L’origine culturale delle sensibilità musicali

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L’origine culturale delle sensibilità musicali

14 luglio 2016

La percezione delle note consonanti e dissonanti come piacevoli e spiacevoli è legata a fattori
culturali e non a caratteristiche dell’apparato uditivo. Lo dimostra uno studio sulla popolazione
amazzonica degli Tsimané, una delle poche ad aver avuto un’esposizione minima alla cultura occidentale, che infatti non è sensibile a questa distinzione (red)

da lescienze.it

La preferenza musicale per la consonanza o la dissonanza è legata all’esperienza musicale e non alla
fisiologia del sistema uditivo. E’ questa la conclusione a cui sono giunti alcuni ricercatori del
Massachusetts Institute of Technology, della Brandeis University a Waltham e della Baylor University a Waco che hanno condotto uno studio etnomusicologico descritto su “Nature”.

Il suono prodotto da alcune combinazioni di note musicali suonate contemporaneamente in genere è
percepito come piacevole (consonanza), mentre altre combinazioni sono considerate sgradevoli
(dissonanti). La percezione piacevole si ha quando il rapporto fra la frequenza delle note è
semplice, vale a dire che è esprimibile come una frazione intera con numeratore e denominatore piccoli.

Questa distinzione è particolarmente sentita nella cultura musicale occidentale ma, nonostante la
notevole diversità di espressione musicale, è ampiamente recepita anche in altre culture.

Per questo, molti studiosi hanno ipotizzato che alla sua base vi siano dei vincoli fisici e
fisiologici legati all’udito e che quindi quella preferenza sia comune a tutti gli esseri umani.

La percezione spiacevole dei suoni dissonanti potrebbe per esempio essere dovuta alla formazione di
“battimenti” che possono ostacolare una chiara percezione dei suoni. L’ipotesi però non è mai stata testata su popolazioni che non siano state esposte alla musica occidentale.

Ora Josh McDermott e colleghi hanno condotto uno studio sulle preferenze musicali di un gruppo di
Tsimané – una popolazione indigena dell’Amazzonia boliviana che ha avuto una scarsissima esposizione
alla cultura occidentale – per confrontarle con le preferenze degli abitanti della capitale La Paz e di un piccolo centro rurale.

E’ risultato che, mentre questi ultimi due gruppi preferivano le consonaze, anche se in misura meno
marcata di un gruppo di controllo di cittadini statunitensi, gli Tsimané non hanno mostrato alcuna differenza di valutazione fra suoni consonanti e dissonanti.

Testando la reazione degli Tsimane sia a suoni familiari, come risate e rantoli, sia a un’ampia
gamma di suoni sintetici, i ricercatori hanno poi escluso che le risposte fossero dovute a una
differenza nella capacità di discriminazione acustica o a particolari inclinazioni estetiche legate a suoni familiari.

Secondo i ricercatori una possibile spiegazione di questa insensibilità degli Tsinamé alla
differenza fra suoni consonanti e dissonanti potrebbe essere legata al fatto che nella loro cultura
musicale mancano linee musicali multiple: i loro musicisti suonano cantano uno alla volta,
eventualmente alternandosi, ma mai contemporaneamente: quando i ricercatori hanno chiesto loro di farlo, si sono rifiutati.

Come osserva in una nota di commento Robert Zatorre – neuroscienziato alla McGIll University di
Montreal non coinvolto nello studio – l’assenza di relazioni armoniche nella musica Tsimané può
averli resi insensibili a questa qualità sonora per un fenomeno analogo a quello che si osserva anche nella lingua parlata.

Quando in una lingua certi contrasti sonori sono assenti – come la distinzione tra “r” e “l” o fra
“b” e “p” – dopo una certa età i parlanti perdono la capacità di distinguere tra quei suoni a causa
della sintonizzazione del sistema uditivo e neurologico alle esigenze dell’ambiente.

http://nature.com/articles/doi:10.1038/nature18635

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