Esperienze sulla morte
di Paolo Vita
Dal libro: “Morire è bello”
La grandiosa messe di testimonianze e dossier di studi sulla morte non lascia più spazio a dubbi sul trapasso, mentre le relazioni dei sensitivi offrono interessanti spiegazioni sullo svolgimento della vita nell’Aldilà.
Non voglio perder tempo a riferire e contestare in dettaglio ipotesi alternative, costruite da materialisti scettici, per cercare di trovare spiegazioni tradizionali delle visioni dei morenti e dei comatosi, che si possano incanalare in stati fisiologici o psicologici catalogati dalla medicina o dalla psicologia ufficiale attuale. Esse cercano di spiegare solo un aspetto alla volta delle esperienze riportate, ignorando un onesto esame della vasta messe di
testimonianze e studi riferiti nella vastissima letteratura in questione, con tutte le controprove riportate; risultano perciò preconcette, lacunose e più incredibili delle spiegazioni dirette e naturali degli interessati. Tali discussioni sono riportate su molti dei libri in bibliografia. Alcuni degli esempi citati mostrano come i soggetti abbiano visto, mediante il loro corpo astrale, i tentativi di rianimazione fatti sul loro corpo fisico inerme, riferendoli ai medici, che soli potevano conoscerli, o abbiano incontrato defunti di cui ignoravano la morte, o addirittura l’esistenza. Molti casi di NDE riguardano bambini piccoli, che non potevano sapere gran che su l’Aldilà, o addirittura concepire la propria morte.
Cosa scaturisce dagli studi di eminenti scienziati, medici e psicologi sull’osservazione del momento della morte, dai racconti di persone rianimate e dai ricordi di vite precedenti?
Ci limitiamo a considerazioni riguardanti il momento della morte ed il livello iniziale, “intermedio” dell’Aldilà, giacché non ne abbiamo e penso non sarebbe comunque possibile esprimerle sui livelli superiori del Paradiso, quelli più mistici e contemplativi, quelli che molti immaginano siano più propri del Paradiso più eccelso e quindi rifiutano l’idea di uno stato intermedio così antropomorfico, quale si rivela alle indagini qui presentate. Infatti la comune concezione del Paradiso per eccellenza è quella del Nirvana buddista o vedantico: un’unità, una fusione con Dio, concepito come una pura energia intelligente, senza forma.
Da quanto esposto, ai fini che mi sono riproposto, cioè di gettare una luce rassicurante sulla morte, risulta che :
1. Non è esatto dire che “la morte non esiste”, secondo quanto dicono molti esoteristi, per intendere che la vita continua: la morte c’è in quanto esaurimento o guasto del corpo fisico, col suo conseguente abbandono. Non esiste invece, se con la parola “morte” intendiamo l’annullamento e la sparizione della persona umana, nelle sue componenti più sostanziali e sottili. Quando una persona muore si trova a vivere ed agire con lo stesso aspetto e carattere di prima e le può sembrare di non essere affatto morta, tanto che alcuni credono di essere ancora incarnati.
2. Non è vero, come molti affermano con aria di ovvietà, che nessuno è mai tornato a raccontarci cosa c’è nell’Aldilà: si tratta solo di interessarsi e cercare le informazioni, ormai sempre più copiose, tanto che è quasi impossibile leggere tutti i libri scritti su queste testimonianze.[190] Tutti quelli che raccontano queste esperienze – e sono migliaia, nonostante una diffusa riottosità a parlarne, per timore di essere considerati pazzi – tengono a precisare che i loro racconti sono approssimativi ed il linguaggio è inadeguato a descrivere propriamente le esperienze che travalicano il nostro mondo terreno e le nostre stesse tre dimensioni[191].
3. Le ricerche e le esperienze descritte dimostrano quello che le religioni affermano, senza il supporto di esperienze concrete: la morte non è affatto una fine e non ha nulla di drammatico. Nel trapasso siamo accolti da Entità disincarnate, spesso parenti e Maestri, che non solo non si rammaricano per la nostra morte, ma anzi gioiscono della possibilità di riaverci con loro e ci aiutano ad ambientarci. E’ il passaggio ad uno stato diverso e generalmente assai migliore. Insomma morire è bello, non solo perché ce lo dice la fede, ma perché ce lo testimoniano tantissime esperienze.
4. Nel morire non c’è nulla da temere, a meno che non si sia condotta un’incarnazione delittuosa. La vita terrena è come un dramma, in cui recitiamo una parte e la morte è la nostra uscita di scena. Chi ha avuto un’esperienza di pre-morte, con visioni dell’Aldilà, generalmente riferisce di non aver più paura della morte[192], ma di attenderla con gioia e rimpiange di essere stato rianimato. La paura spesso è dovuta a mancanza d’informazione e soprattutto di conoscenza diretta. Ciononostante è umano che, in prossimità del trapasso, si possa avere un brivido di timore. E’ accaduto persino a Gesù ed al maestro di Paramahansa Yogananda: Shri Yukteswar, che disse: «Un uccello che ha trascorso tanto tempo nella stessa gabbia, esita sempre un po’ a lasciarla quando gli si apre la porta». Oltre alla conoscenza offerta da questo libro, un metodo più profondo di superare la paura della morte è la meditazione; non la meditazione sulla morte: la meditazione pura e semplice. A differenza delle spiegazioni e convincimenti razionali, la meditazione opera di per se su questo e su tanti altri aspetti della vita, indirettamente ed inconsciamente, ricollegandoci al nostro SE superiore ed ai valori eterni
dell’Essere.[193]
5. La vita non è limitata all’esistenza materiale sulla Terra, ma, al contrario, la maggior parte di essa si svolge fondamentalmente nell’Aldilà: una dimensione incorporea, a noi invisibile. E’ la vita terrena ad essere un’impegnativa avventura, che intraprendiamo per evolvere. Come vari Maestri insegnano: “La vita è un gioco”, a cui attribuiamo una eccessiva drammaticità, prendendone le vicende troppo seriamente, proprio come se tutto si esaurisse sulla Terra e se i nostri cari ci fossero tolti per sempre.[193b]
6. Lo stato disincarnato iniziale non consiste in una eterna contemplazione immobile. Nella maggioranza dei casi, è simile a quello terreno, ma assai più felice di quello corporeo, non essendoci le necessità alimentari, abitative, di riposo, di trasporto,
eccetera[194]. L’ambiente in cui ci si trova è normalmente assai più piacevole, con colori e suoni molto più vivaci ed in cui l’Amore è enormemente più presente che sulla Terra, insomma torneremo nel nostro Paradiso Terrestre. Quindi la locuzione, spesso usata in tono eufemistico: “passare a miglior vita” è sostanzialmente corretta, mentre è un non senso dire: <>. Il morto non è affatto un “poveretto”, ma, al contrario, un beato. La morte – volgarmente considerata dai superstiti come una perdita incolmabile – è invece, per il soggetto, la fine di un periodo faticoso e l’accesso al meritato riposo, in uno stato normalmente assai più piacevole. Anche di questo non ci rendiamo conto, perché la nostra mente razionale non ricorda quante volte e come siamo morti.
Certamente per i superstiti può essere un gran dolore, una mancanza incolmabile, ma il trapassato sta benone. Dunque la buona notizia è che, se siamo stati ragionevoli, non ci aspetta né l’inferno né il purgatorio, ma neppure il Paradiso nel senso più alto. Dovremo invece fare molte altre esperienze, nello stato incarnato o
disincarnato.[195]
7. Coerentemente con l’essenza di un Dio-Amore, nell’Aldilà ci troviamo in un atmosfera di grande pace ed amore. Dio ci ama con l’Amore di mille madri. Nessuno ci giudica, né ci condanna, o punisce, ma noi stessi, confrontandoci con l’Amore, che pervade quel mondo, ci rendiamo conto delle nostre limitazioni ed imperfezioni, ce ne pentiamo, ci perdoniamo e perdoniamo gli altri. Il “peccato” non è dunque un’offesa a Dio, ma un’occasione mancata, come nell’espressione comune, con cui la si indica, usando lo stesso termine[196] “che peccato!”. Se il pentimento (“Purgatorio”) non bastasse a superare quei problemi, decideremo eventualmente, con l’aiuto o la spinta amorevole di entità superiori, di reincarnarci in modi e situazioni atte a farci sperimentare e migliorare i nostri difetti. Solo chi è stato così totalmente egocentrico da odiare sempre tutti non può sopportare quell’atmosfera d’Amore e si rifugia in una condizione di tenebra, finché riuscirà a superarla[197]. Risulta anche che tale condizione di sofferenza in cui si troverà e che viene correntemente chiamata “Inferno”, non è eterna, ma temporanea; la sua durata dipende dalla sua stessa decisione di rivolgersi a Dio, chiedendo aiuto e sarà prontamente soccorso. Gli atei, o agnostici, non fanno differenza: non importa cosa si sia creduto, o che religione si sia seguita; conta solo come ci siamo comportati e perché (coerentemente con
l’insegnamento evangelico “non chiunque dice <> entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre
mio”)[198]. Questo non significa che la religione sia inutile, dato che le pratiche religiose e spirituali sincere aiutano molte persone a mantenersi vicini a Dio e lontane dal male.
8. Le informazioni paranormali ci presentano una gradazione molto ampia di stati incorporei, che vanno da uno stato molto simile a quello terreno a stati sempre più elevati e sottili, dove il corpo gradualmente perde forma e le gioie diventano sempre più divine. Questo modello concilia le concezioni del paradiso di religioni diverse, da quello mussulmano: più sensuale ed antropomorfico, a quello buddista: più eccelso ed impersonale. Quindi, anche se alcuni “redivivi” descrivono entusiasticamente la loro esperienza come un affaccio sul “Paradiso”, essi hanno probabilmente assaggiato solo il mondo astrale superiore, mentre gli stati superiori sono probabilmente assai più entusiasmanti!
9. La felicità non è di questo mondo; sulla Terra c’è solo un’alternanza di gioie e dolori. Lo stato incarnato è una vera e propria palestra impegnativa e provocatoria, che abbiamo scelto coraggiosamente per evolvere e non una condanna conseguente al “peccato originale”; se mai questo andrebbe interpretato come una scelta avventurosa, da cui Dio mise in guardia l’uomo. Lo scopo dell’incarnazione è di sperimentare la materia ed imparare ad esercitare l’Amore disinteressato – il quale è l’unico ad offrire una via per la felicità – anche in mezzo alle difficoltà terrene. Le “disgrazie” che ci capitano, ma che avevamo programmato, sono solo compiti che dobbiamo svolgere. Invece di una felicità piena, magari basata sull’ottenimento di ogni comodità e soddisfazione (cose che, peraltro, non possono saziare l’essere umano), possiamo avere una vita terrena godibile, se ci aspettiamo di fare delle esperienze
costruttive, anche se impegnative. A questo proposito sono stato piacevolmente sorpreso da una dichiarazione fatta dal cantautore Califano nel corso della trasmissione televisiva “Niente di Personale” (La7 del 7/1/2011); Califano, che fu imprigionato per tre anni e mezzo, per poi essere riconosciuto innocente, disse che non se ne rammaricava, ma prendeva quella come un’esperienza utile.
10. La nascita e la morte hanno il ruolo di semplice transizione tra uno stato e l’altro. Sono come l’inizio e la fine di un anno scolastico. Similmente per molti alunni, specie elementari, l’inizio è più sofferto della fine, a causa dei timori del distacco dalla famiglia per diverse ore e dell’ambiente nuovo in cui si deve stare; la fine dell’anno è in genere gioiosa, almeno per gli studenti che abbiano avuto un profitto sufficiente. Alcuni autori paragonano l’esperienza del tunnel, sperimentato in occasione della morte, al passaggio nel canale del parto, durante la nascita. Il parallelo tra nascita e morte viene ribadito dall’usanza, presente in varie popolazioni primitive, di seppellire i morti in posizione fetale.[199] Altri non concordano con questa idea [199b]
11. I due stati: quello incarnato e quello più comune dell’Aldilà, si potrebbero paragonare alla scuola ed alle vacanze: si va a scuola per imparare, sebbene ciò sia impegnativo, laborioso e fonte di ansia e di stress, poi si riposa andando in vacanza e dedicandosi ad attività piacevoli, ludiche, o anche impegnative, ma meno stressanti. Quest’ottica chiarisce anche come sia inutile, anzi dannoso, suicidarsi, come potrebbe venire in mente a qualcuno che legga queste argomentazioni, scoprendo quanto sia bello l’Aldilà. Infatti suicidarsi sarebbe come smettere di andare a scuola, dato che la vacanza è più piacevole; così facendo si sarebbe bocciati, col risultato di dover ripetere l’anno scolastico: la vacanza è un giusto riposo solo dopo lo svolgimento del proprio percorso di apprendimento. E’ sorprendente notare che il modello scolastico, che sembrerebbe una teoria inventata per spiegare i meccanismi della vita, trovi riscontro nella mente – pur impreparata su questi temi – di uno dei “redivivi” esaminati dai ricercatori britannici Peter ed Elizabeth Fenwick (i quali studiarono oltre 350 rapporti, forniti da persone che subirono una NDE) [199c]; egli riferì che scelse di ritornare nel corpo, nonostante l’attrattiva dell’Aldilà, come uno scolaro che sceglie di restare al tavolo, a finire i compiti anziché andare a giocare. Un’altra signora disse che la descrizione più fedele della sua esperienza è quella del sentimento di una ragazza all’ultimo giorno di scuola, cosciente di avere davanti a sé un lungo periodo di vacanza, di libertà e di sole.
12. L’ignoranza del modello scolastico, l’oblio che caratterizza l’incarnazione, con conseguente scomparsa del ricordo delle vite precedenti e dello stato disincarnato intermedio, complicato dalla difficoltà di comunicazione tra i due stati, sono fonte di equivoco, rimpianto ed attaccamento esagerato allo stato incarnato, tanto da augurarsi ed augurare ai propri cari di vivere più a lungo possibile; ma – sebbene la scuola sia utile ed interessante – chi vorrebbe restare nella stessa scuola e nella stessa classe per sempre? Un altro aspetto importante di questo parallelo sta nel fatto che lo stato incarnato è come una scuola multiclasse, come accade in certi paesini dove il numero degli alunni di ciascuna età è insufficiente ed antieconomico per formare una classe ed allora vengono tenuti insieme bambini di varie classi, facendo loro svolgere compiti di diversa complessità. Analogamente in Terra siamo tutti messi insieme: entità di livello evolutivo diverso, sia nella società che nella famiglia, per imparare a convivere e per apprendere gli uni dagli altri. In famiglia convivono persone di età, sviluppo e cultura diversa; tuttavia se un bambino piccolo sporca lo si accetta, considerando la sua età, mentre si richiede di meglio per un figlio più grande. Nella società di adulti, appariamo tutti uguali e ci aspetteremmo
comportamenti simili, per educazione, maturità, legalità, moralità, ma – così facendo – dimentichiamo che la realtà è diversa, che non siamo tutti uguali e che siamo qui per imparare a tollerarci a vicenda, anzi ad amarci, come in genere accade in famiglia. I bambini in genere si comportano con egocentrismo, emotività, aggressività, possessività, ecc., ma gli adulti lo sanno e lo accettano, coscienti che col crescere fisicamente, intellettualmente e con l’educazione, essi evolveranno. Questo parallelo può aiutarci a comprendere e comportarci con più tolleranza. Questo non significa accettare supinamente tutto, ma possiamo segnalare eventuali errori a chi si comporta male ed anche invocare provvedimenti adatti, come si fa in famiglia: se un bimbo sbaglia gli si dice e se persiste si possono (e si devono) adottare punizioni, da parte dell’autorità competente, nell’interesse della collettività e della sua stessa crescita.
13. Un altro equivoco molto diffuso è quello di associare la malattia e la sofferenza alla morte. Molti pensano <>; ebbene le esperienze prevalenti smentiscono anche tale pericolo, anzi ci svelano che la coscienza viene staccata dal corpo fisico ancor prima di un eventuale evento traumatico [199d].Le due cose sono separate ed indipendenti: la malattia e la sofferenza possono colpirci in ogni momento, anche se non sono mortali, anzi aumentano le nostre difficoltà se restiamo in vita. La morte, invece, pone fine ad ogni sofferenza fisica ed è indolore di per sé; anzi è apportatrice di gioia. Perfino le morti violente, o l’affogamento, che può spaventare molti, sono generalmente indolori, giacché l’incidentato perde spesso la coscienza corporea al primo impatto. Questo può consolare molto i superstiti, che possono confidare nel fatto che i loro cari – a dispetto delle apparenze – non soffrirono nel trapasso.
14. La nascita – comunemente considerata dagli altri come un “lieto evento” – è, invece, spesso percepita dal soggetto come dolorosa e sgradevole; non ce ne rendiamo conto perché quell’evento è
generalmente dimenticato dalla nostra mente cosciente adulta. Si può cercare di attenuare lo shock del neonato mediante qualche
accorgimento, quale: tenere le luci soffuse, la temperatura della sala parto elevata, le voci basse; lavare il neonato rapidamente, con acqua calda e deporlo al più presto sul petto della mamma. Ella, infatti, dovrebbe accarezzare e massaggiare dolcemente il suo bambino per rassicurarlo, trasmettergli amore ed energia.[200] Recentemente pare si stia diffondendo un revival del parto in casa, in ambiente familiare, senza freddezze, artifici e tubi aspira muco. Esso va – magari senza saperlo – nel senso di agevolare la nascita al neonato, oltre che il parto per la puerpera.
15. Sembrano esserci delle simmetrie tra nascita e morte:
* nel nascere passiamo attraverso un tunnel fisico: il canale del parto, o incorporeo, come sostengono altri; morendo attraversiamo un tunnel analogo, che ci riporta nell’Aldilà.
* in prossimità della nascita, l’anima si aggira attorno al corpo, entrandovi ed uscendone; in prossimità della morte – se non è istantanea e traumatica – l’anima comincia ad affacciarsi nell’Aldilà, lasciando momentaneamente il corpo e sperimentando alcune proprietà dell’anima disincarnata.
16. Il momento della morte è caratterizzato dall’incontro con entità angeliche, o divine, o che furono Maestri, parenti ed amici del morente e che lo accompagnano ed aiutano nella transizione. Essi sono particolarmente numerosi ed attivi in caso di incidenti e catastrofi, per tranquillizzare chi si trovasse spaesato o terrorizzato in prossimità della morte o subito dopo. E’ perciò consigliabile evitare di distrarre il moribondo da quell’incontro, o cercare di trattenerlo con manifestazioni di dolore ed attaccamento. Meglio accompagnarne la dipartita, con compostezza, preghiere, gesti e pensieri affettuosi. I parenti che si siano trovati lontani dal morente al momento del trapasso non devono coltivare sensi di colpa: probabilmente la circostanza è stata voluta dalla provvidenza, o dal morente stesso, per agevolarne la dipartita, specie se il loro attaccamento poteva generare disperazione, o eccessivo desiderio di trattenere la persona in vita.
17. Per lo stesso motivo, se veramente si ama il defunto, è bene accettarne la dipartita e superare il dolore della separazione; esso ed il relativo stato depressivo causano infelicità e depressione allo stesso defunto, che diciamo di amare e ne frenano l’evoluzione [200b]. Bene fanno gli abitanti di New Orleans, che accompagnano lietamente il feretro con la banda jazz. Del resto la partecipazione al funerale – che nella comune accezione sembra un atto di affetto al defunto – non ha molto senso per lui, a cui potremmo meglio collegarci con atti di pensiero affettuoso, anziché con una presenza materiale. Il funerale serve, per lo più, a far sentire la propria vicinanza ai familiari ed eventualmente a testimoniare agli altri il proprio affetto e stima per il defunto.
18. Il detto popolare, secondo cui un defunto “si rivolterebbe nella tomba” se vedesse ciò che i parenti fanno, è da mettere da parte, sia perché l’ipotetica “se vedesse” non è applicabile, dato che i defunti effettivamente possono vedere ciò che avviene in Terra, se coinvolti, sia perché i resoconti di chi ha subito una NDE ci dicono, che in genere, il corpo lasciato e le vicende terrene scompaiono dagli interessi del morente a confronto con le visioni dell’Aldilà. In ogni caso al moribondo andrebbe consigliato di allentare gli attaccamenti alla Terra, quali affetti, preoccupazioni e possessi, che possono rendergli più difficile il passaggio e di ignorare la sorte del corpo fisico in disfacimento[201]. In realtà, la maggior parte dei morenti, che l’ha potuto riferire, osserva il proprio corpo separato da se, con disinteresse, o addirittura con ripugnanza. Perciò le cure e gli onori che attribuiamo ai cadaveri dei nostri cari hanno significato solo per noi e per i nostri attaccamenti (a meno di casi particolari di defunti che restino attaccati alla Terra ed aspettino i parenti al cimitero)[202]. La sepoltura, con la relativa coda delle visite cimiteriali è comprensibile, ma tende a mantenere una relazione col corpo del caro defunto e con le sue cose, che ci danneggia, come disse anche Gesù[203]. L’aspetto positivo di ciò può essere trovato nel fatto di rammentarci di pregare per lui, ma faremmo meglio a collegarci ai nostri defunti col pensiero, senza la necessità di stimolare il ricordo con le visite al campo santo. In tal senso mi sembra che la cremazione e successiva dispersione delle ceneri nel mare, o altro specchio d’acqua, sia una pratica più consona, oltre che da un punto di vista materiale, soprattutto sotto il profilo di un avanzamento spirituale dei superstiti.
19. La morte, dunque, risulta un passaggio di sollievo verso uno stato assai attraente e di gran lunga migliore, tanto da far rimpiangere ai pazienti di essere stati rianimati. Perciò – nonostante la vita sia un bene prezioso ed una grande opportunità – è opportuno evitare l’accanimento terapeutico, che tende a mantenere in vita ad ogni costo e spesso in condizioni penose chi potrebbe e preferirebbe passare a miglior vita. Questo naturalmente non significa incoraggiare l’eutanasia, che sarebbe un atto – deliberato e pericoloso per chi lo commette – di soppressione di una vita il cui prolungamento può avere motivi ben precisi, sebbene a noi ignoti. Ciò vale, naturalmente, per ogni forma di omicidio, che può anche essere un bene per la vittima, ma può danneggiare molto chi lo commette; infatti ogni azione genera delle conseguenze, come ampiamente descritto e documentato nel mio libro “Reincarnando s’impara”. In caso di malattie terminali supposte dolorose, è possibile ricorrere a cure palliative, oggigiorno disponibili anche a domicilio, attraverso varie organizzazioni volontarie gratuite[205].
20. Lo stato dei trapassati consisterebbe fondamentalmente
nell’essersi liberati dal corpo fisico, con tutte le sue limitazioni e difetti (incluse malattie e mutilazioni) e poter vivere ed operare nel corpo astrale, o nei corpi superiori, dimostrando un’età apparente di circa trenta anni. I disincarnati sono liberi dalle necessità della vita materiale, che angustiano gli incarnati, come procurarsi cibo, vestiti, casa, cure mediche e qualsiasi altra necessità, dato che possono ottenere qualsiasi cosa, col solo richiederla nella loro mente. Anche la compagnia è ideale, perché non sono mescolati con soggetti di ogni livello evolutivo, ma automaticamente si trovano in compagnia di entità della loro stessa evoluzione.
Le descrizioni di tante persone che ebbero una NDE menzionano sempre il senso di leggerezza del corpo astrale rispetto a quello fisico e mi fanno venire in mente un paragone con un’armatura (o uno scafandro da palombaro): se indossassimo un’armatura, faremmo fatica a portarla in giro, saremmo impacciati e lenti nel camminare, limitati nei movimenti e nella visione, oppressi dal caldo sotto il sole; insomma non vedremmo l’ora di togliercela e liberarcene! La possibilità di viaggiare ed operare con i corpi sottili è disponibile –
temporaneamente, o stabilmente, casualmente, o deliberatamente – anche per le entità incarnate, purché esse sviluppino e purifichino i loro corpi superiori. Questa osservazione può dire molto sulle facoltà e poteri dei mistici e dei maestri, fornendoci una spiegazione razionale di tali fatti, normalmente considerati “miracolosi” ed avvolti dal mistero.
21. Le informazioni di chi ha sperimentato la morte da vicino ci suggeriscono come comportarci per evolvere più in fretta e senza sbalzi, confermando gli insegnamenti dei maestri spirituali: occorre mettere da parte l’egoismo, privilegiare l’Amore disinteressato, trascurando il moralismo, rispettando le scelte altrui, senza intromettersi nella loro vita, neppure “a fin di bene”, perché ognuno deve imparare da sé. In contrasto con la moda corrente, diventare una persona di successo sulla Terra non ha alcuna importanza per l’evoluzione ed una vita orientata verso i conseguimenti materiali è un fallimento.
Le uniche cose che contano alla fine di ogni nostra incarnazione, gli unici bagagli che possiamo portarci dietro, sono: le conoscenze acquisite, le esperienze fatte e l’Amore esercitato.
22. In base all’esperienza di Von Jankovich, nella vita ci conviene evitare d’imporre agli altri – generalmente ai nostri figli – le nostre scelte e desideri, per non pentircene poi. Infatti ognuno deve fare le proprie esperienze e seguire la propria vocazione. Non ci possiamo sostituire – se pure a fin di bene – alla vita degli altri.
23. Rivedere la propria vita durante il coma è un evento raro, ma provvidenziale, una grazia particolare; è un mezzo in più per comprendere la vita, oltre a quello delle regressioni, che possono fornirci il mezzo per capire perché ci accadono certe cose. Queste esperienze mettono in luce i nostri difetti, le conseguenze dei nostri comportamenti e ci aiutano a correggerli, per evolvere più
rapidamente. Perdonare è anche molto importante, per evolvere e non restare abbarbicati a problemi del passato.[206] Chi torna nel corpo dopo un episodio di NDE, specialmente se ha sperimentato la rassegna della sua vita, generalmente prosegue la sua incarnazione con una comprensione superiore della VITA, riguardo al:
suo scopo, che è il progresso nell’Amore
proprio valore, come entità amata incondizionatamente da Dio, con l’autostima che ne deriva
valore delle esperienze che ha fatto o può fare
peso delle sue azioni, pensieri, parole e relazioni
motivo di tanti avvenimenti, sofferenze, condizionamenti, convenzioni, aspettative altrui
Tale esperienza risulta assai più pregnante e risolutiva di ogni psicoterapia ed anche di una serie di regressioni[207]. Chi ebbe una NDE diventa poi spontaneamente più pronto ad immedesimarsi nei sentimenti altrui.[208] Tutto ciò è anche una prova indiretta della veridicità delle NDE, che sono convalidate dai loro frutti.
24. Le informazioni raccolte ed esposte in questo libro, oltre che offrire una nuova prospettiva della morte e della nascita, ci propongono una visione assai diversa e più ampia della vita, in tutte le sue fasi ed evoluzioni, conferendole un respiro di grandezza ineguagliabile, sulla base di dati non più solo fideistici, ma anche esperienziali.
25. Da quanto esposto e, soprattutto dall’esperienza di Von Jankovich, si possono dedurre delle regole per l’assistenza ai moribondi: star loro vicino, con discrezione ed affetto[209], ma solo se lo desiderano, altrimenti lasciarli morire in pace; assisterli nelle loro necessità e pregare per loro; evitare l’accanimento terapeutico. I parenti ed i sanitari dovrebbero sapere che le persone, anche se moribonde o in coma, non sono necessariamente “prive di conoscenza”, ma spesso sono ben deste nel loro corpo astrale e possono vedere e sentire tutto come e meglio di una persona vigile. Perciò occorre trattare le persone in tale stato con rispetto e discrezione, evitando di dire o fare cose che non si farebbero con persone sane e coscienti. Infine è ora di smetterla di considerare chi riferisca esperienze di questo tipo come uno che abbia dei problemi psichici, o allucinazioni.
Anche altri autori si esprimono in tal senso.[210]
Cesare Boni, nel suo libro “Dove va l’anima dopo la morte”, riassume alcune accortezze generali, da usare nell’assistenza ai moribondi: essi andrebbero “accompagnati”, specie nella fase finale, da persone che credono esse stesse nella bellezza dell’Aldilà e nella benignità della morte, in modo che non vi siano neppure comunicazioni
non-verbali, di timori contrari; questo atteggiamento dovrebbe essere concordato e, per quanto possibile, fatto proprio da tutti i familiari.. L’assistenza dovrebbe essere silenziosa e amorevole; occorre soprattutto ascoltare; nel silenzio, si può usare il suono “SHHH” (come per incoraggiare il silenzio); tale suono induce uno stato di pace (è, infatti, la radice della parola “pace” in alcune lingue, come l’ebraico “shalom” o il sanscrito “shanti”). Solo su richiesta del moribondo si dovrebbero dare risposte rassicuranti, ma non mendaci, cercando di ricondurre la memoria del morente ad esperienze felici della sua vita. Evitare di fare discorsi teorici per cercare di convincere intellettualmente il moribondo e – peggio ancora – di convertirlo ad idee non sue; non indicare eventuali dati di prognosi temporali sulla durata residua di vita. Suonare eventualmente musica scelta dal morente, possibilmente un mantra, o una litania gioiosa. Dopo la morte il corpo dovrebbe essere lasciato in pace per almeno 24 ore, continuando ad assisterlo, suonando la musica preferita e pregando. Evitare l’affollamento di visitatori nella stanza del morto, specie se affranti, o se lo si fa per una semplice formalità.
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