Morte: la grande avventura
Capitolo 6
di Editrice Nuova Era
a cura di Adriano e Roberta Nardi
Non si scorge il nesso tra sonno e morte. Ma questa, dopo tutto, non è che
un interludio maggiore fra due operazioni fisiche: si è “via” per un periodo
più lungo.
Per gli uomini di scarsa evoluzione, la morte è letteralmente un sonno, un
oblio, poiché la mente non è desta quanto basta per reagire, e la memoria è
praticamente vuota di ricordi.
Per l’uomo di medio livello, buon cittadino, dopo la morte il processo
vitale, gli interessi e le tendenze proseguono nella sua coscienza. Questa,
e la consapevolezza, restano uguali e inalterate.
Tenete presente che la coscienza permane la stessa, sia nella vita fisica
che in quella incorporea, e che lo sviluppo può essere perseguito in questa
con tranquillità maggiore, poiché non più limitato e condizionato dalla
coscienza cerebrale.
Per la massa comune dell’umanità, focalizzata in tutte le sue attività ed i
suoi pensieri sul piano fisico, il periodo dopo la morte è di semicoscienza,
incapacità di riconoscere il luogo e di disorientamento emotivo e mentale.
Per quanto riguarda i discepoli, si mantiene il contatto con le persone
(generalmente con quelle alle quali erano associati) durante le ore di
sonno; permane la ricezione delle impressioni provenienti dall’ambiente e
dai collaboratori, e continua ad esserci il riconoscimento del rapporto
(come sulla terra) incluso il senso di responsabilità.
Per l’uomo ordinario, quali sono dunque le prime reazioni e attività, dopo
che ha restituito il corpo fisico alla riserva generale della sostanza?
Elenchiamone alcune:
1. Prende coscienza di sé, con una chiarezza di percezione sconosciuta a chi
vive nel mondo fisico.
2. Il tempo (cioè la successione degli eventi registrata dal cervello
fisico) non esiste più nel senso usuale; l’uomo volge l’attenzione al
proprio sé, più nettamente emotivo, e, in ogni caso, ciò provoca un istante
di diretto contatto con l’anima. Infatti, l’ora della completa restituzione
non passa inosservata per quest’ultima, anche se si trattasse dell’individuo
più rozzo e ignorante. È un po’ come un forte strappo impresso alla corda di
una campana: per breve istante l’anima risponde, in modo tale che l’uomo,
nel suo corpo astrale-mentale, rivede la vita appena trascorsa, come su uno
schermo. Egli registra il senso dell’eternità.
3. Come risultato di queste esperienze, egli isola i tre fattori principali
che ne hanno governato la vita appena conclusa e che saranno la nota
fondamentale di quella, futura, che lo attende. Ogni altra cosa viene
scordata e sfugge alla sua memoria: egli ha coscienza solo di quei tre sensi
che esotericamente sono chiamati “semi del futuro”. Questi sono
peculiarmente connessi agli atomi permanenti fisico e astrale, insieme ai
quali compongono la forza quintupla che creerà la forma futura. Si può
asserire che:
a. Dal primo seme dipenderà la natura dell’ambiente fisico in cui l’uomo
dovrà tornare a vivere. Esso è dunque connesso alle qualità delle future
circostanze, e alle condizioni dell’opportuna sfera di rapporti.
b. Dal secondo dipenderà la qualità del veicolo eterico, per il cui tramite
le energie fondamentali agiranno sul corpo denso. Esso delimita la struttura
eterica, o rete vitale in cui circoleranno le energie, ed è connesso in
particolare a quel centro dei sette, che nella prossima incarnazione sarà
più desto e attivo.
c. Il terzo predetermina l’involucro astrale, ove l’uomo sarà allora
polarizzato. Parlo dell’uomo comune, non di quello progredito, del discepolo
o dell’iniziato. Questo seme – con le forze che attira – lo rimette in
rapporto con coloro che ha amato, o con cui ha lavorato e vissuto. È verità
di fatto che qualsiasi incarnazione è governata, in senso soggettivo, dall’
idea di gruppo in quanto si ritorna nella vita fisica non solo per il
desiderio individuale di quelle particolari esperienze, ma anche per impulso
e karma di gruppo. È bene insistere su questa verità. Compresa che sia,
buona parte del terrore generato dal pensiero della morte svanirà. I
familiari, le persone amate, restano gli stessi, proprio perché quel
rapporto è stato saldamente affermato per molte vite. Ecco cosa ne dice un
Vecchio Commentario:
“I semi del riconoscimento non sono pertinenti all’individuo soltanto, ma
anche al gruppo, nel cui ambito legano l’uno all’altro nel tempo e nello
spazio. Coloro che stanno in tale rapporto trovano la vera esistenza solo
nei tre inferiori. Quando l’anima conosce l’anima, nel luogo d’incontro
entro il richiamo del Maestro, questi semi spariscono”.
È quindi evidente quanto sia necessario educare i fanciulli a trarre
profitto dall’esperienza, e a riconoscerla, poiché ciò agevola di molto
questa terza attività astrale dopo la morte.
4. “Isolate” queste esperienze, l’uomo crea e trova coloro che l’influsso
del terzo seme gli indica aver parte continua nella vita del gruppo di cui
fa parte, in modo conscio o no. Ristabiliti i contatti (se si tratta di
individui che hanno eliminato il corpo fisico), si comporta con loro come
avrebbe fatto nel mondo con gli intimi, secondo il suo carattere e il grado
evolutivo. Se invece le persone che più ama – o odia – sono ancora viventi
fisicamente, resterà accanto a loro – proprio come prima – consapevole delle
loro attività, anche se queste (se non molto evolute) non ne hanno
coscienza. Non posso illustrare in dettaglio quali sono gli scambi
reciproci, né le modalità di questi rapporti. Ogni uomo è un essere diverso;
ogni carattere è unico. Basti aver chiarito le linee fondamentali della
condotta prima del processo di eliminazione.
Queste quattro attività hanno durata variabile – per chi “vive in basso”,
beninteso, perché chi vive nell’astrale non è consapevole del tempo. A poco
a poco le illusioni (di qualsiasi natura) cadono, e l’uomo perviene a
sapere – poiché la mente è ora più incisiva e dominante – di essere pronto
alla seconda morte e a eliminare del tutto il veicolo astrale-mentale.
Subito dopo la morte, specie dopo la cremazione, l’uomo, entro il guscio
astrale-mentale, è desto e conscio dell’ambiente come lo era quando viveva
nel fisico. La consapevolezza e la capacità d’osservazione variano, così
come differiscono da uomo a uomo le facoltà di registrare le circostanze o
di acquisire esperienza. Ma essendo la gran parte degli uomini più reattivi
alle emozioni che al mondo fisico, e accentrati soprattutto nel veicolo
astrale, di solito avviene che il deceduto si ritrova in uno stato di
coscienza che gli è ben familiare. Ricordate, a questo proposito, che un
“piano” è uno stato di coscienza, non un luogo, come sembrano credere molti
esoteristi. Esso è riconosciuto tramite la reazione focalizzata dell’
autocoscienza della persona che- nettamente e sempre conscia di sé –
percepisce la qualità del suo ambiente e dei desideri che ne derivano, o
sente (se si tratta di entità progredita, accentrata sui livelli astrali
superiori) l’amore e l’aspirazione che da esso emanano; l’uomo, insomma, s’
interessa a ciò che attirava la sua attenzione e provocava il suo desiderio
durante l’esistenza incarnata. Ricordate che al punto attuale d’evoluzione,
dopo la morte non c’è più un livello fisico in grado di reagire agli impulsi
dell’uomo interiore, e neppure il sesso esiste più, dal punto di vista
fisico. Gli spiritisti farebbero bene a ricordarlo: capirebbero quanto sono
stolti, oltre che impossibili, quei matrimoni spiritici che alcuni fra loro
insegnano e praticano. Quando dimora nel corpo astrale, l’uomo non prova più
quegli impulsi di natura animale che sono normali e giusti nel mondo fisico,
ma privi di senso nella nuova condizione.
Nell’esaminare la coscienza dell’anima che si ritrae (notate la frase)
allorché compie la restituzione, vi ripeto che su questo argomento non
sussistono prove fisiche tangibili. È accaduto, talora, che qualcuno
ritornasse alla vita quando già era nell’istante preciso della restituzione.
Ciò è possibile fin tanto che l’entità cosciente è nel suo involucro
eterico, anche se il corpo denso fosse ormai abbandonato a tutti gli
effetti. Quello compenetra questo, ma è un poco più esteso, e il corpo
astrale e mentale restano ancora accentrati nell’eterico anche se è già
intervenuta la morte fisica, cioè se il cuore si è arrestato e tutte le
energie eteriche sono già concentrate nella regione della testa, del cuore,
o del plesso solare, e l’astrazione già iniziata.
Separato che sia dai veicoli fisico ed eterico, l’uomo è consapevole del
passato e del presente; al termine dell’eliminazione, nell’istante del
contatto con l’anima, quando il corpo mentale sta disintegrandosi, è
repentinamente conscio anche del futuro, poiché la prescienza è dote dell’
anima, cui egli allora partecipa. Vede quindi passato, presente e futuro
come una cosa sola; di vita in vita, durante il continuo ripetersi delle
rinascite, si sviluppa in lui il senso dell’Eterno Presente. È appunto
questo stato di coscienza (caratteristica normale dell’uomo molto evoluto)
che è detto “devachan” (dal sanscrito “la dimora degli Dei”. Uno stadio
intermedio tra due vite fisiche, dove l’Ego entra dopo la sua separazione
dal corpo fisico).
Per l’aspirante, la morte segna l’ingresso immediato in una sfera di
servizio e di espressione cui è assuefatto, e che subito riconosce.
Non intendo descrivere le tecniche dell’eliminazione. Non è possibile farlo,
perché gli uomini in realtà sono ciascuno in fasi diverse, intermedie fra le
tre prima abbozzate.
È relativamente facile capire l’eliminazione per logoramento: il corpo
astrale si dissolve perché, senza sostanza fisica che ne stimoli il
desiderio, non ha alimento. Esso si forma per il reciproco rapporto fra il
piano fisico – che non è un principio – e il principio del desiderio; nel
processo della rinascita, l’anima nel corpo mentale impiega il desiderio con
intento dinamico per il suo richiamo, cui la materia risponde.
L’uomo prettamente astrale, dopo lungo periodo di logoramento, resta in un
corpo mentale embrionale, ma la sua vita semi-mentale è brevissima: l’anima
infatti le pone termine allorché, improvvisamente, “guarda colui che
attende”, e con il suo potere diretto lo riorienta all’istante sulla via
discendente della rinascita.
L’uomo astrale-mentale segue un processo di astrazione, in risposta alla
spinta esercitata dal corpo mentale in rapido sviluppo. Questo ritirarsi si
fa sempre più rapido e dinamico fino a che, quando egli è discepolo in
prova, per via del contatto sempre più stabile con l’anima, frantuma il
corpo astrale-mentale, quale unità, con un atto di volontà mentale promosso
dall’anima.
Osservate che lo stato di “devachan”, per questi casi, che sono la
maggioranza, è necessariamente di minor durata che nel caso precedente,
perché la tecnica sua propria, di riconsiderare e riconoscere il contenuto
delle esperienze, va a poco a poco affermandosi nell’uomo anche quando vive
fisicamente, sì che questi scopre l’importanza del significato e impara
continuamente dalle esperienze della vita. In tal modo sviluppa per gradi
anche la continuità di coscienza, e la sua consapevolezza interiore comincia
a imporsi anche all’esterno, dapprima mediante il cervello fisico, poi in
modo indipendente da esso. Questi due concetti alludono ad una questione che
sarà oggetto di indagine nei prossimi due secoli.
L’uomo mentale, la personalità integrata, opera, come si è visto, in due
maniere, che naturalmente dipendono dal grado di integrazione conseguita,
che è di due specie:
1. Integrazione della personalità, accentrata nella mente e in rapporto
sempre più stretto con l’anima.
2. Integrazione del discepolo, la cui personalità integrata rapidamente si
unifica con l’anima, che l’assorbe.
In questa fase di sviluppo e continuo controllo mentale (poiché la coscienza
è focalizzata nel corpo mentale in modo definito e permanente) la
distruzione preliminare del corpo astrale per logoramento e “negazione
dinamica” avviene durante l’incarnazione fisica. L’uomo rifiuta di
comportarsi secondo il desiderio; quel che resta dell’illusorio corpo
astrale è regolato dalla mente, e gli impulsi a soddisfare i desideri sono d
ominati in modo deliberato e cosciente, sia per le ambizioni egoiste e gli
intenti mentali della personalità integrata, sia perché l’anima ispira il
suo volere, cui subordina la mente. Conseguito questo livello evolutivo, l’
uomo può dissolvere gli ultimi desideri residui mediante illuminazione.
Nelle prime fasi della vita puramente mentale, l’ottiene con la luce della
conoscenza, e implica soprattutto luce inerente alla sostanza mentale. In
seguito è la luce dell’anima che promuove e accelera il processo, quando
essa è ormai in intimo rapporto con la mente. Il discepolo allora impiega
metodi più occulti, di cui però non parleremo. Il corpo mentale non è più
distrutto dal potere dirompente della luce stessa, ma è smantellato dalla
vibrazione di certi suoni emessi dal livello della volontà spirituale; il
discepolo li riconosce, e ha il permesso di usarli con forma verbale
appropriata a lui, comunicata da un iniziato del gruppo a cui appartiene, o
dallo stesso Maestro, quando la vita volge al termine.
Ho voluto chiarire la distinzione fra malattia e morte sperimentate dall’
uomo comune, e il corrispondente dissolvimento consapevole che è proprio del
discepolo esperto e dell’iniziato. Quest’ultimo implica una tecnica, appresa
gradualmente, per cui (all’inizio) il discepolo è ancora vittima delle
tendenze alla malattia insite nella sua come in tutte le forme naturali.
Passando per stadi mitigati di malattia e, quindi, per la morte pacifica e
serena, egli perviene ad altre fasi in cui questa è provocata da un atto del
volere – tempo e modalità essendo stabiliti dall’anima e percepiti
coscientemente nel cervello. La sofferenza si fa sentire in entrambi i casi,
ma sul Sentiero dell’Iniziazione è ridotta a poca cosa, non perché l’
iniziato cerchi di evitarla, ma perché la forma non è più reattiva a certi
contatti dolorosi, e pertanto non li percepisce. Il dolore, in effetti, è il
custode della forma e ne protegge la sostanza; avverte del pericolo; segna
certe fasi del processo evolutivo; dipende dal fatto che l’anima è
identificata con la sostanza. Ma quando non è più così, dolore, malattia e
morte allentano la presa sul discepolo; l’anima non è più loro sottoposta e
l’uomo è libero, perché malattia e morte sono qualità della forma, di cui
seguono le vicende vitali.
(continua)
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