L’ultimo degli egoismi umani

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L’ultimo degli egoismi umani

Le Chiavi Mistiche dello Yoga

di Guido Da Todi

Capitolo 55:

Io non so cosa intendano coloro che si riferiscono all’amore unico che
bisogna portare a Dio.

Tralascerei, per il momento, di parlare dei soliti concetti sul monismo e
sul dualismo (possono, a lungo andare, stancare… diciamoci la verità).

In essi, probabilmente, affermare che Tutto è Uno, significa, anche e di
conseguenza, dire che – giunto all’estremo della perfezione – l’individuo è
forzato a considerare un amore astratto e non meglio definibile, che va in
una sola direzione: appunto, l’Uno Tutto.

E, portata la questione in questi termini, essa può mostrarsi
giustificabile. No, non voglio dire questo.
Io mi riferisco, invece, a coloro (uomini e donne) che – sicuramente non
avendo raggiunto la vera percezione di Dio – insistono ad affermare che il
fine ultimo dell’uomo sta nel dedicarsi solo a Lui, ed amare solo Lui.

Iniziamo a vedere il fenomeno – spropositatamente messo in evidenza – nei
monasteri di clausura, negli eremitaggi, nei conventi.

Colui e colei che si dedicano al Signore, molto spesso, hanno sicuramente
escluso il resto del mondo da questo totale amore. O, per lo meno, lo hanno
posto in secondo piano, rispetto alla loro dedizione individuale a Dio.

Già essi iniziano la frattura, prima del dono della loro vita all’Ordine
Religioso. Raccolgono, da una parte, come cocci senza valore, tutti gli
affetti, tutti i valori umani – non strettamente dedicati a quello celeste
– ed ogni altro sentimento umano; e li rinnegano. Dall’altra, invece,
evidenziano solo Dio. E verso di Lui iniziano ad proiettare il dono
assoluto del proprio io.

Da quel momento, prende forma un terribile Moloch; questo amore altero,
direi glaciale, perfetto di una perfezione eburnea; ma, in effetti, intriso
del più forte ed acuto egocentrismo personale, e di una ignoranza di fatto,
riguardo a ciò che, invece, è la natura spontanea del fenomeno.

Chiamo, questo: l’ultimo degli egoismi umani.

E vi prego di studiarne il processo soggettivo, con più attenzione. Esso
appare anche in ambienti spirituali che potrebbero sembrare, nella
facciata, fuori di ogni sospetto.

Il fatto che la meta dell’uomo è
una formula tradizionale diffusa più di quanto non sembri, a prima vista.
Fateci attenzione, e comincerete a scorgere tale atteggiamento un pò
dappertutto. Ora, non vorrei essere frainteso.

Dico anche io che la meta dell’uomo è percepire, con intensità pari a
quella di ogni sua altra esperienza materiale, la sottile e penetrante Vita
onnipervadente della divinità. Dico anche io che la sperimentazione di
codesta catartica destinazione attende ogni uomo e donna al
termine del Sentiero; ed affermo che la gioia assoluta (come dicono le
Upanishad) accompagnerà, in eterno, chi ha fuso la propria anima
individuale con quella infinita di Dio.

Ma, codesto, è un altro discorso.

Si dà il caso, tuttavia (e lo può immediatamente testimoniare solo colui
che ha, per lo meno, un minimo barlume di verace rapporto con l’Uno) che il
primo fenomeno reattivo che egli riceve dalla fusione con Dio sia una
spinta immediata a donarsi in ogni direzione, e ad amare tutto ciò che la
sua coscienza riconosce come vita.

È difficile comprendere e – ancora – spiegare la dimensione in cui e con
cui si esprime la Nota sacra dell’Uno.

Essa, intanto, ha la connotazione dell’universale. Cosa vuol dire ciò? In
ultima analisi, significa accettare che tra noi ed il resto delle cose
tutte non vi è un margine, una separazione, un qualunque tipo di
demarcazione.

Proprio così. Prima noi ci rendiamo conto che quella gabbia posticcia e
mentale che ci siamo costruiti a schermo dell’universo, e che chiamiamo i
limiti del nostro io personale (sublime o meschino che sia) rappresenta
il volano diretto della nostra illusione (Maya) e prima cominceremo a
vacillare, perplessi, nella constatazione reale e magica che non esiste nè
una giuntura, nè una frattura fra noi ed il resto del cosmico.

È un’esperienza che attende tutti coloro che si trovano nel sentiero
dell’evoluzione.

Gradatamente, penetreremo nella quotidiana consapevolezza del grandioso
fenomeno – avvertibile in ogni sua risonanza – del nostro essere Uno e
Tutto.

Però, più che avere la consapevolezza sempre maggiore della costante
riduzione, sgretolamento e dissoluzione della nostra mente individuale, e
più che percepire un’intensificazione crescente di quella che, altrove, è
stata chiamata la Vita Impersonale, altro non riusciremo a realizzare, in
questa dimensione.

L’assoluto, proprio in quanto tale, pone dei termini categorici ad ogni suo
aspetto relativo.

Cosa può mai venire pensato, nello stato di mancanza del pensiero? Cosa può
realizzarsi, nella realizzazione ultima? Cosa può articolarsi, lì dove
tutto è già articolato?

Di solito, a questo punto, cessa la via del monismo ed inizia quella del
dualismo.

Il monista è pago di questa indicibile esperienza del riconoscersi Uno
Tutto; un’esperienza che – come vuole la regola di questa magnifica Scuola
tradizionale – non può, nè deve essere descritta: ma, solo sperimentata.

Il dualista – secondo Ramakrishna – è la faccetta speculare del monista (e
viceversa).

Malgrado le due scuole sembrino antinomiche tra di esse, si esprimono
proprio come asseriva Ramakrishna; che diceva:” Brahman è saguna e nirguna,
allo stesso tempo; cioè, Brahman è Dio con forma e Dio senza forma:
l’Assoluto.

In qualche maniera, allora, dobbiamo accettare la lezione di immortali
Scritture, come la Bhagavad Gita; oppure, il modo di essere e di
realizzarsi di grandi Maestri (Ramakrishna, Vivekananda, Aurobindo, Sri
Yukteswarj), i quali si rivolgevano all’Incarnazione dell’Assoluto,
parlando – in modo sicuramente non illusorio – alla Grande Madre, Shakty;
al Padre (Gesù, il Cristo); a Krishna (Arjuna).

Non è possibile proseguire oltre, sulla via della realizzazione, se non
combiniamo in noi – in modo equilibrato – i due aspetti della cosmicità:
saguna e nirguna. Il Dio senza forma, e il Dio con la Forma.

Fratelli miei, non ascoltate – vi prego – coloro che vogliono trascinarvi
in una sola delle strade spirituali: quella astratta, oppure la concreta.
Ambedue, se privilegiate – pur possedendo, ognuna, affascinanti
smerigliature – sono destinate a perdervi, alla fine, se non riuscirete ad
unirle, equilibrandole in voi.

Le grandi sentenze dei Veda esprimono l’identità di Brahman e del Sè.
L’anima individuale – lo jivatman e l’Anima Suprema – il Paramatman – sono
Uno. Nessun abisso le separa.

Ed eccoci tornati al punto che ci interessa.

Vista sotto l’ottica della sua natura universale, la Vita Una non può
venire scissa dagli apparenti aspetti parziali che la formano.

Vostra moglie e vostro marito; i vostri genitori; i figli, e coloro che
formano l’ambiente usuale che frequentate; l’intensa e formicolante vita
umana, e non umana, che pulsa, si muove e vive, alacre, sul nostro pianeta,
ed oltre, sono proprio quella Vita Una di cui parliamo: quella in cui non
appare alcuna frattura separativa tra gli elementi che la compongono.

Tutto ciò è esattamente Dio.

Come possono illudersi, coloro che fanno la scelta di amare solo Lui, di
separare dal Suo Essere ogni cellula che ne forma l’infinita organicità
mistica?

Non vi accorgete dell’enorme illusione in cui sono immersi?

Come si può affermare di voler amare solo Dio se Egli è saguna e nirguna?
Ossia, è tutti coloro che appaiono come onde dell’oceano, ed è l’oceano
stesso?

Se amerete con tutti voi stessi una sola onda dell’oceano,
amerete l’oceano intero. Amerete
Brahman.

Ogni atto di dedizione, ogni atto di altruismo, ogni atto di totale e
gioiosa offerta del proprio io a qualunque individuo della specie umana, e
no; ogni puro sentimento che vada al nostro prossimo (dal sincero amore
verso il coniuge, a quello dei giovani che fanno servizio sociale) si
dirige automaticamente anche a Dio.

Quindi (con buona pace di noialtri, esimi spiritualisti..), anche coloro
che non si interessano di Dio e delle teologie metafisiche, ma vivono ed
esprimono l’amore puro e laico del loro cuore, nel mondo degli affetti
e dei doveri umani; anche costoro amano l’assoluto, donandosi
alle sue componenti relative.

Di conseguenza, volere escludere la Vita Una, l’Antico dei Giorni, Krishna
dal resto degli altri nostri amori è, per contro, la più sottile delle
illusioni ed il più freddo degli egoismi spirituali.

Non preoccupatevi, amici cari, se ritenete di non sapere raggiungere Dio.
Perchè lo avete, lì, accanto a voi, nelle sembianze di ogni persona che vi
accompagna, da presso, nel vostro viaggio reincarnativo.
Amate l’onda! Ed essa trasmetterà – automaticamente e naturalmente – il
vostro amore all’oceano. Questo è il grande valore che soggiace nel
concetto indiano del dharma e del karma yoga. Compiendo strettamente i
vostri doveri, amando coloro che vi circondano, e servendoli, voi amate e
servite Dio; che è Uno con Tutto ciò che esiste.

Sarà solo allora che avrete il dono e la benedizione del contatto personale
con il Dio della Forma; e che il Signore si mostrerà a voi – come solo Lui
sa fare – in quell’esperienza di amore infinito e personale che Egli ha
sempre avuto con i Suoi figli.

Vi sembra una teoria mistica ed infantile?

Sono, a questo punto, ben pazzi i grandi Guru della tradizione millenaria
che abbiamo alle nostre spalle!

Ognuno di essi ha avuto questa identica esperienza di fusione con l’Uno,
e, da allora, risiede in Lui, nella felicità che attende tutti, tutti noi.

Quindi: amore per l’Anima Universale e per l’anima individuale. Questo è
l’unico modo di unirsi con l’Uno Tutto!
Vi auguro ardentemente che possiate riconoscere il Profumo di Dio
nella prima persona che incontrerete – dopo aver finito di leggere
queste mie parole.

Vi accorgerete che la dedizione e la tenerezza verso il nostro prossimo
sono le sole catene che riescono a legare a voi la stesso Dio Vivente.

(Guido Da Todi)

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