L’origine dell’Anima secondo Pitagora

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L’origine dell’Anima secondo Pitagora

Pitagora (640- 750 a .C. – 504- 501 a .C.)

Tratto dal libro: “Pitagora e i Misteri”

di Jean Mallinger

I neofiti ricevettero dal Maestro una quadruplice lezione, poiché da lui appresero il segreto della
dualità dell’essere umano, la psicologia segreta, la pesata dell’anima e l’origine di essa.

a) La nostra anima è imprigionata nel corpo, diceva il Maestro, formulando questa regola col
celebre adagio: «Sôma Sêma», «il corpo è una tomba». Nel corpo, l’anima lotta costantemente contro
le nostre tendenze inferiori. L’essere umano è dunque duplice, è al tempo stesso materia e spirito.
Ognuno di questi elementi ha la propria originalità e la propria natura caratteristica.
b) L’anima è composta da una particella di etere caldo e da una di etere freddo; una di esse è
eterna. La nostra anima si nutre di sangue, e persino quelle dei morti ne bramano ancora la
vitalità: è così che si spiegano i fenomeni di ossessione, di vampirismo, le apparizioni ed i
fantasmi che certe persone hanno potuto percepire. L’anima è legata al corpo dai bronchi, non dal
cervello, ed entra in noi col primo atto di respirazione, abbandonandoci all’ultimo respiro. Di
notte, acquisisce un’espansione maggiore, e durante il sonno non si può spostare fino a distanze
considerevoli. E’ in questo modo che vengono spiegati i fenomeni di telepatia, di chiaroveggenza e
di premonizione.

La vita umana partecipa del calore universale ed è in risonanza col sole, portatore di vita;
come la pioggia discende dal cielo, entra in terra e poi risale verso il sole, per l’evaporazione
del mare, allo stesso modo le anime discendono dal cielo, entrano nella prigione della carne e
risalgono verso il Sole al momento della morte. Gli occhi sono le porte del Sole: essi hanno in sé
un elemento igneo ed emettono raggi che vanno a cogliere l’oggetto esterno. Ciò spiega le immagini
degli specchi. La visione è possibile solo attraverso l’acqua e l’aria, che sono fredde. La nostra
voce è formata dall’etere freddo e invisibile.

Abbiamo in noi quattro vite successive, incastrate l’una dentro l’altra. L’uomo è un minerale,
perché ha in sé lo scheletro, formato da sali e da sostanze minerali; attorno a questo scheletro è
ricamato un corpo di carne, formato di acqua, di fermenti e di altri sali. L’uomo è anche un
vegetale, perché come le piante si nutre, respira, ha un sistema circolatorio, ha il sangue come
linfa, si riproduce. E anche un animale, in quanto dotato di motilità e di conoscenza del mondo
esterno, datagli dai cinque sensi e completata dall’immaginazione e dalla memoria. Infine è un
essere razionale, in quanto possiede volontà e ragione. Abbiamo dunque in noi quattro vite distinte
e dobbiamo quindi conoscerci quattro volte. Il nostro motto deve essere quello del frontone del
Tempio di Delfi: «Conosci te stesso»; questo è l’ABC di ogni speranza.
c) Ogni giorno dobbiamo compiere un duplice esame di coscienza, una doppia pesata della nostra
anima o psicostasia. Al mattino dobbiamo elaborare il nostro piano d’azione per la giornata, e la
sera dobbiamo fare il bilancio di quanto siamo riusciti ad attuarne.

I Versi Aurei lo affermano senza equivoco: «Uscendo dal dolce sonno – dice Porfirio nel suo
testo – devi innanzitutto riflettere con la massima cura sulle diverse opere che dovrai realizzare
nel corso della giornata. La sera, poi, non devi mai lasciare che il sonno chiuda le tue pupille
senza prima sottomettere alla ragione le azioni compiute di giorno, chiedendoti: quali trasgressioni
ho commesso? Cosa ho fatto? Quale dovere ho dimenticato? Verifica tutti gli atti compiuti
cominciando dal primo: se scopri di avere agito male, rimproverati; se hai fatto bene, rallegrati
con te stesso» (Versi Aurei, 40-44). Questo esercizio quotidiano della psicostasia ci permetterà
costantemente di «fare il punto» sul nostro progresso morale.
d) Da dove proviene la nostra anima? Secondo Cícerone, che riprende certe tesi degli antichi,
essa deriva dall’anima cosmica e si lega al corpo fisico nel quale è caduta. L’anima è un numero che
si muove per propria virtù e cade in un determinato corpo seguendo una segreta affinità.
Qual è il motivo di questa caduta? E’ per il suo bene, per il suo progresso, per evolversi verso
la perfezione e per ridiventare un giorno degna di appartenere di nuovo alla sua patria celeste.

L’anima è limitata dal corpo in cui è racchiusa, sia per quanto concerne la conoscenza che per
l’irraggiamento. Essa non può morire per rinascere: è la dualità corpo-anima che perisce, per
rendere possibile una reintegrazione celeste grazie a questa rottura del legame che la vincola alla
terra. L’uomo muore nel senso che il suo corpo fisico ritorna alla terra; la particella di etere
caldo della sua anima sussiste per un certo tempo dopo la morte, poi morirà a sua volta, e sarà
questa la seconda morte. Ma la particella di etere freddo è immortale e subisce la legge delle
peregrinazioni fino alla sua ascensione finale.
Queste sono, a grandi linee, le lezioni che ricevevano gli Akousmatikoi.
Ancora una volta, il Maestro parlava loro per enigmi:
«E’ un crimine tirare i sassi contro le fontane» (Simb.7). La fontana dà generosamente la sua
acqua chiara a tutti, senza discriminazioni o interesse. L’iniziato deve fare lo stesso. Non bisogna
mostrarsi ingrati verso coloro che illuminano il popolo, che servono i loro simili con i consigli
della loro saggezza; rispettiamo dunque i nostri maestri perché sono i nostri benefattori.

«Non mangiare con la sinistra» (Simb. 8). La sinistra, per gli antichi, era la mano del
l’imperfezione, dei profitto disonesto. Non accettiamo dunque nulla che provenga da una fonte
impura.
«Non attizzare il fuoco con la spada» (Ak. 5). Non eccitiamo un essere in collera, ma piuttosto
calmiamolo con parole dolci o con. soave armonia. La collera è una malattia che l’armonia può
guarire, ristabilendo l’ordine turbato.
«Non portare l’immagine di un Dio su un anello» (Ak.9). Bisogna saper tacere e non parlare a
tutti gli argomenti elevati. Non gettiamo ai porci le perle dell’iniziazione.
«Semina la malva senza mangiarla» (Ak. 13). Sii dolce con gli altri ma non con te stesso.
«Non spezzare il pane» (Ak. 24). Non essere avaro. Gli antichi dividevano il pane in quattro
parti, con una croce intagliata al centro. Diamo agli sfortunati con larghezza e non con parsimonia.

«Allontana da te la spada affilata» (Ak. 40). Evita i violenti, i collerici, i maldicenti.
«Onora la toga, lo scanno, il Ternario» (Ak. 53). Rispetta la gerarchia, l’autorità legittima,
l’armoniosa organizzazione del mondo.

Infine, segnaliamo che gli universalmente noti Versi Aurei si aprono con l’invito a riconoscere la
gerarchia che domina il mondo e alla quale il Miste deve rendere il giusto omaggio.
«Prima d’ogni altra cosa, rendi agli Dèi immortali il culto consacrato; rispetta Colui che
protegge i giuramenti e gli eroi pieni di nobiltà. Onora infine gli spiriti sotterranei offri loro i
sacrifici tradizionali»

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