L’ORDINE IMPLICITO (IL DHARMA) NEL ‘GRANDE [POEMA DEI] BHARATA’
‘La Provvidenza afferma che in questo mondo solo il Dharma è supremo
e quando il Dharma viene sostenuto diffonde la pace’.
(Mahabharata II.60.1374).
Di Marco Ferrini
La sacralità del Mahabharata viene enunciata per lintero corso dellopera, non solo in virtù del
formidabile messaggio spirituale di cui è portatore (cfr. Bhagavata Purana I.4.25), ma anche in
quanto caratterizzato dalla discesa (avatara) di Dio nel mondo per la protezione dei buoni, la
distruzione degli empi e la preservazione del Dharma. Il Dharma rappresenta probabilmente il
principale insegnamento del Mahabharata; esso è infatti la costante, lidea centrale, il filo rosso
che unisce anche quelle narrazioni che sembrano discostarsi dal nucleo della storia e che danno
senso al poema nella sua interezza. Il Dharma è quella Forza divina che tutto muove, regola e
sostiene, lEquilibrio universale, la Legge sacra, la Giustizia eterna, linsieme degli infallibili
Princìpi della Religione che regolano la vita etica, morale, politica, sociale e familiare di
ciascun essere. La parola sanscrita Dharma va dunque oltre il normale concetto di legge. Se talvolta
è possibile trovarci di fronte ad una legge ingiusta, non si potrà mai imbatterci in forme ingiuste
di Dharma in quanto il Dharma è Legge divina, al contempo causa ed effetto dei sacri Veda. Mentre
insegna a re Yudhishthira la scienza politica, il grande saggio Narada afferma infatti che il Dharma
è trayi-mula, espressione che può essere interpretata in due modi: A) I tre Veda sono la base del
Dharma e B) il Dharma è la base dei tre Veda.
La natura sottile del Dharma
Il concetto di Dharma pervade la cultura del Mahabharata, e di consegenza tutta la Cultura Indiana,
presentandosi sotto svariate forme, non sempre intellegibili. Il Dharma è infatti di origine divina
(cfr. Bhagavata Purana, VI.3.19) e, in quanto tale, presuppone sempre lulteriorità propria della
dimensione metafisica, che va oltre la portata dellintelletto umano. Quando ad esempio re Drupada
non riesce a capire come sia possibile che il Dharma di sua figlia sia sposare tutti e cinque i
Pandava, suo figlio Dhrishtadyumna, che condivide i sentimenti del padre, ne conferma la
complessità: “Il Dharma è denso di sottigliezze, perciò non possiamo assolutamente comprenderne
tutte le dinamiche. Non è possibile stabilire se questo matrimonio è autorizzato dal Dharma o se fa
parte dell’Adharma” (Mahabharata I.188.11). Strettamente connesso ai concetti di Karma
(azione-reazione), Prakriti (Natura materiale) e Samsara (ciclo di nascite e morti ripetute), il
Dharma viene più volte descritto nel corso dellopera nella propria natura sottile, ma in quanto
concepito dal Signore per regolare lazione di chi si trova confinato nella dimensione
spazio-temporale, nel qui ed ora propri della vita incarnata, esso si propone sempre anche in
una dimensione concreta, destinata ad essere vissuta e quindi compresa, per quanto possibile, da
ogni creatura vivente. Da qui la responsabilità di ciascun uomo nel custodire il Dharma, al fine di
recidere definitivamente i nodi del cuore e conseguire lo scopo sommo della vita, che consiste
nellottenimento della comunione con Dio. Esistono due tipi fondamentali di Dharma, cioè il Dharma
che vale per tutti gli uomini e il Dharma peculiare cui ciascun individuo deve attenersi in base al
proprio ruolo sociale.
La prima forma di Dharma, caratterizzata da generosità, benevolenza, amore verso tutte le creature,
va sotto il nome di Sanatana Dharma (Dharma eterno) ed è conosciuta nel Mahabharata come ottuplice
via del Dharma, costituita di sacrificio (ijya), studio del Veda (adhyayana), carità (dana), ascesi
(tapas), veracità (satya), pazienza (kshama), compassione (ghrina) e assenza di cupidigia (alobha).
La seconda forma di Dharma, conosciuta come Sva-Dharma (Dharma specifico), si riferisce appunto ai
doveri specifici che ogni individuo ha il compito di svolgere in seno al proprio contesto sociale,
per cui, ad esempio, le norme che regolano la vita dello spiritualista (brahmana), non potranno
essere le stesse cui devono attenersi il principe guerriero (kshatriya), il commerciante (vaishya) o
il servitore (shudra). Il Mahabharata afferma che ogni essere umano dovrebbe eseguire i propri
doveri senza invadere quelli altrui, nel rispetto delle norme eterne (Sanatana Dharma). Nella
Bhagavadgita è spiegato che l’assegnazione dei doveri specifici (Sva-Dharma) avviene sulla base
delle tendenze (guna) e delle esperienze (karma) di ciascuna persona. Si può fare l’esempio di una
squadra di calcio. Una volta assegnati i ruoli, il successo della squadra dipenderà dall’esecuzione
dei doveri specifici da parte di ciascun individuo, che non dovrà assumere il ruolo che spetta ai
compagni di squadra. Perciò Krishna afferma ancora nella Bhagavadgita (XVIII. 47-48): E’ meglio
compiere il proprio Dharma, anche se in modo imperfetto, che accettare il dovere di un altro e
compierlo perfettamente. Eseguendo i doveri prescritti secondo la propria natura non s’incorre mai
nel peccato.
Ogni impresa è coperta da qualche errore, come il fuoco è coperto dal fumo. Perciò, o figlio di
Kunti, nessuno deve abbandonare l’attività propria della sua natura, anche se presenta errori.
Vediamo alcuni esempi tratti direttamente dal grande poema epico. Deposte le armi e abbandonati i
doveri regali, re Vasu cominciò a praticare ascesi con l’intenzione di ottenere la potenza
necessaria a raggiungere la posizione di Indra, re dell’universo. Allora Indra in persona si recò da
Vasu e gli disse di non mischiare i suoi doveri legittimi di sovrano con la funzione governativa di
Indra, poiché un imperatore protegge il Dharma verificando che tutti eseguano i loro doveri
specifici: “Sovrano della terra, il Dharma dei re non dovrebbe essere confuso. Proteggi il Dharma,
poiché quando viene sostenuto, esso sorregge l’universo intero” (Mbh. I.57.5). Similmente
Dhritarashtra, esortando il figlio Duryodhana a non invidiare i Pandava e a non bramare la loro
legittima posizione, dichiara: “La ricerca esasperata volta ad ottenere la proprietà altrui si
rivelerà un atto vano. Prospera colui che è pienamente soddisfatto di quello che possiede e compie
il proprio Dharma” (Mbh. II.50.6).
Dovremmo rilevare che la correttezza di una particolare azione dipende dal Dharma specifico di colui
che la compie. Ne è un esempio la storia di Shakuntala. Il giovane re Dushyanta cerca di convincere
l’affascinante fanciulla Shakuntala a sposarsi con lui tramite il matrimonio Gandharva, che consiste
in un’unione spontanea dei membri della coppia senza che questi abbiano prima chiesto il consenso
dei genitori. La sua richiesta si basa sul fatto che questo tipo di matrimonio può essere preso in
considerazione dai membri della classe regale (Kshatriya) e Shakuntala, anche se allevata da un
brahmana, il saggio Kanva, di fatto è figlia del guerriero Vishvamitra. Shakuntala accetta la
proposta di Dushyanta, ma si sente in grande imbarazzo quando l’amato padre adottivo Kanva ritorna a
casa. Però Kanva le dice: “Tu sei di stirpe regale, perciò quel che hai fatto oggi, unendoti con un
uomo senza prima esserti consigliata con me, non viola il Dharma. Si dice che per un membro della
classe regale il matrimonio Gandharva sia il migliore. [In questo caso] l’unione che avviene in un
luogo solitario per il desiderio sia dell’uomo che della donna, senza che questi si consiglino con
qualcuno, è autorizzata” (Mbh. I.67.25-26). L’aderenza ai principi del dharma, ed in particolare ai
doveri prescritti ad ognuno di noi, pone l’essere in armonia con l’ordine implicito, con
quell’armonia che sottende a tutta la manifestazione cosmica. Come conseguenza di questo
allineamento riemerge in modo naturale l’armonia già presente in ognuno di noi e che caratterizza la
parte più profonda della nostra personalità, la nostra vera essenza. Al contrario, agendo contro il
dharma (ovvero compiendo azioni adharma), si genera un’energia che si oppone a questa armonia
preesistente, che genera come conseguenza patologie a livello psicologico secondo il principio di
azione-reazione che tutti conosciamo a livello fisico, ma che agisce anche su un piano più sottile.
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