PADRE SERAFINO (6)
MEDITARE COME ABRAMO
Fin qui l’insegnamento dello staretz era di ordine naturale
e terapeutico. Gli antichi monaci, secondo la testimonianza
di Filone Alessandrino, erano, in effetti, dei “terapeuti”.
Il loro ruolo, prima di condurre all’illuminazione, era di
guarire la natura, di metterla nelle migliori condizioni
per poter ricevere la grazia, poiche’ la grazia non
contraddice la natura, ma la reintegra e la completa. E’
cio’ che faceva il vecchio monaco con il giovane filosofo
insegnandogli un metodo di meditazione che certi avrebbero
potuto considerare come “puramente naturale”: la montagna,
il papavero, l’oceano, l’uccello. Altrettanti elementi
della natura che ricordano all’uomo che, primadi andare
lontano, deve cogliere i diversi livelli dell’essere, o,
meglio, i diversi regni di cui e’ composto il macrocosmo.
Il regno minerale, il regno vegetale, il regno animale…
L’uomo ha perso il contatto con il cosmo, con la roccia,
con gli animali e questo non senza provocare in lui ogni
sorta di malesseri: malattie, insicurezza, ansieta’. Egli
si sente “di troppo”, estraneo al mondo.
Meditare e’, innanzi tutto, entrare nella meditazione e
nella lode dell’universo, perche’, dicevano i padri, “tutte
queste cose sanno pregare prima di noi”. L’uomo e’ il luogo
dove la preghiera del mondo prende coscienza di se stessa.
L’uomo esiste per dare un nome a cio’ che le creature
lodano balbettando…
Con la meditazione di Abramo noi entriamo in una nuova e
piu’ alta coscienza che si chiama fede, ossia l’adesione
dell’intelligenza e del cuore a quel “Tu” che E’, che
traspare nella molteplice intimita’ di tutti gli esseri.
Tali sono l’esperienza e la meditazione di Abramo: dietro
il fremito delle stelle, c’e’ qualcosa di piu’ che le
stelle, una Presenza difficile da nominare, che nessuno
puo’ chiamare per nome e che, tuttavia, ha tutti i nomi…
E’ qualcosa di piu’ dell’universo e che, tuttavia, non puo’
essere compreso se non nell’universo. La differenza fra Dio
e la natura e’ la differenza che c’e’ fra l’azzurro del
cielo e l’azzurro di uno sguardo… Al di la’ di tutti gli
azzurri, Abramo era alla ricerca di quello sguardo… Dopo
avere appreso la postura tranquilla e immobile,
l’abbarbicamento, il positivo orientamento verso la luce,
il respiro degli oceani, il canto interiore, il giovane era
in tal modo invitato ad un risveglio del cuore. “Ecco,
tutt’a un tratto sei qualcuno”. E’ proprio del cuore,
effettivamente, personalizzare ogni cosa e, in questo caso,
personalizzare l’Assoluto, l’Origine di tutto cio’ che vive
e respira, darle un nome, chiamarla “Mio Dio, mio creatore”
e camminare alla sua presenza.
Per Abramo, meditare e’ mantenere il contatto con questa
Presenza sotto le apparenze piu’ svariate. Questa forma di
meditazione entra nei dettagli concreti della vita di ogni
giorno. L’episodio della quercia di Mamre ci mostra Abramo
“seduto all’entrata della tenda, nell’ora piu’ calda del
giorno”, e la’ accoglie tre stranieri che si rivelano
essere inviati di Dio. Meditare come Abramo — diceva padre
Serafino — e’ praticare l’ospitalita’; il bicchiere d’acqua
che dai a colui che ha sete non ti allontana dal silenzio,
ti avvicina alla sorgente”. “Meditare come Abramo non
soltanto sveglia in te la pace e la luce, ma anche l’Amore
per tutti gli uomini”.
E padre Serafino gli lesse quel famoso passo del libro
della Genesi dove si parla dell’intercessione di Abramo.
Abramo stava davanti a YHWH, “colui che e’ – che era – che
sara’”. Gli si avvicino’ e disse: “Davvero sterminerai il
giusto con l’empio? Forse ci sono cinquanta giusti nella
citta’: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel
luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si
trovano?…”. A poco a poco Abramo dovette ridurre il
numero dei giusti perche’ Sodoma non venisse distrutta.
“Non si adiri il mio Signore se parlo ancora una volta
sola; forse la’ se ne troveranno dieci…” (Gen 18, 23).
Meditare come Abramo vuol dire intercedere per la vita
degli uomini, non ignorare nulla della loro putredine e
tuttavia “mai disperare della misericordia di Dio”. Questa
meditazione libera il cuore da ogni giudizio e da ogni
condanna, sempre e dovunque; pur di fronte a infiniti
orrori, egli chiede sempre perdono e benedizione. Meditare
come Abramo conduce ancora piu’ lontano. Le parole facevano
fatica a uscire dalla gola del padre Serafino, come se
questi avesse voluto risparmiare al giovane un’esperienza
attraverso la quale lui stesso era stato costretto a
passare e che ridestava nella sua memoria un sottile
tremore: “Ci puo’ condurre fino al sacrificio…” e gli
cito’ il passo della Genesi in cui Abramo si mostra pronto
a sacrificare il proprio figlio Isacco.” “Tutto appartiene
a Dio — continuo’ in un mormorio padre Serafino.
“Tutto e’ suo, viene da lui ed e’ per lui”; meditare come
Abramo ti conduce alla totale spoliazione di te stesso e di
cio’ che hai di piu’ caro… qualcosa a cui tieni
particolarmente, con cui identifichi il tuo “io”… Per
Abramo si trattava del suo unico figlio; se tu sei capace
di questo dono, di questo totale abbandono, di questa
infinita fiducia in Colui che trascende ogni ragione e ogni
buon senso, tutto ti sara’ reso al centuplo: “Dio
provvedera’”.
Meditare come Abramo e’ avere nel cuore e nella coscienza
“nient’altro che Lui”. Quando sali’ in cima alla montagna,
Abramo pensava solo a suo figlio. Quando ridiscese non
pensava che a Dio. “Passare per la vetta del sacrificio e’
scoprire che niente appartiene all'”io”… Tutto appartiene
a Dio. E’ la morte dell’ego e la scoperta del “Se'”.
Meditare come Abramo e’ aderire con la fede a Colui che
trascende l’universo, e’ praticare l’ospitalita’, e’
intercedere per la salvezza di tutti gli uomini. E’
dimenticare se stessi, e’ spezzare i legami, anche i piu’
legittimi, per scoprire se stessi, il nostro prossimo e
tutto l’universo abitato dalla presenza infinita di “Colui
che, solo, E'””.
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