di : Pietro Francesco Cascino
Gruppo Teosofico “Ars Regia H.P.B.” di Milano
Vice Segretario Generale della Società Teosofica Italiana
Un’antica storia sufi, narra che un tale, in una buia notte senza
luna, perse la chiave di casa proprio davanti al suo portone. Una
tremula lampada fissata in alto sopra la trave che sormonta il portone
disegna un cerchio di luce in terra e l’uomo, chino e in affanno,
cerca senza trovare. Sopraggiunge uno straniero di passaggio che vede
l’uomo così affaccendato e, incuriosito, gli chiede che cosa stia
facendo. “Cerco la chiave della mia casa.” risponde il tipo senza
distogliersi dall’impresa. “Se me lo permetti, vorrei aiutarti”
ribatte benevolo lo straniero e completa: “quattro occhi vedono meglio
di due!”. E così i due si rimettono subito all’opera, ma non ci vuole
davvero molto tempo perché lo straniero si accerti che proprio lì,
nello spazio illuminato dalla lampada, non vi è alcuna traccia di
quella chiave. Come mai il poveretto si ostina a cercare in quel
piccolo fazzoletto di terra illuminata? Non si è accorto che dove
cerca non c’è nulla? La chiave non potrebbe trovarsi altrove?
“Perdonami, amico mio” gli chiede flautato lo straniero che aggiunge
non senza imbarazzo “ma da quanto tempo stai cercando?”. “Da almeno
un’ora.” risponde senza distrarsi il cercatore. “… scusa
l’inchiesta, amico mio, sempre qui?, voglio dire sempre qui sotto la
lampada?” “Sì!” il cercatore non dà cenno di interrompere la sua
ricerca quando l’altro l’incalza con ferma dolcezza “Ma non ti sei
accorto che qui la chiave non c’è?” Solo allora il cercatore si
arresta. L’uomo è in ginocchio i glutei poggiati sui talloni, le mani
sulle cosce, i gomiti larghi a sostenere le spalle stanche. Alza il
capo e il volto si apre in un tenue, grato sorriso rivolto allo
straniero “Certo, amico mio! Non sono mica matto! So benissimo che qui
la chiave non c’è, ma so anche che solo qui c’è la luce!” e continuò a
cercare.
In questo breve racconto vi sono quattro oggetti: la casa, la porta,
la chiave, la lampada; ed un soggetto: l’uomo. L’obiettivo di questi è
rientrare nella propria casa; ma per farlo deve ritrovare la “chiave”
smarrita. Tutto intorno è buio e, quindi, la sua ricerca si concentra
in quello spazio delimitato dalla luce emessa dalla lampada. Tuttavia,
pur consapevole del fatto che in quello spazio non troverà l’oggetto
cercato, il cercatore è confortato dall’esistenza di quella luce che
costituisce, in definitiva, tutto ciò di cui egli ha bisogno. In
quella luce sembra svaniscano e perdano d’importanza la porta, la
casa, la chiave; ma, svanita ogni altra cosa, resta la ricerca.
L’altro personaggio della storia offre al primo il suo aiuto nella
ricerca e, non avendo trovato l’oggetto della ricerca in quello spazio
limitatamente illuminato lo esorta a cercare nella zona d’ombra.
Questo è l’usuale comportamento dell’uomo. Non soddisfatto del
risultato raggiunto lungo il sentiero tracciato dalla luce, si
addentra nelle zone oscure della sua mente, magari abbandonandosi alla
guida di dottrine e filosofie e ritenendo,erroneamente che sia
sufficiente la conoscenza di queste per unirsi al divino. La filosofia
potrà condurlo fino alle porte del regno dell’eterna felicità, ma non
potrà farlo penetrare in esso. Al posto di cercare Dio e di prendere
coscienza della sua unità con Lui, l’uomo è indotto a non considerare
altro che la sua ombra: l’universo fisico. Nella ricerca interiore non
esiste l’universo apparente, non esistono case, non esistono porte e
neppure chiavi per aprirle. Ciò che conta è solo una luce che,
nascosta nel profondo del nostro cuore, inevitabilmente cresce.
Orbene, ogni essere umano è in modo consapevole o inconsapevolmente
inserito in un percorso di ricerca lungo una via, o più vie, che lo
condurranno alla propria dimora interiore, a ricongiungersi con il suo
Sé più profondo, ad unirsi con l’Essenza Assoluta che è l’unico raggio
di luce in un buio infinito, il prodotto di un’unica vibrazione,
l’origine del Tutto. Ma in cosa consiste il sé ? E’ la coscienza pura,
qualcosa di assolutamente distinto dal corpo e dalla mente. In una
delle upanisad è scritto che il sé è ciò che rimane immutabile
attraverso il variare delle esperienze della vita, quale testimone
eterno e silente. E’ una luce che nessuno può estinguere, è il nostro
vero essere che non possiamo percepire a causa della nube d’ignoranza
che ricopre i nostri occhi. Quando le tenebre interiori vengono fugate
dalla luce, c’è nella nostra coscienza il riflesso di quel principio
che è il fondamento della nostra vita e che, nella sua azione costante
unisce le parti sconnesse di essa. Finché la nostra coscienza è
velata, ci creiamo una concezione errata del nostro vero sé.
Identificandoci col nostro corpo perdiamo il senso della nostra natura
reale e realizziamo l’unione con un falso ego piuttosto che con la
nostra essenza divina. Il primo obiettivo della Bhagavad-gita,
considerata una delle Upanisad più importanti della conoscenza vedica,
è insegnarci a ritrovare la nostra identità, liberandoci dal nostro
falso ego, l’ego materiale. Arjuna veste il ruolo dell’essere
condizionato per permettere a Krsna in Persona d’istruirlo a beneficio
delle generazioni future. La Bhagavad-gita è così destinata dal
Signore ai suoi devoti, ai bhakta che costituiscono uno dei tre gruppi
di spiritualisti ( gli altri due sono rappresentati dai jinani,
filosofi impersonalisti, e dagli yogi, adepti della meditazione). Il
Signore dichiara ad Arjuna di voler fare di lui il primo anello di una
nuova catena di maestri spirituali. Arjuna è un bhakta,una persona
devota che si unisce al Signore Krsna attraverso una relazione
d’amicizia; ed è nel momento del conflitto esistenziale, che scoppia
nella sua coscienza, espresso metaforicamente dalla battaglia di
Kuruksetra, che il discepolo incontra il Signore che lo conduce alla
purificazione della coscienza mediante un dialogo introspettivo,
percorrendo la via del distacco dalle vicende legate al mondo della
materialità per conquistare la liberazione (in sanscrito mukti).
Arjuna comprenderà che ogni essere individuale è un frammento del
Signore e la sua esistenza è dominata dalla legge del Karma (azione).
Il quinto capitolo della Bhagavad-gita, intitolato: <
cui viene dato il nome di karma-yoga, che permette al bhakta di
raggiungere la liberazione attraverso la piena consapevolezza della
relazione che lo unisce al Supremo Sri Krsna. L’anima pura, come parte
integrante e frammento di Dio è la sua servitrice eterna; ma quando
desidera dominare maya, la natura materiale illusoria, viene rapita da
questa e cade preda di continue sofferenze. Tuttavia anche nel cuore
della materia si può sviluppare la coscienza spirituale e conquistare
la libertà.
Nella scuola di pensiero induista del Vedānta, il Raja Yoga (dal
sanscrito Raja – re, e Yoga – unione, lett. la Via Regale), detto
anche Ashtanga Yoga, è uno dei quattro sentieri di base per
raggiungere la salvezza (insieme a Bhakti Yoga (Y della devozione),
Jñāna Yoga (Y della conoscenza) e Karma Yoga (Y dell’azione).
Il Raja Yoga è il “percorso regale” che porta all’Unione con Dio
tramite la padronanza di sé ed il controllo della mente. Questo tipo
di Yoga insegna la padronanza dei sensi e delle vritti (fluttuazioni,
onde di pensieri che costituiscono l’attività della mente) e insegna,
inoltre, come sviluppare la concentrazione (Dharana) e comunicare con
Dio. Se l’Hatha Yoga può considerarsi una disciplina fisica, il
Raja-Yoga è una disciplina mentale. La filosofia del Raja Yoga afferma
che la mente ha la potenza di un proiettore; così come i raggi del
sole concentrati attraverso una lente possono bruciare il cotone, i
raggi dispersi della mente, quando vengono riuniti, sviluppano una
grande potenza che permette di avere accesso al tesoro della
conoscenza più profonda e trascendentale.
La Coscienza di Krsna include lo yoga in otto fasi, per il
raggiungimento di tale fine. La Coscienza si può elevare gradualmente
con la pratica di yama, niyama, asana ,pranayama, pratyahara, dharana,
dhyana e samadhi. Ma queste otto tappe non sono che il preludio alla
perfezione suprema, raggiunta con la pratica del servizio di
devozione, il bhakti-yoga, che è in grado, da solo, di dare pace
all’uomo.
Le vie dello Yoga si basano su regole di comportamento, non violenza,
autodisciplina, auto purificazione, igiene fisico, postura e controllo
del corpo, controllo della respirazione, ritrazione dai sensi,
concentrazione, meditazione; ed infine unione. Costituiscono, come si
può osservare, un progressivo percorso di evoluzione della coscienza
che, per coloro che lo intraprendono con impegno e volontà può in
effetti condurre ad unirsi col Tutto; ma per gli uomini comuni può
rappresentare un buon esempio di disciplina per una graduale crescita
interiore. Un sentiero che, se percorso nel rispetto dei limiti
personali, senza aver troppe pretese, può condurre, col tempo, ad
avere risultati apprezzabili.
Vi è una strada chiamata la “via del Cigno Bianco” che riguarda
l’evoluzione della coscienza. Nel cervello umano esistono i ventricoli
laterali che hanno la forma di un cigno in posizione di volo, con le
ali spiegate e la testa che punta all’indietro, come se esso volasse a
ritroso verso il futuro, più veloce della luce. Quando lo yogi,
attraverso la meditazione e il pranayama (controllo della forza
vitale), attiva l’energia Kundalini, questi ventricoli nel cervello si
aprono. I due petali nell’agya chakra (terzo occhio), che
corrispondono alla ghiandola pituitaria, si schiudono e in questo
stadio lo yogi sperimenta la coscienza dell’Hamsa, poiché attraverso
di lui respira il Divino Immanente, il prana universale. Il viaggio
della nostra anima (il “Cigno Bianco”) costituisce il ciclo
d’involuzione della coscienza umana attraverso la mente nella materia
e la sua evoluzione dalla materia alla mente, per conseguire la
realizzazione del Sé. Durante il percorso di andata la coscienza si
intrattiene con la mente, i sensi e il mondo materiale, dimenticando
la sua vera natura. Essa accumula esperienze di vita nel suo stato di
illusione, mentre gusta i desideri del mondo materiale. Dopo aver
vissuto il meglio e il peggio della vita ed assaporato gioie e
tormenti, l’anima sussulta fra le sue attrazioni e repulsioni. E’ in
questo momento che lo spirito interiore dell’ ”Anima Cigno” la
sospinge verso la sua evoluzione. Così l’anima comincia a ritirarsi
dall’involucro più grossolano della materia, per dirigersi verso le
sfere più sottili della mente fino a giungere dinanzi al “Divino
Immanente” che dimora nel nucleo del suo stesso essere. Quindi procede
oltre l’Essere per raggiungere l’illimitata Essenza Divina. Seguendo
le vie dello Yoga ogni essere umano con una pratica seria e costante
ed una mente aperta, è in grado di accedere a questi stati elevati di
coscienza.
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