Mondo vegetariano

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Mondo vegetariano

serie di articoli sulla cucina vegetariana internazionale –

di Parama Karuna d. – da isvara.org

Un emozionante e gustoso viaggio gastronomico attorno al mondo per sperimentare nuovi sapori e nuove
tecniche, ma anche per conoscere il modo di vivere e di pensare di popoli di culture diverse e
scoprire le basi fondamentali della cultura umana su tutto il pianeta.
Preparando e gustando le più famose e caratteristiche specialità internazionali potrete infatti
comprendere ed apprezzare meglio i diversi componenti della grande famiglia umana, abitanti di un
pianeta che ogni giorno diventa più piccolo grazie allo sviluppo delle comunicazioni e ai continui
scambi culturali ed economici.
Preparando voi stessi le ricette a casa vostra — sono stati scelti ingredienti facili da reperire
anche sul mercato italiano — avrete inoltre la possibilità di controllare e gestire personalmente
la dosatura degli aromi e delle spezie, raggiungendo l’equilibrio ottimale di gusti per voi e per la
vostra famiglia senza sacrificare l’autenticità delle ricette. Una guida utile sia per il
viaggiatore che per il cittadino del mondo.

Cucina, geografia, cultura: ingredienti e tradizioni

La cucina può sembrare talvolta un argomento un po’ prosaico, materialista, lontano dall’atmosfera
rarefatta delle alte vette della cultura, e poco adatto agli intellettuali, che generalmente si
immaginano magri, severi ed emaciati per il tanto studio e per la scarsa attenzione che dedicano ai
piaceri quotidiani e alle necessità pratiche. Invece la gastronomia costituisce forse uno dei più
interessanti oggetti di studio: non soltanto comprende chimica e fisica, ma anche biologia, storia,
geografia, economia, arte, sociologia, etnologia, insomma un vero concentrato di tutte le scienze.
Inoltre, la gastronomia rappresenta anche il contributo scientifico ed artistico più essenziale per
l’intelletto umano. Infatti, come si può facilmente comprendere, anche il nostro intelletto e il
nostro spirito, oltre al nostro corpo grossolano, sono sostenuti e nutriti da ciò che mangiamo, e
acquistano tratti particolari proprio come il corpo (e forse sono proprio loro che condensano nel
corpo le proprie caratteristiche peculiari) sulla base degli elementi che forniamo loro con
l’alimentazione, sia chimicamente e biologicamente, sia con l’apporto “sottile” dell’aspetto, del
profumo, del gusto, della freschezza.

Per questo motivo i popoli che per tradizione (antica o recente) consumano molta carne animale —
costretti generalmente a una simile dieta dalla carenza diffusa di alimenti vegetariani impossibili
da produrre in quantità sufficiente nei climi avversi — si sono dimostrati generalmente aggressivi
e più disposti alla guerra, più irrequieti e insoddisfatti, mentre i popoli che hanno a propria
disposizione una grande varietà e ricchezza di alimenti vegetariani, freschi e nutrienti, hanno una
storia più pacifica, tesa verso uno sviluppo economico a misura d’uomo e a una cultura ricca di
arte, scienza, poesia e spiritualità. Anche la preparazione delle materie prime influisce sulla
conformazione mentale e culturale delle varie popolazioni. Ad esempio, nei Paesi industrializzati la
gente corre continuamente (generalmente, in macchina o con altri mezzi di trasporto molto veloci) da
casa al lavoro, dal lavoro al “divertimento”, dal “divertimento” a casa, e poi di nuovo qua e là,
giorno dopo giorno. Così è nato il Fast Food, un locale dove si trangugiano in tutta fretta panini,
patatine fritte e bibite sempre pronti, generalmente precotti e preconfezionati.

All’opposto troviamo i complessi e raffinatissimi rituali del tè nel Giappone e nella Cina antica,
nella cultura orientale, che è meditazione e contemplazione della bellezza e della saggezza, oppure
la ricca semplicità dei pasti quotidiani nella cultura indiana, dove il pane si prepara fresco poco
prima di sedersi a mangiare, e le spezie vengono macinate al momento di cucinare i vari piatti. Gli
alimenti sono quasi esclusivamente vegetariani, e vengono preparati di volta in volta a partire
dalla loro forma più naturale. Le conserve sono ottenute con metodi ingegnosi, semplici ed efficaci:
l’achar di verdura e frutta (conservate sotto sale, spezie e olio), la salsa di soia e il miso (a
fermentazione naturale non alcolica), l’essiccazione al sole di frutta e verdura, eccetera.

Ma in ogni cultura, in ogni tradizione, c’è una base comune, una conoscenza e un’arte di vivere che
affonda le sue radici nelle necessità materiali e spirituali dell’uomo, che sono le stesse in tutte
le nazioni e in tutte le razze: una cultura essenziale, la cultura della vita di ogni giorno, nata
dalle necessità primarie dell’essere umano, ed è questa la scoperta più importante in questo giro
del mondo culturale e gastronomico che faremo insieme. In ogni zona del pianeta la cultura popolare
favorisce infatti il consumo di cereali diversi a seconda della zona di produzione: riso in oriente,
grano nei paesi di clima temperato, miglio e sorgo in Africa, segale e grano saraceno nel nord del
pianeta, mais in Sud America. Questi cereali sono sempre accompagnati in proporzioni accuratamente
calcolate da verdure e legumi di vario genere, da frutta — a volte usata anche in piatti salati —
fresca o secca, da noci, erbe e persino certi tipi di fiori, tutti alimenti poco costosi, facili da
raccogliere e utilizzare e perfetti per le necessità dell’organismo umano.

Per la suddivisione dei capitoli terremo conto delle aree culturali più che delle nazioni singole,
perché come ben sappiamo le frontiere politiche sono sempre relative. La cucina dei paesi arabi e la
loro cultura, ad esempio, sono uguali o molto simili sia in Asia Minore e nella Penisola Araba
(Turchia, Siria, Persia, Emirati) che in Africa (Libia, Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto) e in Asia
(Pakistan, Afghanistan, Bangladesh) o negli altri Paesi musulmani o nei grossi insediamenti di
comunità musulmane in altri Paesi (come l’India).

Questo libro non intende certo esaurire l’argomento, dato che ogni regione e ogni cultura, a seconda
della storia, della geografia, della produzione agricola e delle condizioni sociali, presenta
caratteristiche speciali ed estremamente varie. Per motivi di spazio, dobbiamo accontentarci delle
zone culturali più conosciute e della loro gastronomia, che viene riproposta un po’ in tutto il
mondo dai ristoranti caratteristici. La “cucina etnica” vi apre le porte del pianeta, e vi fa
conoscere e comprendere meglio i suoi abitanti.

Un’ultima nota: le ricette sono state scelte accuratamente tenendo presente non soltanto
l’autenticità del gusto e delle tecniche, ma anche l’accettabilità per il palato occidentale e la
fattibilità per quanto riguarda il reperimento delle materie prime sul mercato.

LA TRADIZIONE VEGETARIANA NEL MONDO

La storia che ci viene insegnata a scuola parla principalmente dello sviluppo della cultura
dominante: la civiltà sumera e assiro-babilonese, la civiltà egizia, soprattutto alla luce dello
studio che ne fecero già ai loro tempi gli antichi Greci e gli antichi Romani. Da quando
l’archeologia cominciò a svilupparsi in Europa, con Ceram e Schliemann, la storia ha cominciato a
occuparsi di periodi ancora più antichi, man mano che i reperti dissepolti indicavano la cosiddetta
età della pietra negli insediamenti europei, asiatici e africani. Dopo la caduta dell’Impero Romano,
che aveva più o meno unificato l’Europa, la storia parla ancora dei “barbari” celtici, delle
popolazioni dell’Europa orientale, della vita dei contadini e dei monasteri, fino al Rinascimento,
dove si sviluppano i commerci e i contatti con le altre parti del mondo, culminanti con la scoperta
dell’America e delle altre colonie. A questo punto della storia le tradizioni individuali delle
varie aree geografiche cominciano a fondersi, e possiamo parlare della nascita di una cultura
planetaria a livello mondiale, anche se naturalmente ancora oggi c’è molta strada da percorrere per
realizzare pienamente questo tipo di cultura, che dovrebbe conservare i valori etnici tradizionali
pur permettendo uno scambio, una collaborazione e un arricchimento continuo tra i vari gruppi, e una
uguale dignità e libertà per tutte le popolazioni.

In termini gastronomici, possiamo identificare le prime civiltà del Mediterraneo e dell’Asia Minore
(sumeri, egiziani, greci, romani) con la tipica dieta che oggi viene definita “mediterranea”: pane
lievitato di vari tipi, pappe di cereali (avena, orzo, ma soprattutto il farro, oggi poco
conosciuto), lenticchie, ceci, olio e olive conservate in vari modi, cipolla, aglio, erbe spontanee,
mandorle, uva (e naturalmente vino), mele, fichi, latte e formaggi generalmente non stagionati,
miele. La scuola filosofica pitagorica era strettamente vegetariana e salutista, e molti grandi
filosofi del periodo greco-romano hanno affermato chiaramente la superiorità dell’alimentazione
vegetariana per la salute del corpo e la chiarezza della mente. Il popolo si nutriva soprattutto di
questi alimenti, economici, facili da ottenere e da consumare, mentre la carne era riservata alle
classi più ricche — ai sacerdoti che la ottenevano dopo l’uccisione delle vittime sacrificali nei
templi e ai nobili che disponevano di grandi tenute dove i loro pastori e contadini potevano
allevare mandrie sufficienti. L’Impero Romano cominciò, con le sue conquiste, a introdurre nella
cultura “internazionale” del tempo stranezze e raffinatezze gastronomiche di ogni genere, raccolte
con cura nelle province più lontane ed esotiche: le spezie come il pepe, la cannella, la noce
moscata vennero introdotte per la prima volta in Europa proprio da loro. Gli instancabili e
fantasiosi “esploratori gastronomici” dell’antica Roma inviavano alla capitale qualsiasi cosa
sembrasse interessante dal punto di vista gastronomico, qualsiasi cosa avesse un sapore nuovo o un
uso insolito.

I crapuloni del tempo arrivavano a mangiare cose che a noi sembrerebbero del tutto assurde o
addirittura disgustose, pur di stupire i propri commensali ai banchetti e alle orge, e di ostentare
la loro ricchezza. Molti storici hanno espresso il parere che la caduta dell’Impero Romano sia stata
causata in effetti dal rammollimento dei costumi di questi grandi conquistatori imperialisti: i
primi legionari si nutrivano di pappe di farro e orzo integrali, di cipolle e aglio, e marciarono
per l’intero mondo allora conosciuto combattendo e conquistando ogni cosa. Quando l’alimentazione
cominciò ad includere ingredienti non vegetariani in quantità preponderante, la loro salute dovette
senz’altro peggiorare, e con la salute più cagionevole passava anche la voglia di marciare e di
combattere. E piano piano i Romani perdettero l’Impero, fino al famoso saccheggio di Roma stessa da
parte di un’orda di barbari. Questi barbari appartenevano a varie popolazioni di cultura celtica o
provenivano dalle varie regioni dell’Europa orientale o dell’Asia Minore: nomadi razziatori, non
avevano né tempo né modo di coltivare la terra, e vivevano soprattutto di carne e latticini ottenuti
dalle loro costanti rapine e integrati quand’era possibile da cereali, frutta secca, erbe
selvatiche: un po’ lo stesso tipo di dieta che appare dominante negli insediamenti preistorici
europei, asiatici e africani.

Naturalmente le popolazioni celtiche stanziali, che praticavano largamente l’agricoltura, avevano
un’alimentazione e una gastronomia più ricche e complesse, basate soprattutto sui cereali
(largamente usati anche per fare la birra), sulla frutta, sulle erbe e sugli ortaggi, che venivano
preparate insieme in una gamma incredibile di “minestre” sia dolci che salate. La minestra
permetteva di usare qualsiasi ingrediente fosse disponibile, anche in minima quantità; cuoceva
facilmente in un pentolone sopra il fuoco a cui ci si riscaldava, senza bisogno di particolari
tecniche gastronomiche, e si conservava bene durante tutta la giornata (anzi, spesso quando veniva
consumata diverse ore dopo la preparazione era ancora migliore). Questo genere di dieta “povera” si
diffuse in tutta Europa man mano che i barbari invasori si sistemavano nei territori conquistati, e
diventavano stanziali mescolandosi con le popolazioni autoctone. Nei monasteri, roccaforti della
cultura di quel periodo, i frati conservavano, insieme agli antichi codici miniati, la conoscenza
delle ricette antiche della gloriosa gastronomia del passato, delle virtù delle erbe, dei sistemi di
conservazione dei cibi. Anzi, molti di quelli che si facevano monaci in quel tempo, specialmente se
provenivano dalle classi più povere, erano attratti soprattutto dalla ricchezza dell’alimentazione
dei religiosi: i grandi riformatori religiosi del tempo si batterono strenuamente contro questo
malcostume, cercando inutilmente di mettere un freno ai peccati di gola usando le regole
dell’ordine… che però vennero quasi tutte abbandonate gradualmente, una dopo l’altra, nel corso
del tempo.

Nel Rinascimento la cultura delle città, della borghesia, del commercio riportò in auge gli scambi
commerciali e culturali dell’Europa con il resto del mondo (praticamente con l’Asia Minore, l’India
e l’Africa settentrionale), importando di nuovo le spezie che erano state così care agli antichi
Romani. Le esplorazioni e i commerci si allargarono fino alla Cina e al Giappone, via via fino alla
scoperta dell’America e delle altre parti del mondo, che con il tempo divennero colonie delle grandi
potenze europee: Inghilterra, Olanda, Francia, Spagna, Portogallo. In questo periodo lo sviluppo
della gastronomia europea fu addirittura incredibile: dal Nuovo Mondo arrivarono cacao, caffé,
pomodori, patate, zucche, fagioli, mais, e mille altri vegetali, che pian piano entrarono anche
nella cultura popolare. Dalle colonie in Oriente cominciarono ad arrivare regolarmente in Europa il
tè, lo zucchero (ricavato dalla canna), il riso, le famose spezie, arance, banane, cocco, legumi di
vario genere (tra cui alcune varietà di soia), le arachidi e altri ingredienti ancora, che oggi ci
appaiono del tutto normali nella gastronomia europea, ma che furono introdotti nella cultura
popolare soltanto a partire dal 1700 circa.

Con tutti questi nuovi ingredienti, nacque la casta dei cuochi: i famosi gastronomi dell’età moderna
cominciarono ad usare i nuovi alimenti come curiosità e specialità, accanto alle tradizionali
“raffinatezze” per ricchi e nobili, costituite da carne, pesce e uova. Per questo motivo la maggior
parte dei ricettari in circolazione contiene una grande maggioranza di ricette contenenti alimenti
non vegetariani: il popolo, la gente comune, non aveva bisogno di leggere i libri di Careme o di
Escoffier per sapere come fare la zuppa o il pane, e tuttavia la maggior parte della popolazione
d’Europa, composta da contadini e operai, si nutriva quasi esclusivamente di pane e minestra!
Quantità minime di carne conservata (gli animali si ammazzavano solo raramente, in certe stagioni, e
con parsimonia, altrimenti addio greggi) venivano di solito aggiunte alla minestra, oppure alla
domenica o nelle feste religiose si sacrificava un pollo o un altro animale per fare festa in
famiglia.

La diffusione del consumo di carne, pesce e uova a livello popolare si è verificata in Europa
(specialmente in Europa meridionale) soltanto a partire dal secondo dopoguerra (anni 50), quando il
boom economico della ricostruzione convinse il popolo che tutti potevano vivere da ricchi, e quindi
anche mangiare da ricchi: festa tutti i giorni, carne tutti i giorni, dolci tutti i giorni. La
velocissima degradazione delle condizioni di salute della popolazione in generale ha dimostrato
ancora una volta che un’alimentazione “da ricchi” porta inevitabilmente anche le malattie “da
ricchi”: eccesso di acidi urici (gotta e artrosi), disturbi cardiovascolari (aterosclerosi, ecc.),
obesità, e chi più ne ha più ne metta. E’ vero, l’alimentazione generale del popolo all’inizio della
rivoluzione industriale era insufficiente, e mancava spesso di proteine, grassi e vitamine —
essendo basata spesso sulle patate, sul mais (tra l’altro non cucinato appropriatamente) e sui
cereali di seconda scelta — ma la soluzione non è stata molto migliore del problema!

Oggi con le più recenti ricerche scientifiche sull’alimentazione è diventato chiaro ormai a tutti
che l’alimentazione più equilibrata e sana per l’essere umano consiste in una versione “ricca” della
dieta originaria dei popoli antichi: cereali integrali, erbe e ortaggi, frutta fresca e secca, olive
e olio, ai quali possiamo aggiungere oggi una enorme gamma di ingredienti vegetariani che un tempo
erano esotici ma che ormai si sono “naturalizzati” anche in Europa e si trovano quotidianamente su
ogni mercato. Nuove ricerche ci propongono quasi quotidianamente nuove attraenti e salutari
possibilità: lo yogurt, il kefir, le alghe, il tempeh, il seitan, i vari cibi derivati dalla soia,
il malto di cereali, i germogli di cereali e legumi, il quinoa, la frutta e verdura “esotica” e
mille altri ingredienti. Si apre davanti a noi una nuova età dell’oro della civiltà gastronomica:
sapremo approfittarne meglio dei nostri antenati?

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