LSD ed ecstasy alterano la struttura dei neuroni

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LSD ed ecstasy alterano la struttura dei neuroni

2 giugno 2018

Test su cellule in vitro e su modelli animali hanno mostrato che varie sostanze psichedeliche
innescano un incremento delle ramificazioni dei neuroni e delle loro mutue connessioni, come già
documentato per la ketamina. Sono indicazioni importanti per possibili nuovi trattamenti
farmacologici di disturbi come la depressione (red)

da lescienze.it/news

“Da molto tempo si ipotizza che le sostanze psichedeliche siano in grado di alterare la struttura
neuronale, ma questo è il primo studio che sostiene questa ipotesi in modo chiaro e non ambiguo”,
con queste parole David Olson, ricercatore dell’Università della California a Davis, ha commentato
il risultato raggiunto con alcuni colleghi, descritto su “Cell Reports”.

I dati ottenuti nella sperimentazione in vitro e su modelli animali indicano che composti come LSD
ed ecstasy determinano un incremento delle ramificazioni dei neuroni (i dendriti), della densità
delle piccole protrusioni di questi ramificazioni (le spine dendritiche) e del numero di connessioni
tra neuroni (le sinapsi). In sintesi, le sostanze psichedeliche sembrano riprodurre, in termini di
stimolazione della plasticità neurale, quanto già documentato per la ketamina.

Lo studio è espressione dell’enorme interesse che suscitano queste sostanze per il loro possibile
uso come trattamenti farmacologi per i più diffusi disturbi mentali, primi fra tutti ansia e
depressione, ma anche per il disturbo bipolare e per la dipendenza dall’alcool. Nel caso della
depressione, in particolare, è pressante la necessità di aprire nuove prospettive terapeutiche.
Attualmente gli antidepressivi più usati sono gli inibitori della ricaptazione della serotonina (un
neurotrasmettitore fondamentale, noto anche come “ormone della felicità”) o i più recenti inibitori
del ricaptazione della serotonina e della norepinefrina (conosciuta anche come noradrenalina, un
altro neurotrasmettitore). Con queste molecole però si ottengono buoni risultati solo nel 60 per
cento circa dei pazienti.

Da decenni ormai si studia la possibilità di sfruttare come antidepressivo la ketamina, un farmaco
diffuso come anestestico negli ospedali – l’Organizzazione mondiale della Sanità la classifica come
“farmaco essenziale” per le sue caratteristiche di efficacia e sicurezza – e usato anche come droga
ricreativa. I suoi effetti psicotropi variano, in funzione del dosaggio, da un’euforia simile a
quella delle sostanze alcoliche fino a uno stato dissociativo, accompagnato da allucinazioni
intense.

Così come avviene per gli inibitori della ricaptazione della seorotonina e della norepinefrina,
anche nel caso della ketamina si punta principalmente sul riequilibrio di un neurotrasmettitore
chiave: il glutammato. Ma gli studi sugli animali hanno mostrato che il suo effetto antidepressivo
va ben oltre, e può essere legato a una stimolazione della plasticità cerebrale.

Questo effetto può essere compreso considerando che nella depressione avvengono anche trasformazioni
strutturali in alcune parti del cervello. Sono state documentate alterazioni dei circuiti neurali,
dovute nello specifico alla ritrazione delle proiezioni – assoni e dendriti – che permettono ai
neuroni di comunicare tra loro. Questo “avvizzimento” neurale avviene in particolare nella corteccia
prefrontale, una regione cerebrale che regola emozioni, umore e stato d’ansia. E può essere
contrastato con la somministrazione di ketamina, che stimola la ricrescita di queste vie di
comunicazione neurale.

L’idea di Olson e colleghi è stata quella di verificare che cosa succede a neuroni esposti ad altre
sostanze psichedeliche. Gli scienziati hanno analizzato tre diverse categorie di sostanze:
anfetamine (tra cui l’ecstasy), triptammine (tra cui psilocibina e dimetil-triptammina, nota anche
come DMT) ed ergoline (tra cui l’LSD).

I dati raccolti indicano che gli effetti sulle cellule sono gli stessi sia nei test di ricrescita su
neuroni in coltura sia nei test sulle proprietà elettriche dei neuroni nei modelli animali.

“La ketamina non è più l’unica opzione: il nostro lavoro dimostra che c’è una gamma di sostanze
chimiche in grado di promuovere la plasticità in modo simile, aprendo nuove prospettive per farmaci
alternativi efficaci e sicuri”, ha concluso Olson.

www.cell.com/cell-reports/home

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