L’utilità del “non coinvolgimento”

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L’utilità del “non coinvolgimento”

(di Amadio Bianchi)

Quando propongo ai miei interlocutori di esercitare il distacco, cioè di
mantenere con la realtà quotidiana un rapporto distaccato, essi, in
generale, mostrano perplessità

Se poi arriviamo a un chiarimento, rispetto al loro atteggiamento, scopro un
certo timore fondato sulla paura di perdere il sapore della vita o sul
timore di diventare egoisti più di quanto già sono. L’uomo moderno,
continuamente impegnato nella ricerca di soddisfazione, pratica abitualmente
l’emozione, addirittura come forma di nutrimento, e la ricerca in continuità
nel diverso, senza rendersi conto che tale strada non ha fine. La via
dell’emozione,
se mal gestita, non porta alla quiete necessaria per il libero fruire di
esperienze legate alla vita interiore.

Il successo di alcuni strumenti moderni, è da attribuire all’attaccamento
sconsiderato dell’uomo verso l’emozione : si pensi, ad esempio, all’uso che
normalmente si fa della televisione. Essa sarebbe un mezzo ed un invenzione
di tutto rispetto se fosse utilizzata in maniera più equilibrata, tuttavia,
in generale, riesce dannosa. Mi auguro che abbiate notato con quale velocità
vengono proposte le immagini pubblicitarie. Esse cambiano ogni quattro,
cinque secondi. Vi siete mai chiesti il perché? Una risposta la otteniamo
attraverso l’esame di due parametri : nel primo prendiamo in considerazione
il rapporto costo-tempo, e nel secondo, il tempo necessario al cervello per
una lettura appena sufficiente.

A proposito di questo secondo criterio, ho raccolto informazioni fra i
tecnici del settore ed ho concluso che nel moderno modo di fare televisione,
un’immagine che duri più di cinque secondi, viene giudicata lunga e
noiosa.Vi rendete conto dove stiamo andando e a che velocità dobbiamo
continuamente nutrire il nostro mentale ? Personalmente ritengo che ciò sia,
insieme all’insicurezza per la sopravvivenza, una delle maggiori cause della
sofferenza da ansia di cui oggi l’uomo tanto soffre e mi sento di affermare
che, molto presto, potremmo assistere al dilagare di problemi legati alle
allucinazioni.

L’attaccamento all’emozione e al mentale evidenzia quanto l’uomo di oggi
viva nei sensi e nell’esteriorità e quanto poco invece, si dedichi alla
conoscenza di se stesso e della sua vita interiore. Ciò potrebbe anche non
costituire un problema se non fossero sempre più evidenti i segni di un
generale malessere. Questo mio scritto vuole offrire uno spunto per il
recupero di un atteggiamento più salutare nei confronti dei fatti della vita
attraverso un adeguato sviluppo della qualità del distacco.

In altre parole, il mio suggerimento vuole esortarvi a percorrere una strada
sulla quale ci si arricchisce di doti e qualità di comportamento più utili e
oggettive e lungo la quale si impara a stare nelle esperienze con tutte le
facoltà aquisite senza coinvolgimento. Per far meglio comprendere i vantaggi
che tale strada offre, abitualmente, racconto ai miei allievi una sgradevole
storiella che propongo anche a voi sperando che essa vi porti ad un
confronto riflessivo : -alcuni anni orsono, in una zona periferica di
Milano, una strada, da poco ultimata, risultava essere molto veloce e
pericolosa per mancanza di semafori. Essa, in alcuni punti era stata dotata
di strisce pedonali ma, ciò nonostante, i pedoni si trovavano spesso in
serie difficoltà nell’attraversarla, in quanto riusciva loro difficile
calcolare un sicuro attraversamento.

Accadde che un giorno, un’automobile, investì in pieno un bambino,
travolgendolo e schiacciandolo sotto le ruote. Tre uomini assistettero
all’incidente
e reagirono in maniera diversa : Il primo, fuggì spaventato…il secondo
svenne…ed il terzo tentò di intervenire sia per prestare soccorso al
bambino, sia all’autista in preda a choc.

La vita, in quell’occasione, procurò ad un terapeuta una grande esperienza :
fece confluire tutti e tre i soggetti, anche se con tempi diversi, nel
centro dove egli insegnava e praticava lo yoga. Essi si recarono da lui per
avere assistenza nel tentativo di superare il trauma che l’incidente aveva
loro inferto.

Con il primo soggetto, quello che era fuggito, il terapeuta dovette
impegnarsi in un serio lavoro di tre anni poiché, insieme al trauma in se,
soffriva di forte senso di colpa che fu assai duro da sciogliere.

Il secondo lo impegnò per due anni : l’istintiva identificazione
nell’incidente
(era padre di un bambino all’incirca della stessa età) lo aveva segnato
profondamente. Quello svenimento, messo in atto dalla natura per
salvaguardarlo, lo aveva protetto da un trauma forse irreversibile ma allo
stesso tempo, l’impressione rimasta nel suo subconscio, assumeva le
caratteristiche di un problema irrisolto.

Il personaggio che meno impegnò il terapeuta fu il terzo : pochi mesi
bastarono per liberarlo dalle residue impressioni che a tratti lo turbavano.
Egli risultò dotato di istintiva capacità di non coinvolgimento.

Tale capacità gli aveva permesso di rimanere nel reale oggettivo: nonostante
anch’egli avesse dei figli, non si era identificato nell’accaduto.- La
storiella, in genere la concludo facendo notare come questo episodio
dimostri che quando si è distaccati si è più utili sia a se stessi, sia agli
altri : non solo il trauma di questo signore risultò più lieve ma egli fu
l’unico
in grado di intervenire, portare soccorso ed aiutare gli altri.

Questa, dunque, è la via da seguire. D’altronde, vi immaginate se un
dentista si identificasse con il dolore del suo paziente ? Sicuramente egli
non sarebbe in grado di operare correttamente scegliendo il bene. In
conclusione, insisto a dire che coltivare il non coinvolgimento non
significa perdere la sensibilità ma se mai raffinarla e metterla al servizio
di una visione più oggettiva e di conseguenza reale.

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