente gli apporterà. Anche e sopratutto per questo motivo non esiste un metodo
dettagliato e unico nello yoga integrale, non è quindi un caso l’impossibilità a trovare corsi di
yoga integrale. I seguaci di Sri Aurobindo seguono ognuno la propria via, chi la affianca alla
meditazione di una certa tradizione come può essere quella bhuddista, chi la affianca allo yoga
classico, o altro ancora.

Resta il fatto che il tutto è secondario rispetto a questa necessità del dono di sé, del
*surrender*. Una volta fu chiesto alla Mère se la meditazione non fosse una pratica indispensabile e
se non permettesse un’unione con il divino “superiore” a tutte le altre vie. Lei rispose “*Può
darsi. Ma una disciplina in sé non è quello che cerchiamo. Quello che cerchiamo è di essere
concentrati nel Divino in tutto quello che facciamo, in ogni momento, in ogni azione e in ogni
movimento. Qui all’Ashram ad alcuni è stato detto di meditare; ma ce ne sono stati altri al quale
non è stato affatto richiesto di meditare. Ma non bisogna pensare che non progrediscano. Anche loro
seguono una disciplina, ma è di altra natura, Anche lavorare,agire con devozione e consacrazione
interiore è una disciplina spirituale. Lo scopo finale è di essere in unione costante con il Divino,
non solo in meditazione, ma in ogni occasione e in tutta la vita attiva*”.

L’importante quindi in questa prospettiva, è l’atteggiamento interiore di abbandono, di fiducia, di
apertura. Riportiamo, per concludere, altri due brani sempre della Mère nei quali si evidenzia la
importanza relativa di pratiche come lo yoga tradizionale o la meditazione, rispetto al *surrender*.

” *Ci sono discipline come l’Hatha Yoga o il Raja Yoga, che si possono praticare e tuttavia non
avere niente a che fare con la vita spirituale; il primo di solito arriva al controllo corporale, il
secondo al controllo mentale. Ma entrare nella vita spirituale significa fare un tuffo nel Divino
[…] dovete imparare a vivere nel Divino. […] Dovete semplicemente lanciarvi in avanti e non
pensare ‘Dove andrò a cadere? Cosa mi succederà?’. E’ l’esitazione della mente a trattenervi. Dovete
semplicemente lasciarvi andare*”. E ancora; “*Una sincera consacrazione di tutto il vostro essere e
di ogni vostra azione è per la sadhana molto più efficace della meditazione*”.

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