Materiale o Spirituale: La scelta è nostra

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Materiale o Spirituale: La scelta è nostra

Le persone tendono ad ignorare le conseguenze logiche dell’aver fede nel materialismo

Né il DNA, né nessun’altra causa materiale ha spiegato finora la nostra esperienza della coscienza.
Mentre aspettiamo che la scienza ci dia una risposta, la morte ci attende e nel frattempo la
Bhagavad-gita ci attrae con una spiegazione verificabile.

di Hari Parayana Dasa

Il Ramayana narra di come Sri Rama fu esiliato nella foresta per desiderio della sua matrigna,
Kaikeyi. Bharata, il fratello minore di Sri Rama, era lontano al momento dell’esilio. Al suo ritorno
ad Ayodhya, Bharata rimase sconvolto alla notizia che il suo amato fratello era stato esiliato e che
il trono era disponibile per lui. Invece d’impossessarsi del trono e godere dei previlegi regali,
Bharata partì immediatamente da Ayodhya per andare in cerca di Sri Rama. Alla fine Lo trovò e Lo
pregò di tornare. Quando Sri Rama rifiutò, Bharata riportò sulla sua testa i sandali di Sri Rama ad
Ayodhya, li depose sul trono e governò il regno come servitore di Sri Rama. Che meravigliosa
dimostrazione di una verità che possiamo illustrare a tutti: le relazioni con i nostri cari sono più
preziose di qualsiasi piacere materiale. Perché le relazioni ci soddisfano più di quanto possano
farlo i più grandi piaceri materiali?

Nella visione scientifica del mondo una risposta è che le relazioni sono un aspetto in evoluzione
degli organismi viventi. Ogni simile ama il suo simile per preservare, proteggere e propagare la
propria specie. Perciò la felicità che deriva dalle relazioni è fondamentalmente un insieme di
segnali chimici nel cervello presenti perché le nostre molecole sono programmate per agire in un
certo modo. Al contrario la tradizione vedica ci insegna che sperimentare la felicità è un processo
non materiale dell’anima; il corpo è solo una macchina e quindi incapace di provare emozioni. Noi
traiamo felicità dalle relazioni perché, in quanto anime, siamo “intrinsecamente” programmati per
amare gli altri. Questa è la nostra qualità essenziale.

Mentre nella visione evolutiva l’amore è sintomo di un desiderio egoico di sopravvivere e propagare
la propria specie, la tradizione vedica spiega che un sintomo chiave dell’amore è il desiderio di
servire gli altri in modo altruistico. La visione scientifica e quella spirituale di un’emozione
(amore), cioè un aspetto signicafitivo dell’esperienza umana, sono diametricalmente opposte. In una
visione, l’amore è un’emozione materiale che ha origine nelle molecole del cervello; nell’altra,
l’amore è l’essenza non materiale di un’entità non materiale: l’anima. Qual è la versione giusta?
Non è possibile risolvere questo problema con il metodo scientifico (empirico). Questo perché il
metodo scientifico richiede la misurazione empirica dell’anima, che viene descritta come invisibile
e inconcepibile (Bhagavad-gita 2.25). È possibile realizzare direttamente l’anima (Gita 9.2) se si
ha fede nel metodo del bhakti-yoga, il servizio devozionale (Gita 9.3).

Questa realizzazione richiede necessariamente pratica (sadhana) e fede (sraddha) e soltanto il
praticante (sadhaka) sincero può gradualmente percepire la verità. Questa percezione è
necessariamente un’esperienza soggettiva. Al contrario ci sentiamo orgogliosi dei progressi
scientifici raggiunti nella comprensione della composizione molecolare della vita, ma non abbiamo
una spiegazione soddisfacente del perché, come macchine, siamo coscienti e capaci di scegliere di
credere di essere macchine. Il problema è che l’attesa di una spiegazione empirica della nostra
esperienza cosciente è un lusso che non possiamo permetterci. Il tempo a disposizione in questo
corpo si sta esaurendo velocemente e ci sono ragioni per pensare che questa spiegazione non possa
essere mai raggiunta.

Molecole o Anime

Quindi mentre affrontiamo i problemi più importanti della nostra vita quotidiana, a meno di essere
illuminati spiritualisti, veniamo messi di fronte a una scelta cosciente: scegliere di vederci solo
come macchine fatte di atomi e molecole, o scegliere di essere qualcosa di più, di essere spirituali
(non materiali). La scelta di accettare di essere solo materiali ha dei vantaggi percepibili. In
questo tipo di visione non siamo responsabili davanti ad alcuna legge trascendentale o ad alcun
legislatore per le nostre azioni, perciò dare il massimo valore alla nostra ricerca della felicità
materiale può diventare lo scopo primario della nostra vita. Ma in realtà quante persone che
accettano di essere solo atomi e molecole vivono secondo questo principio?

Possono continuamente ricordare a se stessi che le loro relazioni sono inutili, i loro ricordi più
cari sono solo segnali nel cervello e la loro vita non ha scopo? Non è possibile che funzioni in
questo modo. Il materialista potrebbe obiettare che vivere con queste contraddizioni è un aspetto
evolutivo: l’evoluzione ha naturalmente dotato gli esseri umani con l’abilità d’ignorare i più
elevati problemi dell’esistenza e di concentrarsi sulla sopravvivenza e la crescita numerica. A una
persona intelligente invece, il cui tempo non è completamente assorbito dagli affari materiali, una
simile contraddizione deve necessariamente causare disagio e suscitare un’infinità di domande. Sono
davvero solo materia? Le mie relazioni sono veramente inutili? Davvero non esisto?

Qualsiasi struttura coerente per interpretare la nostra esperienza quotidiana e per guidarci nel
mondo richiede necessariamente delle risposte a queste domande, ma l’attuale visione scientifica non
dà alcuna risposta utile. Questi problemi occupano settori marginali della ricerca scientifica, come
la ricerca altamente speculativa sulla coscienza, e anche quella sulla reincarnazione e sulle
esperienze premortem effettuate alla University of Virginia. Esse occupano invece un posto centrale
nel corpo della conoscenza vedica, che merita la nostra attenzione perché contiene risposte utili,
logiche e non settarie.

I Tre Postulati della Gita

Come esempio, consideriamo le risposte alle domande sopraccitate che si trovano nella Bhagavad-gita.
La Gita potrebbe essere vista come una teoria logica (molto simile a una teoria scientifica) con tre
postulati. Il primo: la Gita spiega che ciascuno di noi è un essere eterno diverso dal corpo. Il
verso 2.13 della Bhagavad-gita, per esempio, afferma la distinzione con parole come deha (corpo) e
dehi (il proprietario del corpo) e il 13.3 fa riferimento a ksetra (il campo del corpo) e aksetrajna
(il conoscitore o proprietario del campo). Il secondo: siamo parti della Persona Suprema, Krishna
(15.7). Il terzo: ognuno di noi è molto caro a Krishna nella propria particolare relazione con Lui,
come Arjuna che Gli è molto caro come amico (18.65).

Tutta la filosofia della Bhagavad-gita può essere considerata una conseguenza logica di questi tre
postulati. Significativamente, la Bhagavad-gita dà risposte chiare alle scoraggianti domande fatte
sopra, che per tanto tempo hanno afflitto scienziati e filosofi. Per esempio, poiché non siamo
materiali, non traiamo molta gioia dagli oggetti materiali di questo mondo (5.22). La prospettiva
della morte, della vecchiaia e della malattia (13.9) è terrificante perché siamo eterni e queste
sono estranee alla nostra vera identità. Abbiamo la propensione ad agire in modo indipendente e a
godere (13.22) perché Krishna è la persona supremamente indipendente e supremamente felice (13.33)
che gode con i Suoi devoti.

Abbiamo un desiderio naturale di amare gli altri e di trarre felicità dalle relazioni perché anche
gli altri sono parti della persona originale, Krishna (6.29). Cerchiamo il nostro perduto amore in
questo mondo, ma i corpi materiali temporanei in cui abitiamo ci costringono ad affrontare la
prospettiva di relazioni interrotte a causa della morte (1.31) o, peggio, per l’influenza del tempo.
Le risposte della Bhagavad-gita come possono esserci utili nella nostra vita quotidiana? Se iniziamo
ad effettuare l’esperimento del bhakti-yoga, possiamo scoprire il potere di questo metodo. Veniamo
subito liberati dalla tirannia dei nostri sensi più bassi, che ci tormenta, e diventiamo sereni.

La filosofia profonda della Gita ci aiuta gradualmente a percepire la verità sulla natura temporanea
del mondo materiale e ci dimostra come non siamo adatti ad esso. Se eseguiamo l’esperimento sotto la
guida di devoti che con lo studio della filosofia e con la pratica hanno esplorato le profondità
dell’oceano del bhakti-yoga, evitiamo gli errori comuni che possono causare il fallimento
dell’esperimento. E se perseveriamo con l’esperimento, possiamo realizzare Krishna. Quale scopo
migliore per la nostra esistenza temporanea in questo mondo? Purtroppo oggi la parola spirituale fa
alzare le antenne a molti intellettuali, specialmente agli scienziati (sebbene non fosse così nel
passato; per esempio, viene in mente Isaac Newton.

La scienza si occupa solo della realtà, questo è il ritornello, ma non bisogna confinare la realtà a
quello che possiamo percepire con i sensi, né la realtà deve essere prigioniera della nostra
capacità di ragionare in modo logico. In ogni caso, se abbiamo dei dubbi sulla nostra vera
esistenza, qual è il significato della parola realtà? Perché siamo così sprezzanti nei riguardi
delle domande fondamentali sul nostro vero sé? Le risposte perfettamente logiche che ci offre la
letteratura vedica possono essere potenzialmente corrette? Perché non valutarne la possibilità? Se
no, quale danno ci può fare la nostra ricerca se l’alternativa è che non esistiamo affatto? È meglio
che vivere nell’ansia sprecata in attività materiali che ci degradano.

Hari Parayana Dasa è discepolo di Sua Santità Radha Govinda Swami. Vive a Gainesville, in Florida,
con sua moglie, Deva Sarita Devi Dasi e i loro due figli.

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