di Andrea Borrelli
È da tempo che mi sono accorto di avere una mente ribelle. La
pratica me lo evidenzia sempre più.
Anche se comprendo lutilità del cercare di stare col respiro o
con le sensazioni fisiche, il più delle volte avverto un rifiuto a
rispettare questa consegna, allora sono costretto ad improvvisare,
e forse questo è, nel mio caso, il giusto modo di praticare.
A volte provo con successo ad osservare i pensieri, altre
volte devo semplicemente constatare che in quel momento
sono dominato da loro.
Non mi pongo il problema se sono “bravo”, se osservo il respiro
a lungo, o se non ci riesco neanche per un attimo.
Spesso funziona laprirmi allo stato danimo del momento, con
umiltà, senza sentire il bisogno di cambiare mente, che non
devo per forza stare col respiro, che ogni cosa che è presente
dentro di me va bene: pensieri compulsivi, agitazione, tristezza,
preoccupazione, paura. Insomma, non devo “fare” proprio
niente, perché tutto quello che cè ha una ragione di essere.
Ed è proprio questo stato dintima e solidale apertura che a volte
opera una trasformazione. Allora da questa spaziosità accettante
può nascere un senso di presenza, un “esserci”, che abbraccia
anche le sensazioni fisiche, il respiro, ogni cosa, perché
proviene da una comprensione del cuore. Altre volte invece lenergia
meditativa si risveglia con il provare a stare nel corpo,
con una, o più sensazioni fisiche.
Non cè una regola, una bacchetta magica, quello che ho notato
nel tempo è che il fatto di sedermi il più regolarmente possibile,
anche per soli dieci minuti, aumenta lo spazio interiore e la
mia motivazione.
Alcuni giorni fa, durante una meditazione in cui la mente ribelle
andava alla deriva, decisi di osservare meglio il momento nel
quale ero immerso, anche se non vi trovavo nulla dinteressante.
La giornata era grigia, di quel grigio uniforme che avvolge ogni
cosa e il mio umore era in parte sintonizzato con quel cielo.
Dalla finestra dove di solito ricevevo regali di bellezza dalla
natura (questa è una grande fortuna, ma riusciamo ad abituarci
anche a questo), non vi era niente che risaltasse, che brillasse,
perfino gli amati colori autunnali apparivano scialbi. Lidea di
stare con la consegna del respiro, o delle sensazioni fisiche, mi
dava un senso doppressione, era come costringermi ad un
compito gravoso in un momento di poca energia. La mente
rifiutava ogni forma di pressione a “praticare”, allora decisi di
osservare meglio la situazione.
Mi si formò nella mente questo pensiero: “Anche se non ci
trovi niente dinteressante, questo momento non è mai accaduto
prima e non tornerà mai più”. Caspita! Una campana di consapevolezza
mi risuonò dentro!
Mi risvegliai improvvisamente alla magia di quel momento,
alla sua unicità e bellezza.
Cera nuovamente intensità, quellintensità che ti coglie quando
ti risvegli dal sogno egocentrato e ti accorgi della magia dessere
vivo, qui, felice del solo esistere.
Il fatto che questo momento non fosse mai accaduto prima, gli
dava un senso dessere nuovo, non toccato, sacro ed il fatto
che non sarebbe tornato mai più rafforzava il senso della sua
unicità, della sua inestimabile preziosità.
Dimprovviso il momento presente riluceva attorno a me nella
sua struggente bellezza.
Non vi era più alcun senso di già visto, di già conosciuto, nessun
senso di noia, nessun conflitto sulla pratica, cera lesperienza
di osservare il nuovo istante con un intensità pacificata.
Vi era ancora poca energia, ma non era un problema, non creava
disappunto. La giornata era ancora grigia, ma anche questo
non era un problema, perché il cuore aveva capito qualcosa
dimportante e vi era gratitudine.
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