Morte: la grande avventura 1

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Morte: la grande avventura 1

(Citazioni dai volumi di Alice A. Bailey – compilato da due studenti)

– Parte prima –

“Ricorda, o discepolo, che entro le sfere conosciute null’altro esiste
che la luce, reatti­va alla PAROLA. Sappi che la luce scende e si
concentra; che dal punto focale prescel­to illumina la sua sfera;
sappi che la luce sale e abbandona alle tenebre ciò che – nel tempo e
nello spazio – ha rischiarato. Questo scendere e salire è chiamato
vita, esisten­za, morte dagli uomini; ma Noi, che camminiamo sulla Via
illuminata, lo chiamiamo morte, esperienza, vita”.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° Guarigione Esoterica, 468)

PARTE I

Questo nostro ciclo attuale è appunto la fine di un’era, e nei
prossimi duecento anni la morte, la grande transizione, come è
compresa ora, sarà abolita, e verrà stabilito il fat­to dell’esistenza
dell’anima.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. I° Psicologia Esoterica, 96)

L’anima sarà conosciuta come un’entità, come l’impulso motivante ed il
centro spirituale sottostante ad ogni forma manifesta. Nei prossimi
decenni alcune grandi cre­denze verranno convalidate. Opera del Cristo
e Sua missione principale di duemila anni or sono, fu di dimostrare le
possibilità ed i poteri divini latenti in ogni uomo. La sua
proclamazione che siamo tutti figli di Dio ed abbiamo un solo Padre
universale, in futu­ro non sarà più considerata come una bella
affermazione mistica e simbolica, ma come una dichiarazione
scientifica. La fratellanza universale e l’immortalità essenziale
saran­no comprovate come fatti di natura.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. I° – Psicologia Esoterica, 96)

Ci vuole coraggio per affrontare l’evento della morte e per formulare
con preci­sione le proprie credenze su tale soggetto. La morte è il
solo avvenimento che possiamo predire con certezza assoluta, eppure è
l’avvenimento a cui la maggior parte degli esseri umani si rifiuta
categoricamente di pensare, fino a quando non debba affrontarlo
perso­nalmente. La gente affronta la morte in molti modi; alcuni vi
associano un sentimento di autocommiserazione, e sono talmente
preoccupati da ciò che debbono lasciare, da ciò che ha fine con loro e
dall’abbandono di tutto ciò che hanno ammassato nel corso della loro
esistenza, che il vero significato dell’inevitabile futuro che li
attende sfugge total­mente alla loro attenzione. Altri l’affrontano
con coraggio, comportandosi nel migliore dei modi visto che non vi è
mezzo per sfuggirvi e la guardano in faccia con atteggia­mento nobile,
perché altro non possono fare. Il loro orgoglio li aiuta ad affrontare
la cir­costanza. Altri ancora rifiutano categoricamente di
considerarne la possibilità; essi ipno­tizzano se stessi ponendo la
loro coscienza in uno stato di assoluto rifiuto del pensiero della
morte, così che quando essa sopraggiunge, li sorprende all’improvviso;
essi sono senza aiuto e non possono fare altro se non morire.
L’atteggiamento cristiano, di regola, si traduce più precisamente in
un’accettazione della volontà di Dio, con la risoluzione di
considerarla come il migliore degli avvenimenti, anche se tale non
appaia dal punto di

vista dell’ambiente e delle circostanze. Una fede solidamente ancorata
in Dio e nei Suoi disegni relativi all’individuo porta i credenti a
varcare trionfalmente le soglie della mor­te, ma se qualcuno dicesse
che questa non è altro che una forma diversa del fatalismo orientale
ed un fermo credo in un destino inalterabile, essi lo negherebbero
decisamente. Costoro si nascondono dietro il nome di Dio.

La morte può, tuttavia, essere assai di più di tutto questo e può
essere accolta in modo differente. Le si può assegnare un posto
preciso nel nostro pensiero e nella nostra vita, e possiamo prepararci
ad essa come ad una cosa inevitabile, ma semplicemente Portatrice di
Trasformazione. In tal modo facciamo del processo della morte parte
inte­grante del piano della nostra vita. Noi possiamo vivere con la
coscienza dell’immortalità e ciò aggiungerà colore e bellezza alla
nostra vita; possiamo alimentare la coscienza del nostro futuro
trapasso e vivere nell’attesa del suo prodigio. La morte così
prospettata e considerata come il preludio di una nuova esperienza
vivente assume un significato di­verso. Essa diventa un’esperienza
mistica, una forma d’iniziazione, che troverà il suo punto culminante
nella crocifissione. Tutte le precedenti rinunce minori, tutte le
morti anteriori non sono che il preludio di questo stupendo episodio
del morire. La morte ci porta la liberazione – forse temporanea
sebbene alla fine permanente – dalla natura del corpo, dall’esistenza
sul piano fisico e dalla sua esperienza visibile. Essa ci libera dalla
limitazione; e sia che si creda (come milioni di persone) che la morte
non è che un inter­ludio in una vita di esperienza costantemente
acquisita, oppure il termine di ogni espe­rienza di tal genere (come
credono altrettanti milioni di persone) non si può negare che essa
segni una precisa transizione da uno stato di coscienza ad un altro.

(Da Betlemme al Calvario, 240/2)

Gli studiosi di religione studieranno il lato della manifestazione che
chiamiamo “il lato vita”, così come gli scienziati studiano quello
chiamato “materia”; entrambi giunge­ranno a capire lo stretto rapporto
esistente fra i due, e così la vecchia scissione e l’antica guerra fra
scienza e religione saranno temporaneamente sospese. Si useranno dei
metodi precisi per dimostrare il fatto che la vita persiste dopo la
morte del corpo fisico, e al tes­suto eterico sarà riconosciuta la sua
effettiva importanza.

(Il Trattato sul Fuoco Cosmico – 429)

Primo passo per convalidare il fatto dell’anima è di stabilire la
sopravvivenza, sebbene ciò non comprovi necessariamente l’immortalità.
Può tuttavia essere considera­to un passo nella giusta direzione. Che
qualcosa sopravviva alla morte e persista dopo la disintegrazione del
corpo fisico, è dimostrato di continuo. Se così non fosse, saremmo
allora vittime di un’allucinazione collettiva, e le menti e i cervelli
di migliaia di persone sarebbero falsi ed illusi, malati e deformi. È
più difficile prestar fede alla possibilità di una tale gigantesca
pazzia collettiva che non all’alternativa di una coscienza in fase di
espansione. Comunque, questo sviluppo fisico non dimostra l’esistenza
dell’anima, ser­ve unicamente ad abbattere la posizione
materialistica.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. I¡ – Psicologia Esoterica, 98/9)

Il problema della morte, inutile dirlo, si annida nell’amore per la
vita, che è l’istinto più radicato della natura umana. La scienza
riconosce che “nulla si perde, nulla si distrugge”, per legge divina;
e generalmente si tiene per vera la persistenza eterna. Fra le molte
teorie, tre sono le principali, ben note a chiunque pensa:

1. Il materialismo rigido, che postula l’espressione e l’esperienza di
una vita cosciente fintanto che esiste e dura la forma tangibile, ma
insegna che dopo la morte e la disin­tegrazione del corpo non resta un
ente consapevole, vivente, identificato. Il senso dell’“io”, di una
personalità distinta dalle altre, scompare con la forma; non è che la

coscienza totale delle cellule corporee. È una teoria che pone l’uomo
allo stesso li­vello degli altri regni naturali; basa
sull’insensibilità dell’uomo comune alla vita, quando priva di veicolo
tangibile; ignora qualsiasi evidenza contraria e afferma che l’“io”,
cioè l’entità immortale, non esiste perché non lo si può né vedere né
toccare. Ma oggi quelli che sostengono questa teoria non sono più così
numerosi come in passato, specie nell’epoca vittoriana e
materialistica.

2. L’immortalità condizionata, proposta da alcune scuole teologiche
alquanto ristrette e da pochi intellettuali, caratterizzati da un
certo egoismo. Essa sostiene che il dono dell’immortalità personale è
concesso solo a chi è pervenuto a un certo livello di co­scienza
spirituale, od osserva una serie di precetti teologici. Alcuni, di
notevoli doti intellettuali, dicono talora che il supremo bene
dell’uomo è una mente colta e prepa­rata, e chi la possiede vive in
eterno. Una scuola condanna tutti quelli che giudica re­calcitranti o
spiritualmente negati alle sue particolari certezze teologiche ad una
pena eterna o all’annientamento, proprio come il materialismo, e nello
stesso tempo postu­la una forma d’immortalità. Ma il cuore umano ha
una sua bontà innata, e pertanto sono ben pochi coloro, vendicativi e
a tal punto privi di giudizio, che accettano que­sta dottrina:
naturalmente fra questi dobbiamo annoverare quegli uomini, incapaci di
pensare, che evadono ogni responsabilità mentale e ciecamente si
affidano ad una te­ologia. L’ortodossia cristiana non riesce a
sostenere le sue tesi di fronte all’indagine chiara e ragionata; fra
gli argomenti che ne demoliscono i cardini sta il fatto che essa
postula un eterno futuro, ma senza un passato; quel futuro dipende
solo dalle azioni della vita episodica presente, e non spiega affatto
le differenze che si notano fra gli uomini. È una teoria che può
sostenersi solo nell’ipotesi di una divinità antropomorfa che in
pratica dà un presente, con un avvenire ma senza passato; che ciò sia
ingiusto è largamente ammesso, ma la volontà di quel Dio è
inscrutabile e non la si discute. Milioni di uomini aderiscono a
questa credenza, ma essa non è più così salda come solo cent’anni fa.

3. La dottrina della reincarnazione, familiare ai miei lettori e
sempre più popolare in Occidente; sempre ritenuta vera (nonostante
molte aggiunte e interpretazioni puerili) in Oriente. È un
insegnamento che ha subito gravi distorsioni, come accadde a quello
del Cristo, del Buddha o di Sri Krishna, da parte dei seguaci e dei
teologi di limitata visione mentale. Le grandi verità di un’origine
spirituale, di una discesa nella mate­ria, da cui si risale mediante
ripetute incarnazioni nella forma, sino a che questa e­sprima a
perfezione la coscienza spirituale che l’abita, e di una serie di
iniziazioni a compimento di tale ciclo, sono oggi accettate e ammesse
con prontezza senza prece­denti.

Tali sono le soluzioni principali date al problema dell’immortalità e
persistenza dell’anima umana; esse rispondono alle eterne domande del
cuore: donde veniamo? perché? Dove andiamo?

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica, 400/2)

Fra non molti anni il fatto della persistenza e dell’eternità
dell’esistenza sarà usci­to, dalla zona di dubbio, per entrare nel
regno della certezza… Nessuno dubiterà che l’abbandono del corpo
fisico impedisca all’uomo di continuare ad essere un’entità vi­vente e
cosciente. Si saprà che perpetua la propria esistenza in un mondo
retrostante quello fisico. Si saprà che è ancora vivo, desto e
consapevole. Questo fatto sarà dimo­strato in modi diversi.

a. Nell’occhio fisico umano si svilupperà una capacità… che svelerà
il corpo eterico… e gli uomini saranno visti occuparlo.

b. L’accrescersi in numero di coloro che sanno usare l’“occhio
singolo”, talvolta chia­mato il “terzo occhio riaperto”, contribuirà a
dimostrare l’immortalità, poiché essi vedranno facilmente anche l’uomo
che si è liberato del corpo eterico, come di quello fisico.

c. L’immortalità sarà comprovata anche da una scoperta nel campo
della fotografia…

d. Mediante la radio… usata da coloro che sono defunti, si potrà
alfine stabilire una via di comunicazione, su vere basi scientifiche.

e. L’uomo si aprirà ad una percezione e ad un contatto che gli
consentiranno di vedere attraverso, il che svelerà la natura della
quarta dimensione, e fonderà i mondi ogget­tivo e soggettivo in un
nuovo mondo. La morte perderà i suoi poteri, e questa paura

sarà finita. (Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° –
Guarigione Esoterica, 412/3)

È chiaro che quando l’umanità perverrà a quest’intendimento sulla
morte e sull’arte di morire subirà grandi e benefici mutamenti. Col
trascorrere del tempo, infatti, gli uomini saranno fra loro in
rapporto telepatico; cresceranno d’intelligenza, saranno sempre meglio
focalizzati nella mente. La telepatia sarà allora un fenomeno comune
ed ordinario, la cui premessa sta nell’attuale spiritismo, che però è
distorto (e gravemente), si basa sul desiderio umano, e la telepatia
vi ha parte molto modesta. Infatti, la telepatia oggi esistente fra il
medium (sia questi o no in “trance”) e il parente o l’amico defunto
non collega quest’ultimo con chi ancora vive nella forma. Ricordatelo.
In questo perio­do di transizione, la mente non è di norma telepatica,
ma può verificarsi (seppure molto di rado) un’azione mediatrice basata
sulla chiaroveggenza e sulla chiaroudienza, ma non sullo stato di
“trance”. Perché il contatto avvenga si richiede un terzo elemento, di
natu­ra astrale, e pertanto molti errori e illusioni si fanno
possibili. Sarà però sempre un pro­gresso rispetto alle attuali sedute
medianiche, ove s’ignora del tutto il defunto e all’interrogante viene
risposto solo ciò che il medium legge nella sua aura: il ricordo delle
sembianze personali, varie rimembranze presenti nella sua coscienza,
nonché il desiderio di ricevere consiglio, poiché generalmente si
crede che chi è trapassato, per questo solo fatto sia più saggio di
prima. Il medium riesce a stabilire un vero rapporto quando sia il
defunto che l’interrogante sono di natura mentale, e quindi egli non
fa che intercettare una vera e propria comunicazione telepatica in
atto tra loro.

L’umanità progredisce, si eleva e si fa sempre più mentale. Il
rapporto tra il vivo e il morto deve già preesistere a questo livello,
prima dei processi di integrazione; la co­municazione si interrompe
veramente solo quando l’anima umana è riassorbita nella su­per-anima,
prima della successiva incarnazione. Ma la verità dell’esistenza di un
consi­mile rapporto basterà a distruggere ogni timore della morte. Per
i discepoli attivi nell’Ashram di un Maestro, anche il processo
d’integrazione non costituisce ostacolo.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica, 395/6)

In questo modo, nel mondo vedremo sorgere progressivamente un grande
corpo di psichici preparati, i cui poteri saranno compresi e che
opereranno sul piano astrale con la stessa intelligenza con cui
operano sul piano fisico, e che si prepareranno ad esprime­re i poteri
psichici superiori: la percezione spirituale e la telepatia. Queste
persone costi­tuiranno infine un corpo di anime di collegamento,
mediatrici tra coloro che non posso­no vedere e udire sul piano
astrale perché prigionieri del corpo fisico e coloro che sono
ugualmente prigionieri del piano astrale, mancando dell’apparato
fisico di risposta.

Ciò che realmente occorre, non è quindi il cessare di consultare e
formare i nostri psichici e medium, ma l’istruirli in modo corretto e
proteggerli con intelligenza, colle­gando così, per mezzo loro, il
mondo fisico e quello astrale.

(Esteriorizzazione della Gerarchia – 15)

Prima che si concluda il prossimo secolo, la morte, finalmente, sarà
intesa come non esistente, almeno nel senso attuale. La continuità di
coscienza sarà allora così diffusa e sviluppata, e tanti saranno gli
uomini di notevole levatura capaci di vivere simulta­neamente nei due
mondi, che l’antica paura della morte sparirà, e i rapporti fra piano
fi­sico e astrale saranno cosi accertati e controllati
scientificamente che le attività medianiche, grazie al cielo,
cesseranno del tutto. (Trattato di Magia
Bianca, 301)

Qui vorrei anche far notare che lo stato di trance medianica, come è
chiamato, do­vrà inevitabilmente essere sostituito dalla medianità
offerta dall’uomo o dalla donna chiaroveggente o chiaroudiente sul
piano astrale, e che perciò può offrirsi, in piena co­scienza di
veglia e col cervello fisico attento ed attivo, come intermediario tra
gli uomi­ni nel corpo fisico (e perciò ciechi e sordi sui livelli più
sottili) e quelli che, avendo ab­bandonato il corpo, sono esclusi
dalla comunicazione fisica. Questo tipo di psichico può comunicare con
entrambi i gruppi e il suo valore e la sua utilità come medium sono
in­calcolabili, se è devoto ad una sola causa, se è altruista, puro e
dedicato al servizio. Ma durante la formazione cui si sottomette deve
evitare gli attuali metodi negativi e, invece di “sedere per
svilupparsi” in un vuoto silenzio d’attesa, deve tentare di operare
attiva­mente come anima, rimanendo in possesso cosciente e
intelligente del meccanismo infe­riore del suo corpo; deve sapere
quale centro del corpo usa mentre opera psichicamente e deve imparare
ad osservare, come anima, il mondo dell’illusione in cui si accinge ad
operare; dalla sua posizione elevata e pura veda con chiarezza, oda
veramente e riferisca accuratamente, e così serva la sua epoca e la
sua generazione e faccia del piano astrale un luogo abituale e ben
conosciuto d’attività, abituando il genere umano ad uno stato di
esistenza in cui si trovano i suoi simili, sperimentando, vivendo e
seguendo il Sentiero.

(Esteriorizzazione della Gerarchia 12/3)

Nella prossima era dell’Acquario vedremo l’umanità creare una cultura
sensibile ai valori spirituali più sottili ed elevati, una civiltà
libera dall’annebbiamento astrale e da gran parte dell’illusione che
oggi caratterizza i popoli ariani, e una vita razziale incarna­ta in
queste forme che colmeranno la lacuna oggi esistente; sarà liberata
dalle peggiori malattie conosciute oggi, sebbene la morte e certe
forme di collasso corporeo che pos­sono infine portare alla morte
saranno naturalmente ancora prevalenti. La vittoria sulla morte non
dipende dall’eliminazione dei mali del corpo, ma dallo stabilire la
continuità di coscienza che porta dal piano fisico della vita
all’esistenza soggettiva interiore. I gruppi di questo terzo tipo
possono essere custodi di questo stato d’essere, e perciò il lo­ro
problema è di sviluppare la continuità di coscienza che “aprirà le
porte della vita e scaccerà la paura di ciò che è conosciuto e di ciò
che scompare”.

(Esteriorizzazione della Gerarchia 44/5)

PARTE II

Le nostre idee sulla morte sono errate; la consideriamo come qualcosa
di triste e di pauroso, mentre in realtà essa è la grande liberatrice,
che ci permette di entrare in una sfera di attività più ampia, è la
liberazione della Vita dal veicolo cristallizzato e da

una forma inadeguata.
(La coscienza dell’Atomo – 64/5)

Consideriamo ora la salvezza della natura corporea mediante la morte.

Definiamo dunque questo processo misterioso cui vanno soggette tutte
le forme, e che tanto sovente – poiché non lo si comprende – viene
temuto come l’atto finale. La mente umana è ancora poco sviluppata, sì
che il terrore dell’ignoto e dell’insolito e l’adesione alla forma,
hanno prodotto una situazione tale per cui uno degli eventi più

benefici del ciclo vitale del Figlio di Dio che si incarna è
considerato come qualcosa da evitare e posporre quanto più possibile.

La morte, se solo poteste rendervene conto, è una delle attività più
consuete. Sia­mo morti molte volte, e torneremo a morire. È un
fenomeno che riguarda essenzialmen­te la coscienza. In un dato momento
siamo consci del mondo fisico, e l’istante dopo siamo ritratti in un
altro mondo, impegnati in altre attività. Finché la coscienza
s’identifica con la forma, la morte conserva il suo antico terrore. Ma
quando s’immedesima con l’anima, e può concentrarsi a volontà in
qualsiasi forma o livello, o in qualsiasi direzione dello spazio
divino, la morte scompare.

Per l’uomo comune essa è una fine catastrofica, poiché interrompe
tutti i rapporti umani, termina tutte le attività fisiche, recide
tutti i legami affettivi e lo getta (suo mal­grado) nell’ignoto che
teme. È per lui come dover lasciare l’ambiente caldo e luminoso,
accogliente e familiare, ove sono raccolte le persone care, per uscire
nella notte fredda e tenebrosa, solo e spaurito, sperando il meglio,
ma senza alcuna certezza.

Ma si dimentica che ogni notte, nel sonno, si muore al corpo fisico
per vivere al­trove. Si dimentica di sapere già facilmente lasciare il
fisico; e poiché non si sa ancora registrare nel cervello la memoria
di quel passaggio e del successivo periodo di attività vivente, non si
scorge il nesso tra sonno e morte. Ma questa, dopo tutto, non è che un
in­terludio tra due operazioni fisiche: si è “via” per un periodo più
lungo. In effetti, il pro­cesso quotidiano del sonno e quello meno
frequente della morte sono identici, con una sola differenza: nel
primo, il filo conduttore della forza vitale resta intatto, e
costituisce la via per rientrare nel corpo; nel secondo, si spezza.
Allora l’entità cosciente non può reinserirsi nel corpo, e questo,
mancando il principio di coesione, si disgrega.

(Trattato di Magia Bianca, 493/5)

La paura della Morte si basa:

a. Sul terrore del processo di separazione insito nella morte stessa.

b. Sull’orrore per l’ignoto e l’incomprensibile.

c. Sul dubbio circa l’immortalità.

d. Sul dolore di lasciare i propri cari, o di perderli.

e. Su antiche reazioni a morti violente già sperimentate, annidate
nel subconscio.

f. Sull’attaccamento alla forma, con cui ci si è identificati.

g. Su vecchi ed erronei insegnamenti di Paradiso e Inferno.

Io parlo della Morte in quanto la conosco sia nella sua veste mondana
ed esterna, quanto nella verità della vita interiore, dove non esiste.
Si entra, semplicemente, in una vita più vasta, liberi dai ceppi del
corpo terreno. Il tanto temuto processo di distacco non esiste, salvo
che nel caso della morte violenta ed improvvisa, e anche allora ciò
che è veramente penoso si riduce ad un istante, al senso angoscioso
della distruzione e del pe­ricolo incombenti, a qualcosa che molto
somiglia a una scossa elettrica. Nient’altro. Per gli uomini di scarsa
evoluzione, la morte è letteralmente un sonno, un oblio, poiché la
mente non è desta quanto basta per reagire, e la memoria è
praticamente vuota di ricor­di. Per l’uomo di medio livello, buon
cittadino, dopo la morte il processo vitale, gli inte­ressi e le
tendenze proseguono nella sua coscienza. Questa, e la consapevolezza,
restano uguali ed inalterate. Egli non nota una gran differenza, trova
aiuto e sovente non s’accorge neppure d’aver subito l’esperienza della
morte. I malvagi, gli egoisti crudeli, i criminali, e quei pochi che
vivono solo per la materia, sperimentano invece una condi­zione
chiamata “incatenati alla terra”. I legami che essi stessi hanno
forgiato con la ter­ra, e la tendenza materialistica di tutti i loro
desideri li costringono nei pressi della terra e nei paraggi della
loro ultima vicenda terrena. Essi cercano con disperazione e con ogni
possibile mezzo di riprendere quei contatti e di ritornare in
quell’ambiente. In pochi ca­si, anche individui buoni ed elevati, per
il grande amore posto nei rimasti, o per il desi-

derio di eseguire qualche dovere urgente inadempiuto, si ritrovano in
una condizione simile. Per l’aspirante, la morte segna l’ingresso
immediato in una sfera di servizio e di espressione cui è assuefatto,
e che subito riconosce. Durante il sonno, infatti, aveva fre­quentato
un dominio di servizio attivo e d’apprendimento. Ora, semplicemente,
vi dimo­ra per tutte le ventiquattro ore (per dirla secondo il tempo
fisico) anziché per le sole, po-

che ore di sonno.
(Trattato di Magia Bianca, 300/1)

Altro timore che induce l’uomo a considerare la morte come una
calamità è incul­cato dalla teologia, specie da alcune sette
Protestanti e dalla Chiesa Cattolica: è la paura dell’inferno, del
castigo, per di più sproporzionato agli errori commessi durante la
vita terrena; sono gli orrori imposti dall’ira divina. Si pretende che
l’uomo deve subirli, sen­za via di scampo, se non tramite espiazione
altrui.

Ma in verità tutto ciò non esiste: né l’ira di Dio, né l’inferno, né
l’espiazione vica­ria. Un solo grande principio palpita in tutto
l’universo, ed è l’amore; e il Cristo è pre­sente, e insegna all’uomo
che l’anima esiste e ci redime con la sua vita, e che l’inferno è la
Terra stessa, dove impariamo a conseguire la salvezza, attuata dal
principio di amore e di luce, seguendo il suo esempio e l’anelito
interiore dell’anima nostra. L’inferno è un avanzo dell’indirizzo
sadico dato al pensiero cristiano nel medio evo e delle erronee
dottrine del Vecchio Testamento a proposito di Jehovah, il Dio tribale
degli Ebrei. Je­hovah non è Dio, il Logos planetario, il Cuore eterno
dell’Amore rivelato dal Cristo. Ma con il graduale disperdersi di
queste concezioni errate, anche l’inferno svanirà dal ricor­do,
sostituito dalla comprensione della legge secondo cui ciascuno opera
la propria sal­vezza nel mondo fisico, cioè rettifica gli errori quivi
commessi, sì che un giorno potrà cancellare ogni traccia di male dalla
propria vita.

Ma qui non intendo intavolare una disputa teologica. Voglio solo farvi
notare che l’attuale terrore della morte deve cedere alla comprensione
intelligente della realtà delle cose, sostituito dal concetto di
continuità della vita, che elimina ogni inquietudine, e ac­centuare
l’idea della vita una, di una sola Entità cosciente, che sperimenta in
molti corpi. (Trattato dei Sette Raggi Vol.
IV° – Guarigione Esoterica, 393/4)

Nel secolo venturo, la morte e la volontà assumeranno nuovi
significati per l’umanità, e molte vecchie idee scompariranno. Per
l’uomo medio dotato di raziocinio, la morte è un punto di crisi
catastrofica. È la cessazione e la fine di tutto ciò che ha ama­to, di
tutto quanto gli è familiare e che può essere desiderato; è il
rovinoso ingresso nell’ignoto, nell’incertezza, e la brusca
conclusione di tutti i piani e progetti. Per quanto grande possa
essere la vera fede nei valori spirituali, per quanto chiaro possa
essere il raziocinare della mente circa l’immortalità, per quanto
conclusiva possa essere l’evidenza della persistenza e dell’eternità,
resta sempre un interrogativo, il riconosci­mento della possibilità di
una fine e di un annullamento totali e della cessazione di ogni
attività, di tutte le reazioni affettive, di tutti i pensieri, le
emozioni, i desideri, le aspira­zioni e le intenzioni che si
concentrano intorno al nucleo centrale di un essere umano. Il
desiderio e la determinazione di perdurare ed il senso di continuità
poggiano ancora, an­che nel credente più determinato, sulla
probabilità, su fondamenta instabili e sulla testi­monianza di altri,
che in realtà non sono mai ritornati a raccontare la verità. L’enfasi
di ogni pensiero formulato su questo soggetto riguarda l’ÒIo centrale”
o il centro della Divinità. (Trattato dei Sette
Raggi Vol. IV° – I Raggi e le Iniziazioni, 101/2)

L’istinto di auto-preservazione, è radicato nell’innato terrore della
morte. L’umanità è stata sospinta, proprio da questa paura, ad
acquisire l’attuale livello di lon­gevità e resistenza. Le scienze che
riguardano la salvaguardia della vita, le conoscenze igieniche e
sanitarie, le conquiste del benessere civile, sono tutte prodotti di
quella paura fondamentale. Tutto mira alla persistenza dell’individuo
e della sua esistenza. L’umanità resiste, quale razza e quale regno di
natura, proprio per via di questa paura, e della reazione istintiva
che tende a perpetuare l’individuo.

(Trattato di Magia Bianca, 626)

Vorrei, prima di procedere con nuove istruzioni, che v’impadroniste
dell’insegnamento fin qui impartito. Studiatelo con attenzione, in
modo che quanto ri­guarda la morte s’imprima in modo chiaro e netto
sulla vostra mente. Formatevene una concezione nuova, cercate di
cogliere, in quanto sino ad ora è stato oggetto di grande terrore, la
legge, il proposito, la bellezza.

In seguito tenterò di illustrare alquanto il processo della morte qual
è visto dall’anima, allorché questa intraprende l’atto della
restituzione. Quanto ne dirò vi sem­brerà forse speculativo o
ipotetico: pochi di voi sarebbero in grado di dimostrarne la
fondatezza. Ma sicuramente sarà più sano, integro e bello che non le
tenebre e le incerte speranze, le infelici teorie e la cupa angoscia
che oggi attorniano la morte.

(Trattato dei Sette Raggi Vol. IV° – Guarigione Esoterica, 436/7)

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