LOGOS ED EROS NELLA PERSONALITA’ MASCHILE E FEMMINILE

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LOGOS ED EROS NELLA PERSONALITA’ MASCHILE E FEMMINILE:
INTEGRAZIONE, ARMONIZZAZIONE E SUPERAMENTO DEGLI OPPOSTI

di Marco Ferrini

La Psicologia indovedica spiega che l’individualità dell’essere è eterna, immutabile e di natura
spirituale, mentre la personalità è in transito ed è, come spiegava anche Jung, costituita dalla
somma dei contenuti psichici con i quali l’io si identifica. Le esperienze, le impressioni, i fatti
e le circostanze esteriori modificano la personalità ma non l’individualità. Una personalità che si
sviluppa in maniera armonica, senza conflitti intrapsichici, è in grado di interagire bene ed
integrarsi con gli altri. I conflitti nelle relazioni rappresentano infatti l’esito delle
problematiche irrisolte dentro di noi. Integrazione ed armonizzazione della personalità sono
possibili sviluppando in noi qualità e facoltà carenti, portando al contempo a maturazione quelle
già acquisite e dalle quali trarre l’energia e la forza necessaria per colmare le lacune superando i
nostri limiti. Alcune funzioni psicologiche in certi caratteri sono deboli costituzionalmente,
ovvero dipendono dalla peculiare natura della persona e dal tipo psicologico che la caratterizza. Vi
sono ad esempio individui molto dotati di razionalità operativa e senso pratico, con grandi capacità
di concretizzare idee e progetti. Altri invece in cui è maggiormente sviluppata una naturale
propensione immaginativa verso l’intuito, l’arte, la sfera dei sentimenti e delle emozioni.

Ci sono poi casi in cui alcune qualità di un individuo si sono arenate ad uno stadio infantile e
primitivo di sviluppo, non tanto per debolezze costituzionali, quanto a seguito di circostanze e
fattori esterni che hanno causato traumi nella personalità, con conseguenti rimozioni ed inibizioni
inconsce. I traumi producono determinate inclinazioni e tendenze nella personalità, irrompendo
talvolta a livello cosciente in modo tumultuoso e lasciando il soggetto in un grave stato di
disorientamento, confusione e sofferenza. La personalità storica, quella di cui possiamo raccontare
in senso autobiografico, è sovente caratterizzata da uno squilibrio tra ciò che potremmo definire il
principio del Logos e quello dell’Eros. Logos, che in greco significa verbo, parola, ragione, è il
principio di conoscenza, tradizionalmente associato agli uomini e alla mascolinità. Il Logos ricerca
il sapere, l’analisi, la chiarezza e gli spazi ben delineati. E’ la legge dell’intelletto e della
mente umana. Serve a ben orientarsi. L’Eros, termine che deriva dal nome del figlio della dea
Afrodite, può essere definito come il principio di accoglienza, unione e collegamento, la sfera
emozionale, generalmente associata alle donne e alla femminilità. L’Eros cerca il calore, l’affetto,
la sensibilità e la spontaneità.

A questi due princìpi archetipici corrispondono due diverse categorie di conoscenza e di approccio
alla realtà: la conoscenza razionale e mediata, fondata sul ragionamento, sulla deduzione, sul senso
critico e sullo spirito di analisi, e la conoscenza immediata che si nutre della capacità intuitiva.
La polarità tra il lato femminile e quello maschile è una delle principali che troviamo nell’animo
umano. Generalmente la persona tende infatti a dare maggiore risalto all’uno o all’altro di questi
aspetti (maschile o femminile), solitamente a quello che la rispecchia anche fisicamente. Nel corso
della storia la società umana ha favorito più spesso l’aspetto maschile rispetto al femminile.
Piuttosto di riconoscere che la personalità evoluta di ogni uomo e di ogni donna dovrebbe essere il
risultato di un’azione reciproca e integrata tra maschile e femminile, si è venuto spesso a creare
un ordine statico, quasi dicotomico, nella convinzione che le donne abbiano caratteristiche
unilateralmente femminili e gli uomini unilateralmente maschili. Scambiando poi la forza fisica per
la forza morale, considerando la razionalità dell’intelletto come superiore in ogni caso
all’intuitività del sentimento, agli uomini sono stati assegnati ruoli predominanti e privilegiati
nella guida del governo e della società. In verità nessuno è esclusivamente uomo o donna, perché
nella personalità di ognuno sono compresenti caratteristiche maschili e femminili, in misura
maggiore o minore a seconda dei residui karmici di esperienze compiute in questa vita o nelle
precedenti, laddove abbiamo indossato corpi di uomini e donne con forme mentis peculiari, i cui
tratti ancora permangono nelle nostre attuali tendenze, propensioni caratteriali, talenti e difetti
innati.

Accade spesso che nell’uomo tendano a rimanere involute, sconnesse e mal integrate le facoltà che
appartengono alla sfera dell’Eros, mentre nella donna si avvertono generalmente maggiori carenze sul
piano del Logos. Lavorare all’integrazione della personalità è fondamentale per acquisire il meglio
delle caratteristiche maschili e femminili sviluppandole a prescindere dal proprio genere. In
verità, infatti, noi non siamo né uomini né donne, ma essenze uniche ed eterne (atman)
caratterizzate in origine da un’individualità armonica di natura puramente spirituale. L’essere
incarnato, pur essendo portatore di un corpo di genere femminile o maschile, non deve identificarsi
né con il genere né con il corpo, rammentando che l’uno e l’altro sono un fatto temporaneo ed
esterno alla propria natura profonda e originaria, una maschera che deriva dalle esperienze compiute
e dalle tendenze acquisite, da samskara e vasana. Come accennato, il Logos designa la razionalità,
il pensiero, l’audacia nelle argomentazioni logiche e nella capacità di analisi. Sovente accade che
chi ha queste qualità molto ben sviluppate sia invece tremendamente carente sul piano affettivo, nei
sentimenti, nelle intuizioni, nella sensibilità. Non è raro che una facoltà o tendenza della
personalità prenda il sopravvento, venga estremizzata ed ipersviluppata a scapito di altre parimenti
importanti.

In alcune persone certe caratteristiche tipicamente maschili risultano ad uno stadio infantile, per
cui la lucidità e il distacco emotivo appaiono inadeguati, emergendo invece con forza tendenze
all’azione impulsiva, ad un’intuizione spesso erronea perché condizionata da un’istintività e
passionalità che il soggetto non sa gestire. Quando il sentimento non è illuminato dalla razionalità
si rivela fortemente dannoso, scadendo nella passione cieca e nel sentimentalismo. L’impulsività e
il desiderio si sostituiscono alla corretta visione delle cose, portando a conclusioni affrettate,
infondate e fallaci, prodromi inevitabili di delusione e sofferenza. L’Eros, che è il mondo
dell’affettività e dei sentimenti, si trasforma in un turbinio di passioni gravi, tenebrose,
incontenibili e torbide se non è rischiarato dal lume discernente dell’intelletto tramite la forza
del ragionamento (vitarka), della riflessione (vicara) e dell’osservazione matura e distaccata
(vairagya). Analogamente il Logos, se non è ben equilibrato ed integrato con la sfera dell’Eros,
rischia di soffocare emozioni e sentimenti positivi con una razionalità sterile. Anche le
neuroscienze indicano che i due emisferi cerebrali sono deputati a ruoli e funzioni diverse:
l’emisfero sinistro è preposto a quelle funzioni prettamente maschili legate al processo cognitivo,
logico-razionale, mentre l’emisfero cerebrale destro è la sede delle emozioni, della creatività, e
dunque delle caratteristiche e propensioni tipicamente femminili. Occorre imparare ad armonizzare la
funzione psicologica estrovertita con quella introvertita, valorizzando ed integrando Logos ed Eros.

Potremmo dire che, a prescindere dal corpo fisico che indossiamo, la nostra natura è androgina,
nutrita dalla compresenza a livello biologico e psichico di tratti maschili e femminili.Come spiega
Krishna nel sesto capitolo della Bhagavad-gita (VI.6), una mente squilibrata, ribelle e selvaggia è
il peggior nemico dell’essere umano. Per contro, chi conquista la mente, arrivando a percepirla come
strumento nelle mani del sé, ritrova se stesso e ottiene tutto quel che desidera. Nella
Bhagavad-gita (II. 54-55) Arjuna chiede a Krishna: “Quali sono i sintomi di una persona la cui
coscienza è immersa nella trascendenza? Come parla e con quali parole? Come si siede e come
cammina?” Krishna risponde “O Partha, la persona che si libera da ogni desiderio di gratificazione
dei sensi generato dalla speculazione mentale, e con la mente così purificata trova soddisfazione
soltanto nel sé, è situata nella pura coscienza spirituale”. In quest’ultima strofa compare un
termine molto interessante, mano-gatan, che indica le fughe della mente, le corse letali per
inseguire bramosie effimere e piaceri illusori. Certi squilibri mentali e aspetti involuti della
personalità sono spesso poco conosciuti e compresi, non raramente vengono infatti svalutati e
negletti a causa di condizionamenti culturali, mentre l’individuo rimane in uno stato crescente
d’immaturità psicologica che, se non sanato, arriva a produrre anche gravi patologie e disturbi
comportamentali. È dunque un onere imprescindibile quello di occuparsi seriamente dell’eliminazione
di scompensi e disarmonie a carico della personalità, prima che esse si strutturino radicandosi in
profondità.

In un mondo dominato dall’elemento maschile, con tendenze discriminatorie nei confronti degli
aspetti femminili, dove permane comunque la propensione ad un’identificazione totalizzante con il
corpo e con il genere, questa ricerca di integrazione non sempre risulta tra le più facilmente
accettabili. La cultura Bhaktivedantica insegna a guardare con lo stesso rispetto a donne e uomini,
non immedesimandosi unilateralmente in un genere o nell’altro, perché l’immagine che ci rimanda lo
specchio non corrisponde alla nostra natura originaria e profonda. Il sé è ben oltre le connotazioni
storiche e temporanee di maschio e femmina, la sua identità pura mente spirituale è definita in
sanscrito nitya svarupa ed in essa trovano perfetta sintesi ed espressione qualità maschili e
femminili. Il sé è l’essenza spirituale (atman) e il centro unificatore della coscienza, è
l’individualità unica ed eterna, la quale non risente ontologicamente delle patologie che affliggono
il corpo e la mente. Come spiega anche Jung, grande studioso di opere indovediche, l’individuazione
del sé è la chiave di volta di tutti i processi di evoluzione e di crescita umana. La scoperta
dell’atman permette al soggetto di centrarsi in sé stesso, di ritrovare il proprio baricentro. Essa
armonizza ed equilibra tendenze opposte, sana le contraddizioni e i conflitti dell’io storico,
amplificando la coscienza in direzione della sua universalità. Per spiegare il principio universale
del sé Jung elabora un interessante parallelismo con il processo alchemico.

Gli antichi alchimisti si proponevano di trasformare la materia grezza in oro filosofale e nella
Nigredo alchemica Jung vede il confronto con l’ombra della personalità, nell’Albedo il confronto con
gli archetipi dell’Anima e dell’Animus e nell’Opus la scoperta della coscienza integrata del sé.
L’esperienza di unione e integrazione degli opposti complementari si consegue con il raggiungimento
di un livello superiore di coscienza, nel quale le categorie del mondo e del pensiero ordinario
vengono trascese conciliandosi in una unità dinamica. Come asseriva Lewin, “le parti sono diverse
dalla loro somma”. Nella Bhagavad-gita (II.45) colui che ha trasceso la forza magnetica degli
opposti è definito nirdvandva. Per i latini eludere i campi di forza degli opposti era la
“congiuntio oppositorum” ricercata da tutti coloro che capivano che esiste una dimensione superiore
di completezza, libertà e amore, in cui ci si può esprimere all’infinito senza le catene dei
condizionamenti e della convenzionalità.

Tratto dal libro ‘Dall’Eros all’Amore’

da psicologiaespiritualita.blogspot.com/

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