Meditate mentre lavorate di Swami Ashokananda – Quarta parte e fine

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Meditate, mentre lavorate

– quarta, ed ultima parte

(di Swami Ashokananda)

– e < Canto dell'Anima di Sankarahharya >

(tratto dal sito www.vidya.org)

lista Sadhana > it.groups.yahoo.com/group/lista_sadhana

Swami Ashokananda

MEDITATE MENTRE LAVORATE
(4° Parte)

* Una nuova via per la nuova era *

Estratto dal libro: Meditazione, Estasi e Illuminazione, Advaita Ashrama,
Calcutta, Swami Ashokananda (1893-1969) fu discepolo di Swami Vivekananda,
il secondo Presidente dell’Ordine di Ramakrishna. Fu, dal 1932 sino al suo
decesso, lo Swami responsabile della Vedanta Society of Norten California, a
San Francisco (fondata da Swami Vivekananda nel 1900)

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A mio avviso, la pratica del karma yoga e’ un’attività spirituale
straordinaria. Consideratela sotto il punto di vista aritmetico: voi
meditate tre ore al giorno; forse, in tutto, quattro o cinque ore
specificatamente. Vi rimarranno almeno dodici ore di veglia.

Che ve ne farete? Poiche’ lavorate la maggior parte del tempo, praticando il
karma yoga in questi momenti queste ore si trasformeranno in ore di
attivita’ spirituale. Vi sentirete come quel vasto Essere.

Vi e’ una precisa differenza tra l’insegnamento del karma yoga che
ritroviamo nella Gita ed il karma yoga di Vivekananda, o negli altri casi in
cui lo insegno’; ove insiste sul fatto che ognuno deve considerarsi come lo
Spirito, Brahman. Beninteso, il concetto e’ pur sempre implicito nella Gita.
Prima ancora che Krishna tenesse il suo sermone sul karma yoga, al terzo
capitolo, Egli dette un insegnamento, nel secondo capitolo, sulla reale
natura dell’anima.

Vi ricordate di questo straordinario insegnamento, secondo il quale l’anima
non puo’ distruggere, ne’ venire distrutta? Si rintracciano dei magnifici
significati nell’indistruttibilita’, nell’immortalita’ e nell’eternita’
dell’anima. Essi sono la base del karma yoga. E Vivekananda li evidenzio’ e
li rese espliciti. Egli voleva che tutti li avessero nella propria
coscienza: quale esistenza meravigliosa e’ quella in cui mi identifico
nell’essere più perfetto! Ed in cio’ non appare traccia di egoismo, poiche’
realizzo che anche tutti gli altri sono questi esseri piu’ perfetti.

Sri Krishna dice:

“Colui che vede il Signore Supremo risiedere egualmente in ogni essere,
Immortale in coloro che periscono, costui lo conosce bene.” (Gita XIII 28)

Ed Egli dice ancora:

“Il saggio guarda con la medesima magnanimita’ un bramino, erudito e umile,
una vacca, un elefante, un cane ed un mangiatore di cani (v.18)

Quando prendete l’abitudine di pensare in questi termini, scoprite che la
vostra vita e’ divenuta meditativa. Sullo sfondo dei vostri pensieri e delle
vostre azioni, dietro la stessa vostra accanita attivita’ appare un senso di
tranquillita’, un senso di serenita’ e di profondita’, nelle quali voi vi
esprimente completamente.

Proprio come un lago puo’ rimanere assolutamente calmo quando ha la
superficie increspata, cosi’ scoprirete in voi una calma profonda e un
Essere sereno; anche se all’esterno appare un’attività incessante.
Un’attività che si colora con la consapevolezza del vostro io profondo, che
potete distinguere dalla Divinita’ stessa. Vi siete trasformati non appena
diveniste coscienti, pur se in modo leggero, di questo fatto.

Di conseguenza, che siate seduti in tutta tranquillita’, o attivi in modo
violento il vostro spirito abitera’ nel profondo. Io penso che cio’ sia
semplicemente meraviglioso. Il mio Dio e’ con me.

E se dite: ” Questo Dio non mi sembra molto eccitante, in mezzo a tanta
attività e tanta gente”, ah!, non eccita alla superficie, ma se vi
spingerete un po’ piu’ nel profondo, scoprirete che si tratta di Dio stesso;
di null’altro che di Dio.

Swami Vivekananda lascio’ il monastero di Belur per tornare in occidente nel
1899, e fu durante tale secondo soggiorno che redasse un documento nel quale
dava l’incarico della direzione dell’ordine monastico e di quanto si
riferiva ad esso ad un altro discepolo di Sri Ramakrishna: lo Swami
Brahmananda.

Cosi’ (benche’ l’atto notarile non fosse stato reso valido prima del 1901),
quando di fatto lascio’ il monastero di Belur per tornare in Inghilterra ed
in America, egli abbandono’ la direzione dell’Ordine. Ed appare altamente
significativo il piccolo sermone che rivolse ai membri del monastero, alla
vigilia della sua partenza.

I monaci avevano pronunciato un’allocuzione di addio nei suoi riguardi; ed
egli allora parlo’. Il suo ultimo messaggio ad essi fu questo:

” Ricordatelo, il nostro ideale e’ vairagya ed il servizio.” Vairagya
significa l’assenza di passione – ossia, la coscienza non e’ più impegnata
nel corpo, e neppure nella mente, e negli oggetti dei sensi.

Egli aggiunse:” Praticate questo vairagya e riversate il vostro cuore al
servizio degli altri.”

Gli altri? Dio stesso. Il Dio visibile. Ricordatelo.”

Questo fu – per cosi’ dire – l’ultimo appello che egli espresse come
presidente dell’Ordine a tutti i monaci riuniti. Ed io ho sovente riflettuto
su questo appello; esso contiene l’essenza di ogni scrittura e di ogni
profeta: non portate nessun attaccamento agli oggetti dei sensi, siate
coscienti del divino, sia nell’interiorita’ delle cose che nella loro
esteriorita’, ed espandete il vostro cuore nel servizio. Non puo’ esistere
una religione piu’ alta di questa. Non puo’ esistere metodo piu’ rapido di
illuminazione al di fuori di questo. Ne’ mezzo piu’ alto di realizzazione
personale e di servizio agli altri. Penso che sia l’ideale spirituale piu’
completo che noi mai si abbia avuto la possibilita’ di conoscere prima
d’ora.

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Non sono l’io ne’ la ragione, non sono la mente ne’ il pensiero,
non posso essere sentito ne’ espresso in parole, ne’ posso essere
percepito dall’olfatto ne’ dalla vista; non mi si trova nella luce
ne’ nel vento, ne’ sulla terra o nel cielo; incarno la coscienza e
la gioia. Beatitudine del beato io sono.

Non ho nome, ne’ vita, non respiro aria vitale. Nessun elemento mi
ha plasmato, ne’ veste corporea e’ mio rifugio: non parlo, non ho
mani ne’ piedi, ne’ mezzi di sviluppo. Coscienza e gioia io sono, e
beatitudine nella dissoluzione.

Mi libero dell’odio e della passione, ho superato l’illusione
e il desiderio; nessuna punta di orgoglio mi ha mai sfiorato,
cosicche’ invidia non ho mai provato; al di la’ di ogni fede
superata, della ricchezza, della liberta’, del desiderio,
coscienza e gioia io sono e la beatitudine e’ il mio ornamento.

Virtu’ e vizio, piacere o dolore non sono il mio patrimonio,
ne’ testi sacri, ne’ offerte, ne’ preghiere, ne’ pellegrinaggi;
non sono il cibo ne’ il mangiare ne’ colui che mangia io sono.
Incarno la gioia e la coscienza, beatitudine del beato io sono.

Non ho apprensione per la morte, ne’ pregiudizi di razza mi
isolano, nessun genitore mi ha chiamato figlio, nessun legame
di nascita mi ha mai legato: non sono ne’ il discepolo ne’ il
maestro, non ho parenti ne’ amici. Coscienza e gioia io sono,
e assorbirmi nella beatitudine e’ il mio fine.

Ne’ il comprensibile, la conoscenza, o il conoscitore io sono,
il senza forma e’ la mia forma; abito nei sensi ma essi non sono
la mia dimora; sempre serenamente equilibrato, non sono libero
ne’ legato. Coscienza e gioia io sono, e la beatitudine e’ sempre
a me vicina.

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