L’UNICORNO

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L’UNICORNO

di Antonio Bruno
per Edicolaweb

Forse siamo di fronte ad uno dei simboli più antichi dell’umanità o, forse, alla rielaborazione di
un lontano ricordo di tempi remoti, quando specie ormai estinte popolavano le immense foreste di una
Terra molto diversa dall’attuale.

Di certo, l’unicorno è un simbolo complesso, ricco di significati, non di rado archetipali, che sono
del massimo interesse per lo studioso di esoterismo.
Forse non tutti sanno che l’unicorno, come concetto simbolico, è originario dell’estremo Oriente, di
una regione fra l’India e la Cina, dove, nel “Li-Ki”, (l’antico memoriale dei riti magici secondo
cui “la musica è intimamente legata alle relazioni essenziali fra gli esseri”) viene messo a far
parte dei “quattro animali benevoli”, insieme alla fenice, al drago ed alla tartaruga. Abbiamo a che
vedere, anche in questa tradizione profondamente lontana in termini geografici dalla nostra cultura,
con i principi maschile e femminile, riuniti sotto il nome di “K’i-lin”. La sua raffigurazione era
quella di un possente cervo dotato di coda bovina e zoccoli di cavallo, peli dorsali di cinque
colori e, naturalmente, temibile corno al centro della fronte. Quest’essere fantastico aveva anche i
peli del ventre di color giallo e non poteva né calpestare erba viva né uccidere animali. Il “Li-Ki”
afferma che una simile meravigliosa creatura si faceva vedere dagli uomini solo il giorno in cui
nascevano dei perfetti sovrani.

Anche in Persia, per restare in Oriente ed in epoche remote, c’era la tradizione di un immenso
unicorno a tre zampe il cui straordinario potere era quello di purificare mari ed oceani minacciati,
allora, da qualcosa forse meno dannosa dell’attuale inquinamento…
Spostiamoci, ora, in Occidente. All’inizio si confuse quest’animale mitico con il rinoceronte, tanto
è vero che, fin dai tempi più antichi, si attribuirono al corno di quest’ultimo animale numerose
virtù curative e lenitive, non di rado di carattere afrodisiaco per il chiaro simbolismo virile.
Anche la polvere ottenuta dalla triturazione del corno di rinoceronte era un prodotto molto
ricercato e figurava fra le composizioni di numerosi unguenti o balsami dei più accreditati medici o
maghi (la differenza, allora, era molto sfumata…). In ogni caso, il mito dell’unicorno arrivò in
Occidente molto dopo la sua diffusione nelle terre orientali. Probabilmente fu in seguito a viaggi
che iniziò anche da noi la sua diffusione; nel VI sec. a.C., ad esempio, il famoso Ctesia, medico,
viaggiatore e storico persiano che visse alla corte di Artaserse, scrisse un’opera, l’ “Indikà”, in
cui descriveva le meraviglie dell’India.
A proposito dell’unicorno, troviamo nei frammenti di quell’opera giunti fino a noi, queste parole:

“In India ci sono asini selvatici grandi come cavalli e anche di più. Hanno il corpo bianco, la
testa rossa e gli occhi blu. Sulla fronte hanno un corno lungo circa un piede e mezzo. La polvere di
questo corno macinato si prepara in pozione ed è un antidoto contro i veleni mortali. La base del
corno, circa due palmi sopra la fronte, è candida; l’altra estremità è appuntita e di color cremisi;
la parte di mezzo è nera. Coloro che bevono utilizzando questi corni come coppe, non vanno soggetti,
si dice, alle convulsioni o agli attacchi di epilessia. Inoltre sono anche immuni da veleni se,
prima o dopo averli ingeriti, bevono vino, acqua o qualsiasi altra cosa da queste coppe. Gli altri
asini, sia quelli domestici sia quelli selvatici, nonché tutti gli animali con lo zoccolo indiviso,
non hanno né astragalo (pene) né fiele, ma questi hanno già sia l’uno che l’altro. Il loro
astragalo, il più bello che io abbia mai visto, è simile a quello del bue come aspetto generale e
dimensioni, ma è pesante come piombo e completamente color cinabro”.

Il resoconto di Ctesia è stato a più riprese criticato da coloro che ne cercavano un’interpretazione
più razionale, a partire dagli stessi commentatori di storia antica. Si è ipotizzato che il
viaggiatore persiano si fosse fatto condizionare da qualche immagine o dipinto visti in India o che
si fosse confuso con qualche animale ignoto in Occidente, come l’onagro che è una specie di asinone.
Altri hanno avanzato il dubbio che Ctesia avesse visto un rinoceronte o un’antilope, ma a noi questo
poco importa nel breve viaggio a cavallo tra la documentazione e la ricerca simbolica che stiamo
compiendo.
Tre secoli più tardi, nel III sec. a.C., il greco Eliano parlò di “un animale che viveva all’interno
dell’India, che era grande come un cavallo, di pelo rossiccio e che gli indigeni chiamavano
“Kartazonos”. Aveva un corno sulla testa, nero e dotato di anelli; era scontroso e lottava anche con
le femmine della sua specie salvo nel periodo degli amori”.
C’è da dire che Eliano era un naturalista e siccome conosceva bene il rinoceronte è improbabile che
si fosse confuso con tale animale. Ad ogni modo, iniziò più o meno così il mito occidentale
dell’unicorno e, ad un certo tempo, si aprì una frenetica e spietata “caccia all’unicorno” che
interessò tutte le contrade dell’Occidente.

Nel XII secolo un documento apocrifo dal titolo “Lettera del Prete Gianni” annoverava gli unicorni
fra le meraviglie dell’Oriente e fu proprio l’unicorno, o farei meglio a dire il suo mito, che
abbagliò anche Marco Polo il quale non seppe distinguerlo dai rinoceronti. Il grande viaggiatore
veneziano, infatti, avvertiva ingenuamente i suoi lettori che gli unicorni, in realtà, erano delle
brutte bestiacce del tutto differenti dalle idilliache descrizioni degli autori antichi…!

Il Medio Evo fu, comunque, profondamente influenzato dal mito dell’unicorno, a cui si ispirarono
romanzieri e pittori, scultori e musicisti. Divenne a turno simbolo di purezza, di castità, di
coraggio e di virtù. Una sorta di Graal animale, rappresentazione del candore di una mitica ricerca
o, se vogliamo, della magia più pura spesso inclusa nell’universo degli archetipi amorosi.

La mia concezione, che è anche quella di una precisa corrente di pensiero, è che non importa affatto
se animali come l’unicorno fossero esistiti veramente o meno. E questo per svariati motivi; il
principale di essi sta nel valore essenziale, simbolico ed archetipale di tali animali. Nel caso
dell’unicorno, ci troviamo di fronte alla raffigurazione di princìpi che hanno radici nel patrimonio
spirituale più profondo dell’essere umano, quel territorio fatto di sogno ed intriso della nostalgia
di un imprecisato “paradiso perduto” che è la fonte stessa da cui partono tutti i più arditi voli
della nostra ricerca. L’unicorno è il simbolo della mitica terra da cui tutti noi proveniamo. Fuori
dal tempo, fuori dallo spazio, in quello “sconosciuto infinito” che è dentro di noi e che attende
ancora di essere esplorato…

assgraal@katamail.com

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