di Swami Ashokananda
Estratto dal libro: Meditazione, Estasi e Illuminazione, Advaita Ashrama,
Calcutta. Swami Ashokananda (1893-1969) fu discepolo di Swami Shivananda,
secondo Presidente dell’Ordine di Ramakrishna. Fu, dal 1932 sino alla sua
morte, lo Swami responsabile della Vedanta Società of Northen California, a
San Francisco (fondata da Swami Vivekananda nel 1900)
Una nuova via per la nuova era
Estratto dal libro: Meditazione, Estasi e Illuminazione, Advaita Ashrama,
Calcutta. Swami Ashokananda (1893-1969) fu discepolo di Swami Shivananda,
secondo Presidente dell’Ordine di Ramakrishna. Fu, dal 1932 sino alla sua
morte, lo Swami responsabile della Vedanta Società of Northen California, a
San Francisco (fondata da Swami Vivekananda nel 1900)
– 1 –
Esistono certe pratiche spirituali universalmente riconosciute come tali.
La meditazione, la preghiera, il culto rituale, il canto delle lodi a Dio –
sono tutte attivita’ che ogni religione ha raccomandato, sotto una forma o
l’altra, per ottenere la spiritualita’; per l’ effettiva realizzazione, per
l’esperienza diretta di Dio medesimo.
Naturalmente non sono numerosi gli aspiranti spirituali capaci di impegnarsi
in queste pratiche durante gran parte della loro giornata; e’ concesso solo
a pochi tra di essi di meditare a lungo ogni giorno, oppure di trascorrere
molto tempo in pratiche religiose esterne, come il culto rituale.
Per quanto pensate che un individuo possa cantare degli inni devozionali?
Anche se una persona e’ incline a cantare per l’intera giornata, i suoi
vicini glielo proibiranno. Il fatto e’ che nessun seguace medio puo’
affrontare una pratica spirituale per delle ore di seguito. A riguardo della
meditazione propriamente detta, ossia del posizionarsi in un certo assetto
stabile, escludendosi dal mondo esteriore affinche’ non invada i sensi e la
mente per concentrarsi sul Signore, ben sappiamo che cio’ risulta
impossibile senza la fissita’ dello spirito. Di conseguenza, non e’ facile
pervenirvi. Malgrado ci abbiano insegnato durante l’infanzia a fare
attenzione ad ogni azione che eseguiamo – un attenzione che ricompensa, e
che altro non e’ se non un atto di concentrazione, questo non e’ stato ben
appreso da noi.
Ci accorgiamo che la nostra mente sfugge di continuo dalla cosa, o dalle
cose sulle quali vogliamo mantenerla. E quando gli oggetti che debbono
occupare la mente sono di natura delicata e sottile – come le verita’, o le
realta’ spirituali – una tale concentrazione diviene estremamente difficile.
Tuttavia, se manchiamo di concentrazione, anche se assisi nella postura
meditativa, con gli occhi chiusi, in un luogo tranquillo, senza dare
apparentemente alcuna attenzione al mondo esterno, la nostra mente saltera’
con velocita’ in numerose e differenti direzioni.
Ammetto pure che questo tentativo di meditare puo’ recare qualche profitto,
ma esso non ci portera’ lontano. Gli anni si avvicenderanno ed alla fine
scopriremo che non ci siamo avvicinati a Dio in alcuna maniera. Ho
conosciuto individui simili. Ho ammirazione per loro. Anche essere capaci di
sedersi in tranquillita’ senza badare alle cose esterne e’ una bella
pratica. Noi, comunque, vogliamo raggiungere qualche successo nei nostri
tentativi spirituali; quindi, non ci dovrebbe accontentare il compito
formale di restare seduti calmamente per delle ore. Giungo addirittura a
pensare che una simile abitudine alla lunga possa divenire nociva, essere un
impedimento allo sviluppo spirituale. Questa non è meditazione.
Come ho gia’ detto, la meditazione e’ impossibile senza concentrazione. Se
affermate di poter raggiungere la concentrazione attraverso un determinato
sforzo della volonta’ debbo avvisarvi che se una tale decisione puo’
mostrarsi feconda per un certo periodo, scoprirete, prima o poi, che i
vostri nervi soffriranno di una tensione esagerata nello spingere il mentale
alla concentrazione, e di conseguenza non riuscirete, poi, a compiere alcuna
attivita’ concentrativa senza contrarre qualche malessere fisico
Questa pratica dovra’ essere, di conseguenza, misurata con grande cura.
Quanto tempo dovreste meditare? Personalmente, siamo impreparati a dare
indicazioni in merito. Prima di aver raggiunto la rigenerazione interiore
noi siamo persone avide fisicamente, mentalmente e spiritualmente. In altri
termini, si cela una grande impazienza dietro le nostre attività. Vogliamo
terminare presto ogni cosa che intraprendiamo. Beninteso, non pensiamo di
essere impazienti; solo e semplicemente di essere troppo ardenti.
Bene, quando le persone mostrano tale ardore in mia presenza io domando
loro, a volte, cosa faranno dopo aver realizzato Iddio. Avranno qualche cosa
d’altro da compiere? Dopo aver realizzato Iddio, tutto cio’ che farete sara’
di pensare a Lui, d’eternita’ in eternita’. Non ci restera’ null’altro da
compiere.
Ed allora, perche’ quest’impazienza? Non ve n’e’ alcuna necessita’.
Realizzo che esiste una scappatoia a questo argomento. Potreste affermare:
” Quindi, voi ci suggerite di divenire pigri e di non iniziare uno sforzo
determinato?”
No, non dico questo. Semplicemente so che se riuscirete a fare vostro il
punto di vista che, d’ora in avanti, tutto cio’ che vi resta da concludere
e’ consacrarvi a Dio, che non vi rimarranno altre azioni da esaurire nel
futuro, allora nascera’ in voi una certa serenita’ dello spirito.
Sri Ramakrishna aveva l’abitudine di narrare che un corvo, una volta, si era
posato sull’albero di una nave di lungo corso. La nave lascio’ il porto e si
allontano’ nel mare. Appena il corvo si avvide che il sole stava per
tramontare realizzo’ che era giunto il momento di cercarsi un comodo
trespolo, e prese il volo. Però, in quel momento la nave era talmente
lontana dalla riva che esso non pote’ scorgere alcun lembo di terra.
Ritorno’ sull’albero. Stette a riposarsi per un po’ e riparti’ verso
un’altra direzione: di nuovo, alcuna traccia di terra. E cosi’, dopo aver
tentato ogni direzione senza vedere terra, ritorno’ e si poso’
tranquillamente sull’albero.
La mente raggiunge queste condizioni. Poco a poco realizziamo che non v’e’
altro da scoprire nell’intero universo se non Dio; ed allora l’impazienza
scompare. A meno che un frammento di questa realizzazione non nasca nel
nostro spirito, immagino che non saremo inclini ad accettare il consiglio
che ho dato: cioe’, di essere pazienti.
Ma, se la realizzazione non nasce in noi spontaneamente, possiamo, allora,
richiamarla pensando, ragionando. Allora, lo spirito raggiunge la calma, e
noi la nostra misura; sapremo quanta meditazione e concentrazione potremo
fare ogni giorno, o in quali momenti. Ma, prima di aver raggiunto da soli
questo senso interiore e’ necessario che si accettino i consigli di coloro
che possono donarcelo. Pero’, ricordate quanto sto per dirvi: io parlo della
pazienza riferendomi a coloro che intendono seguire una pratica spirituale,
non a chi non abbia interesse a praticarla. Questi consigli non riguardano
questi ultimi, e io raccomanderei loro di non tenere in alcun conto quanto
dico in proposito. Per chi non vuole seguire la spiritualita’, tutto sembra
cospirare contro tale pratica, e sarebbe auspicabile un piccolo sforzo
determinato da parte sua, in proposito.
– 2 –
Come dicevo, la maggior parte delle religioni sostiene che la meditazione,
la preghiera, il culto, i canti devozionali ed altre attivita’ simili sono
delle valide pratiche spirituali. Ciononostante, sono apparsi anche degli
istruttori religiosi che hanno aggiunto altre pratiche a quelle generalmente
conosciute. Penso, in proposito ed in particolar modo, a Sri Krishna ed a
Swami Vivekananda, i quale insegnarono, ambedue, che il karma yoga risulta
egualmente valido.
Tutti pensano – lo so – che il karma yoga, la via dell’azione, non e’ in
realta’ un’attivita’ spirituale di gran classe. Se consiglio a qualcuno di
praticare il karma yoga, costui rimuginerà:” Swami non suppone che io possa
meditare, ed ecco perche’ mi chiede di fare questo. Ma io sapro’
dimostrargli il contrario!” .
E me lo dimostra, eccome se me lo dimostra! Ma non tuttavia nel modo che
immaginava potesse essere fatto.
Vedete, nessuno pensa che il karma yoga e’ veramente una pratica
spirituale.Anche il nostro grande Shankara, nel suo commentario sulla
Bhagavad Gita, che incorpora gli insegnamenti di Sri Krishna e che
rappresenta il primo grande scritto sul karma yoga, afferma che la pratica
del karma yoga riesce soltanto a purificare il mentale e che solo in
seguito, quando il mentale e’ purificato, iniziano altri momenti spirituali.
Le pratiche essenziali sono, secondo lui, upasana, o adorazione mentale;
contemplazione e meditazione. Cioe’, solo attraverso inana – nata dalla
contemplazione – un uomo riesce a realizzare Dio. E’ la sua interpretazione.
E anche coloro che non hanno assunto un tale punto di vista estremo a
riguardo della pratica spirituale come Shankara, e ne’ hanno intepretato la
Gita come fa lui, sentono che il karma, o l’azione, non rappresenta in se’
una via di realizzazione spirituale.
Ad esempio, Ramanuja, al contrario di Shankara, afferma che la via della
realizzazione di Dio e’ una miscela di Karma e di Jnana. Dice che si tratta
di jnana-karma-samuccaya:” la coordinazione della conoscenza e dell’azione”.
Qui, tuttavia, Ramanuja intepreta l’azione nello stretto senso di compiere
le pratiche rituali, come il culto esteriore e, prima di cio’, di fare il
proprio dovere secondo i codici enunciati dai grandi saggi.
Non intendeva riferirsi a tutte le azioni come tali.
Esisteva questa restrizione nel suo concetto di karma. In effetti,
constaterete che anche quando gli istruttori non vogliono esprimere i loro
punti di vista in forma estremamente filosofica, diranno quasi tutti:” Si’,
compite qualche azione: fate delle buone azioni, adorate il Signore, andate
in pellegrinaggio, servite i santi esseri. eseguite qualche nobile
attivita’, e cosi’ di seguito. Il vostro mentale sara’ purificato, la
devozione crescera’ nel vostro cuore e, in definitiva, imparerete con cio’ a
meditare e, attraverso la meditazione, diverrete capaci di realizzare Dio.”
Ma supponete che non vi interessi ne’ Dio, ne’ meditare su di Lui. Non
esistono altre possibilita’ per voi di raggiungere la verita’?
Se noi leggiamo la Gita, senza farci influenzare dall’intepretazione dei
commentatori, scopriremo che viene chiaramente affermato che e’ attraverso
il compimento della sola azione che si diviene capaci di realizzare la
vetta. Sri Krishna dice: ” Janaka ed altri pervennero alla verita’
attraverso l’azione pura; e’ tramite essa che Mi raggiunsero (B.G. 3/20).”
Chiaramente, gli interpreti non colsero di primo acchito questo
significato; dettero una leggera pressione qui, un’altra là, fino a farvi
scoprire che ora non esiste piu’ quanto venne insegnato nella Gita.
Debbo dire che, dopo Sri Krishna, l’altro grande istruttore spirituale che
segui’ questa via fu Swami Vivekananda. Il suo libro – karma Yoga – e’ ben
noto. Non cercate in esso una grazia letteraria, o una buona presentazione
della materia, come se fosse stato scritto a scopo letterario. Se aveste
direttamente ascoltato dei grandi istruttori, quali Cristo e Budda, avreste,
con probabilita’, colto un considerevole numero di errori grammaticali, ed
altro, nelle loro parole.
Ma, i discepoli divengono estremamente sensibili verso la minima
imperfezione dei loro istruttori; di conseguenza, cominciano a limarne la
persona e le parole, e quando questi concetti vi pervengono voi leggerete,
allora, delle graziose piccole frasi scorrevoli. I discepoli hanno pagato il
loro debito all’istruttore. Ma se aveste l’occasione di capitare sulle
parole originali di un grande istruttore, di sicuro non troverete mai tutte
queste cose: una buona grammatica, una buona presentazione, e così via.
Sforzatevi di capire cio’ che essi vi dicono; si tratta veramente di parole
ispirate nel senso più letterale. Ed il Karma Yoga di Vivekananda e’ un
libro del genere. Non dubito minimamente che, con il trascorrere del tempo,
divenga sempre piu’ un vangelo dell’umanità. L’autore e’ giunto cosi’
lontano con questo testo da fare dire che non vi e’ la necessita’ di avere
alcuna fede in Dio per realizzare il sommo; e, per illustrare il suo ideale
di karma yoghi, egli scelse il Signore Budda: Budda, che non credeva in Dio
e in alcuna cosa.
In altre parole, Swami Vivekananda fece risaltare che la pratica del Karma
Yoga non richiede alcuna sorta di ottiche religiose, ne’ alcuna consuetudine
di vita speciale, o di azione. Il fatto e’ che un puro karma yoghi puo’ non
venire assolutamente riconosciuto come uno yoghi. Potrebbe essere visto come
una tra milioni di altre persone, senza che si noti la minima differenza tra
lui ed esse.
Talvolta, tuttavia, riuscirete a riconoscerla, questa differenza; egli non
vive per se’ stesso, vive per gli altri; vive in modo non egoista. Ma,
spesso, non noterete neppure cio’, poiche’ i karma yoghi esistono nel quadro
dei loro doveri normali; i doveri della famiglia, ad esempio.
Abbiamo letto di uno di questi yoghi nella storia del macellaio di Swami
Vivekananda, che originariamente appare sul Mahabharata, alla sezione
intitolata Vyadha Gita: ossia: ” Il Canto del Macellaio”.
Non che il beccaio cantasse…Semplicemente, dava un insegnamento.
Vi ricorderete della narrazione: un giovane bramino aveva lasciato la
propria casa per vivere nei boschi, e divenne un grande asceta. Egli
acquisi’ dei poteri miracolosi grazie ai suoi austeri esercizi, ed un
mattino fisso’ con aria contrariata un corvo; con questo solo sguardo lo
ridusse in cenere. Senti’, di conseguenza, di aver raggiunto i propri scopi
e se ne ritorno’ nel mondo. La sera medesima si affaccio’ alla porta di
un’abitazione, aspettandosi di venire bene accolto, di essere invitato a
cena, e cosi’ di seguito.
Dopo alcuni momenti apparve sulla porta la padrona di casa. ” Signore – gli
disse – sono occupata a curare mio marito che e’ malato. Quando avro’ finito
vi daro’ ospitalità. E non serve a nulla che mi guardiate in quel modo: non
sono un corvo da potere essere ridotto in cenere.”
Ovviamente, il giovane rimase stordito. Egli non aveva parlato a nessuno di
quanto era successo nei boschi. Questa donna come poteva saperlo? Cosi’
attese e, dopo un po’, la donna lo fece cenare. Allora, egli chiese: ” Come
sapevate che avevo ridotto in cenere un corvo?” E lei rispose: ” Vedete, ho
un istruttore. Fa di mestiere il macellaio. E mi ha insegnato che se io
avessi compiuto i miei doveri senza alcun attaccamento nel cuore avrei
raggiunto l’illuminazione. Faccio i miei compiti proprio come mi e’ stato
assegnato, al mio posto nella vita; e’ tutto qui lo yoga che pratico. Ma non
aspiro ai suoi frutti. Mi sforzo di fare il mio dovere quanto meglio mi sia
possibile. E’ proprio in tal modo che ho raggiunto l’illuminazione.”
Di conseguenza, il giovane bramino divenne molto impaziente di saperne e di
piu’, e cosi’ lei lo mando’ a conoscere il suo istruttore. Gli disse:”
Camminate per quei chilometri li’ e raggiungerete un mercato. Lo troverete
mentre e’ intento al suo lavoro di vendere carne. Ditegli che andate da
parte mia.”
Egli si reco’ al mercato ed incontrò un macellaio grasso e corpulento, molto
occupato a tagliare delle fette di carne, che contrattava e vendeva. Era
coperto di sangue (Vyadha significa letteralmente “cacciatore”, non beccaio;
ma, vedete, negli antichi tempi, la persona che vendeva la carne doveva
andare nella foresta per cacciare la selvaggina e, quindi, portarla con se’
per commerciarne la carne. Di conseguenza, i termini beccaio e cacciatore si
sono identificati l’un l’altro).
Questo macellaio disse al giovane:” Vi prego di aspettare, lasciatemi
terminare il lavoro.”
La sera, quando ebbe finito, prese la sua cesta e disse:” Venite”, e
andarono tutti e due a casa sua: ” Adesso, attendete ancora, vi prego: devo
occuparmi dei miei vecchi genitori.” Quindi, si lavo’ e si prese cura dei
genitori. Fece loro il bagno, dette loro da mangiare, li sistemo’ con cura
nel letto e, quando ebbe terminato, esclamo’:” E’ il momento”.
Il giovane gli pose qualche domanda spirituale e il macellaio gli dette un
insegnamento elevato sul karma yoga.
Pensateci, non esisteva alcun segno evidente che questo beccaio fosse un
uomo spirituale; tuttavia, era divenuto un’anima illuminata. Esternamente,
uccideva ancora degli animali, ne tagliava le carni e le vendeva; e, ancora,
accudiva ai doveri generali di un capo famiglia: prendersi cura dei
genitori, e cosi’ di seguito. Potreste chiamare tutto cio’ una pratica
spirituale?
La maggioranza delle persone non lo ha fatto. Anche se io divenissi molto
eloquente e vi facessi comprendere che quanto egli faceva era tanto valido
quanto la meditazione ed il culto, o qualunque altra pratica spirituale
generalmente riconosciuta, voi potreste, per un attimo, rimanere scossi.
Ma, appena usciti da questo stato, comincereste a dire:
” Oh!sì, ma la vera pratica e’ la meditazione. Oh! se solo potessi ottenere
la concentrazione! Ecco cosa si deve fare. Come posso ottenere la
concentrazione?”
Attenzione, io non sono contro la meditazione, o la concentrazione. Non dico
che voi non dovreste far altro che lavorare, senza meditare. Cio’ che
intendo esprimere e’ che lavorare in tale maniera puo’ divenire altrettanto
valido quanto la meditazione; altrettanto efficace e profittevole. Non mi
oppongo a che seguiate egualmente altre pratiche spirituali. Ma, come ho
gia’ detto, poche persone possono trascorrere un’intera giornata nelle
differenti esperienze spirituali, una dopo l’altra. Colui che ci prova
scoprira’, in breve, che ne’ il suo corpo, ne’ la sua mente potranno
sopportarlo.
Beninteso, ognuno deve fare quanto gli e’ possibile; se ama meditare un po’,
mattina e sera, che mediti. Se vuole praticare il culto rituale, che lo
pratichi. Se vuole cantare dei canti devozionali, o pregare il Signore, che
canti e che preghi. O, anche, se il suo istruttore dice che tale o tal’altra
pratica sono quanto gli conviene, egli deve seguire il consiglio.
Ciononostante, restano ancora ore ed ore nella giornata in cui egli non ha
nulla da fare. Beninteso se egli, o lei, deve guadagnarsi da vivere, o
riempire ogni sorta di doveri casalinghi, o fuori di casa, il tempo verra’
colmato. Ma allora, il problema sara’ quello ci convertire i doveri, o le
attivita’ secolari in qualcosa di spirituale.
Se ci fate caso, scoprirete che nella vostra vita voi consacrate alla
spiritualita’ soltanto una piccola parte della giornata. Con tale devozione
al mondo, come potete sperare allora di acquistare una vera conoscenza
spirituale se consacrate solo una minima parte della vostra vita ad essa ed
il resto della giornata al mondo?
Voi siete un devoto del mondo, e continuerete a restarlo.
– 3 –
Vi e’ un’altra considerazione: viviamo nella nuova era, che e’ solo
all’inizio. Questa era, penso, si estendera’ per molti e molti secoli e,
durante tale periodo, molto verra’ compiuto dall’uomo in favore del suo
simile. Vedete, si tratta del tempo dell’uomo, e non di quello di Dio.
Restate senza paura. La concezione indu’ dell’umanita’ non riguarda qualcosa
di separato da Dio.
Tuttavia, se siete abituati a pensare all’uomo come separato e diverso da
Dio, dico allora che cio’ che deve preoccupare, in questa era, e’ l’uomo,
non Dio. Non penso, adesso, a quei pochi solitari che si trovano sempre in
opposizione alla loro epoca.
No, affermo che il moto principale dello spirito umano, ora, sta
nell’elevazione e nella glorificazione dell’uomo.
Swami Vivekananda, che possedeva l’autorita’ per parlare di queste cose –
rappresentando l’anima di codesta epoca – diceva ripetutamente: ” E’ il
momento del culto di Viràt, il Dio visibile.”
Chi è il Dio visibile? Questo, e’ il Dio visibile; quel che voi vedete, quel
che vi appare come realta’: ecco, cio’ e’ Dio.Questo vasto universo che
vedete distendersi davanti ai vostri occhi, che osservate ad ogni istante
della vostra esistenza, ecco cos’e’ Dio – illimitato, illimitato.
Viene chiamato Viràt in sanscrito, che significa: “cio’ che e’ vasto”.
Potreste replicare ” che affermarlo ad alta voce non lo traformera’ in Dio;
non si tratta che di materia, con un minimo spolverìo di vita e di coscenza.
Come potete asserire che l’universo e’ Dio?”
Ed io vi dico che e’ Dio! Strofinatevi gli occhi e cercate di vedere bene!
Voi osservate le cose con gli occhi serrati, per cosi’ dire; come se
dormiste. Raramente siete capaci di aprire gli occhi. Stropicciateli e
cercate di spalancarli; abituateli alla luce e vi accorgerete che cio’ che
pensavate essere il mondo materiale non e’ in effetti tale, ma l’Essere
reale di Dio, presente davanti a voi.
E Swami Vivekananda aveva l’abitudine di dire di questo Essere che gli
uomini e le donne – ogni individuo umano – ne sono la piu’ alta
espressione.Ora, non confondete il concetto di Swami ed il culto dell’uomo
con il servizio sociale, oppure con il bene che viene fatto al prossimo.
Ogni cosa e’ inclusa in Lui, ma Lui e’ ancora di piu’. Swami Vivekananda non
dimenticava mai che l’uomo si accosta continuamente alla divinita’.
Qualunque cosa egli faccia, fosse anche rubare, o uccidere, egli in verità
si dirige verso Dio.
Egli scrisse in uno dei suoi poemi bengali che quando il ladro ruba, o
l’assassino uccide, avanza verso Dio nell’amore, benche’ incosciamente. Noi
diciamo, beninteso:” Beh, questo e’ andare un po’ troppo lontano”. Ma, non
ne sappiamo molto, in proposito. Solo un esperto sa. Per i problemi della
salute voi siete costretti ad ammettere la vostra ignoranza e ad accettare
le parole di un medico. Quando studiamo lo spirito umano e le sue
espressioni dell’animo, pensiamo di conoscere ogni cosa, e di non avere
bisogno di un esperto. Gli esperti, tuttavia, vedono giusto; osservano ogni
essere correre furiosamente verso la realizzazione della propria divinità –
ed e’ la sola cosa che fanno.
Swami Vivekananda non lo perde mai di vista. Egli non indica mai a nessuno
che la sola cosa da farsi e’ il servizio sociale. Non lo dice mai. Di sicuro
troverete molti scrittori indiani che tessono gli elogi di Swami
Vivekananda, o del suo ordine monastico, per il fatto che egli ha istituito
in India il servizio sociale. Chi lo fa non ne sa poi piu’ di tanto. Non si
puo’ comprendere un’anima come quella di Vivekananda senza aver prima
consacrato degli anni ed anni al profondo pensiero meditativo.
O forse supponete di poter cogliere i moti spirituali di un Cristo, o di un
Budda, o di un Vivekananda solo con una minima eccitazione delle vostre
cellule cerebrali? Non dovete mai pensare di poterlo fare. Non umiliate
nulla, poiche’ sarebbe un deprezzamento personale.
Lo trovo un fatto tragico, nell’era attuale, che gli esseri umani abbiano
dimenticato la loro capacità ad essere grandi. Hanno permesso che ogni cosa
piombasse al livello di uno spirito mediocre. Viene detto che uno spirito
mediocre e’ intelligente all’uno per cento e che ogni cosa da lui studiata e
intepretata lo e’ tramite questo un per cento. Cio’ significa condannare
l’animo umano.
L’uomo ha dimostrato la sua grandezza nei tempi passati, come anche
nell’eta’ moderna. Ma, nel nostro caso, quest’evidenza della grandezza e
della profondita’ umane viene tuttavia scartata, mentre l’intera storia
dell’umanità si riduce ad un recital di magre realizzazioni.
Non deve stupire, di conseguenza, che esistanto milioni e milioni di
uomini, nella media, il cui spirito divenga di piu’ in piu’ ottuso. Ben
presto ad essi non rimarra’ piu’ alcuna traccia di un cervello.
No! Noi tutti siamo grandi. Ognuno di noi e’ destinato a realizzare la piu’
alta delle verità. Ed ogni nostro atto e’ un movimento verso questo scopo
finale.
Dice Sri Krishna nella Bagavad Gita:” Ogni cosa che l’uomo fa, in verita’,
e’ un movimento verso di Me; tutti essi avanzano verso di Me (IV, 11).”
Swami Vivekananda riconosceva la medesima verita’.
Ora, potreste dire:” Bene, se e’ quanto fate veramente, cosa c’e’ di male
nelle pratiche tradizionali? Dimentichiamo l’uomo e tutto il resto. Anche
servire qualcuno in pieno distacco significa mescolarsi con il prossimo,
vivendo nel mondo; tutte cose terribilmente fastidiose. Lasciamo stare
queste cose e andiamocene in un luogo calmo, ove la natura vibri in armonia
con le nostre aspirazioni, meditiamo un poco e diveniamo spirituali. Che
male ci sarebbe in cio’?”.
Ecco il male: che opinione di voi stessi pensate di potere avere se vi
proponete come candidato alla solitudine? Non vi vedreste come un piccolo
essere isolato? E per quanto a lungo riusciste a sostenere tale concetto di
voi stessi, come potrete realizzarvi intensamente, verso voi e verso gli
altri?
Un diverso punto di vista di Dio e dell’uomo e’ contenuto nell’insegnamento
di Swami Vivekananda.
Come molti di voi sanno, durante l’estate del 1895, lui e circa dodici
discepoli trascorsero sei o sette settimane in una localita’ chiamata
Thousand Island Park, su di un’isola del fiume Saint-Laurent. Egli tenne dei
dialoghi molto ispirati. Fu un magnifico periodo. Alcuni di questi dialoghi
vennero trascritti da uno dei discepoli e, poi, pubblicati sotto il titolo:
Dialoghi Ispirati.
Quando io frequentavo il liceo, mi appassionai a questo libro; non posso
descrivervi la gioia che mi dono’. E’ tanto preciso e condensato che ogni
frase contiene un immenso campo al pensiero ed alla contemplazione. Non
appare un confine alla profondita’ di queste frasi.
Nel libro vi e’ questo concetto:” Non cercateLo: guardateLo solamente.”
Quando giunsi a tale sentenza fu come se un’immensa luce si infiammasse
davanti al mio sguardo interiore. Non cercateLo; vedeteLo solamente. E’ la
sua essenza. Dio e’ ovunque; che senso ci sarebbe a cercarlo? Dio e’ reale.
E’ la sola realta’. E’ qui sotto questa forma. Tutto cio’ che debbo fare e’
stropicciare i miei occhi e vederci chiaro. Quando non osserviamo bene,
vediamo degli uomini e delle donne; ma, quando ci vediamo chiaro, vediamo
Dio.
Direte probabilmente che mi abbandono alla fantasia. No. Io affermo la
verita’; la verita’ letterale. Se raggiungerete questa verita’, scoprirete
che tutte codeste forme infinite si sono fuse in una forma infinita.
O che, a volte, le forme svaniscono; cio’ che, allora, rimane e’ una
sostanza divina. O che, se percepite questa tendenza, scoprirete che tutte
queste forme infinite si sono fuse in una forma divina.
Quale immaginate che sia la forma di un Cristo, o di un Krishna? Come disse
Swami Vivekananda: “Questo universo e’ il relitto dell’infinito sulle rive
del finito”. Questo universo intero e’ come un puzzle, ed ogni forma
rappresenta uno dei suoi frammenti; cosi’, come voi potete riuscire a
radunare i componenti del puzzle ed ottenere una immagine completa, il
mentale vede, a volte, che tutte queste forme si sono fuse assieme e sono
divenute una forma divina – la forma di un Vishnou, la forma di un Krishna,
la forma di un Cristo.
Vedete, quando SwamiVivekananda diceva:” Non cercateLo; solo, guardateLo”,
ciò mi colpi come l’essenza medesima della verita’. Perche’ mai dovrei
cercarLo? Se credo che questo mondo sia reale, allora deve essere Dio.
Pero’, se non lo riconosco come reale, se non lo percepisco interamente, o
se lo trovo simile ad un’ombra, di conseguenza io continuero’ a cercare Dio.
Ma, se questo mondo e’ reale, deve essere Dio. Tutto cio’ che e’ reale e’
Dio; tutto ciò che esiste e’ divino. Allora, il problema non risiede nel
cercarLo. E’ solamente necessario vederLo con chiarezza.
Il fatto si identifica all’altro insegnamento di Swami, quando dice che noi
ci si trova nell’epoca del culto di Viràt, il Dio visibile. E, dicendo
questo, egli desiderava che noi ci si accostasse di continuo a Dio. La
visione finita di questo mondo non e’ altro che il riflesso della nostra
ignoranza; non puo’ collocarsi in nessuna dimensione dello spirito. E,
cosi’, nasce un continuo impulso a che noi si trascenda questi limiti,
questa ignoranza che ci ossessiona, sino a giungere alla chiara atmosfera
della vera visione. Un impulso degli uomini che Swami Vivekananda non
dimenticava mai.
Inoltre, non dimenticava mai che l’uomo e’ grande; e’ misura infinita.
Ognuno e’ cosi’; ecco perche’ siamo tutti una stessa cosa.
Tale sua visione della natura umana soggiace alla sua dottrina, per la quale
noi dobbiamo servire Dio sotto ognuna delle sue forme visibili.
Ora, i grandi istruttori non pensano sempre con il cervello, come facciamo
noi. Essi sono veramente l’anima dell’umanita’, e non solo un piccolo
frammento di essa. Rappresentano dei vasti settori d’umanita’, non solo per
il tempo attuale, quanto per le epoche future, e anche un poco per il
passato. Raccolgono in se stessi le aspirazioni e la comprensione di un
grande numero di uomini e di donne. Quando un istruttore del mondo
afferma:”Voglio del cibo” e’ come se milioni di persone affamate gridassero,
lungo i secoli, attraverso la sua voce, per avere del cibo. Basta che egli
dica:”Voglio del cibo”. Egli non deve pensare. Ha parlato; e non rappresenta
una sola persona, ma milioni di esseri umani.
Una volta Swami Vivekananda disse:” Io sono l’uomo incarnato”. Provava il
sentimento di sentirsi lui stesso uno con l’uomo. E sapeva che in questa era
milioni di uomini e di donne sarebbero stati elevati alla loro dignita’
naturale.
Le masse sono state annientate. Solo un pugno di individui ha vissuto nel
conforto e nella dignità nei tempi passati, mentre altri milioni furono
schiavi di essi. Ora, il tempo e’ arrivato in cui questi milioni di persone
avranno la loro gioia. La forza nascera’ in essi; in essi nascera’ la
fiducia; ed apparira’ in loro un senso della liberta’ e dell’amor proprio.
Gioiranno delle cose di questo mondo, dell’intelletto e raggiungeranno lo
Spirito.
E’ il tempo di questi milioni e milioni di persone. Lo Swami non desiderava
che essi avessero solo un livello di vita più elevato: riscaldamento
centrale, abiti stupendi, gran quantita’ di vitamine, un buona biblioteca
ove recarsi, dei piacevoli terreni di gioco, si’ che piu’ agi possedevano e
piu’ essi perdevano ogni valore soggettivo, sia nell’utilizzare il loro
tempo a dedicarsi a dei passatempi, che ad acquisizioni di ogni sorta; in
questo modo non si realizza nessuna verita’ profonda.
Lo Swami non voleva questo. Voleva, beninteso, che la gente disponesse di un
livello di vita decente, di una decente abitazione e di qualche piacere. Ma
desiderava che si elevasse al di sopra del livello materiale, sino alla
dignita’ del proprio essere interiore: alla dignita’ spirituale. Voleva
questo per ogni uomo comune; e che nessuno si arrestasse a meta’ cammino.
Voleva che ogni uomo e ogni donna, in Oriente ed in Occidente, tendessero a
codesto ideale. Era la sua ispirazione. Di conseguenza, uno dei suoi piu’
alti insegnamenti era:
” Andate di porta in porta; all’uscio del povero come a quello del ricco,
del giovane e dell’anziano, del letterato e dell’ignorante, e dite ad
ognuno:” Voi siete infiniti, voi siete eterni. In voi risiede il potere
infinito. Voi siete liberi. Voi siete divini.”
Voleva che noi insegnassimo questa verita’ ad ognuno; che dicessimo loro
che erano tutti divini. Era questo il significato del suo culto dell’uomo
come Dio.
Se voi affermate:” E’ una ben alta filosofia per la comprensione dell’uomo
comune”, la sua risposta era che l’uomo e’ divino e che, quando lo chiamate
Dio, egli risponde. Non e’ costretto a passare attraverso la lettura di
interi volumi di filosofia per convincersi della propria divinita’. Se non
fosse di natura divina, di sicuro tutti questi volumi di filosofia gli
potrebbero far perdere la via; ma, poiche’ e’ divino, non diviene necessario
fornirgli alcun argomento. E’ sufficiente dirgli la verita’ con voce
sincera; non con le labbra, ma con il cuore. Questo solo e’ indispensabile.
Se non vivo l’esperienza di questa verita’ in me, la mia voce non
convincera’ nessuno. Ma se ho percepito questa verita’ di eternita’, di
immortalita’, di immensita’, di meraviglia per il mio essere profondo; se ho
realizzato di essere colui che e’ intrepido, colui che e’ libero, e che –
malgrado ogni condizione esterna – nulla nell’universo intero – dei, o
uomini, o demoni – potra’ mai essere capace di toccarmi; se ho percepito
questa verita’, allora la mia voce avra’ un rintocco capace di risvegliare
la stessa verità nei cuori degli altri.
E Swami Vivekananda voleva che noi andassimo tutti, con questa verità, di
porta in porta, a dirla al mondo intero. Non ho il minimo dubbio che, se
avessimo fatto questo in India, essa si sarebbe sollevata molto prima, ricca
di una forza nuova. Il suo messaggio non sarebbe stato quello della
non-violenza, che e’ negativo e confuso. Ma quello della forza.
Sfortunatamente non lo abbiamo raccolto come avremmo dovuto fare quando egli
ce lo rivolse. Per “noi” intendo la massa degli Indu’. Avremmo dovuto
ascoltare questo messaggio a fondo – e riconoscere che era l’unica cosa che
contava.
E’ solo cosi’ che l’India potra’ reggersi su se stessa, glorificata come
l’umanita’ non puo’ ancora sognare.
Swami Vivekananda ci diceva sovente:” La gloria dell’India che ancora deve
apparire e’ si’ grande che nulla del suo passato luminoso potra’ esservi
paragonato. Neppure potete immaginare l’India gloriosa che si trova davanti
a voi.”
Ma questo avvenire si basa sugli uomini forti, forti della pace dello
Spirito. Non sugli uomini aggressivi e brutali; di cui molti lo sono poiche’
stringono qualche arma nelle mani. Non sono degli uomini forti, codesti,
anche se hanno il coraggio fisico, poiche’, dopo tutto, questo coraggio
rimane fino a che posseggono un corpo valido.
Esiste un’altra forza: la forza dello Spirito, ed e’ una forza innocente.
Tuttavia – e ve lo dico tra parentesi – anche se cercate la forza fisica,
certi che la vostra vera natura e’ divina, sara’ raro che tale forza vi
venga meno. E’ un’altra questione. Cio’ che Swami Vivekananda insegnava era
la forza dello Spirito, ed egli aveva la visione dell’uomo dell’avvenire
come forte spiritualmente, con responsabilita’ verso tutti gli uomini.
Ora, non intendo essere dogmatico, e così non voglio dire che Swami
Vivekananda non sosteneva le pratiche di meditazione, o di adorazione, o di
preghiera, o di canti, come tali. Non esiste alcuna contraddizione tra
queste pratiche ed il culto dell’uomo come Dio. Ma, riguardo a quest’ultimo
culto, che non e’ stato riconosciuto in genere come una pratica spirituale
massima, ed e’ stato piuttosto ignorato dalla maggioranza – si tratta
dell’insegnamento sul quale egli poneva l’accento. Ormai e’ venuto il tempo,
per noi, di riconoscerlo.
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