Morte: la grande avventura
Capitolo 8
di Editrice Nuova Era
a cura di Adriano e Roberta Nardi
La morte non è che un interludio in una vita di esperienza costantemente
acquisita… essa segna una precisa transizione da uno stato di coscienza ad
un altro.
Morte, in realtà, è non aver coscienza di una certa attività vitale. La
riserva di vita è il luogo della morte, e questa è la prima lezione per il
discepolo…
La morte è un fenomeno che riguarda essenzialmente la coscienza. In un dato
momento siamo consci del mondo fisico, e l’istante dopo siamo ritratti in un
altro mondo, impegnati in altre attività.
Nel caso di un iniziato, le cose sono alquanto diverse, perché è frequente
che resti in piena coscienza per tutto il processo della morte.
La distruzione della forma, non è, per Essi, la morte quale intesa dall’
uomo, ma un puro e semplice processo di liberazione.
Mediante l’allineamento, l’anima usa il tempo in modo esatto; o dirò,
meglio, che il cervello, l’unico organo umano ad averne coscienza, non è più
l’elemento dominante; la mente, quale agente dell’anima (la cui coscienza
include passato, presente e futuro) vede la vita e l’esperienza per quel che
sono. La morte è dunque intesa come un episodio, un passaggio in una lunga
serie di transizioni. Quando sarà compreso questo atteggiamento dell’anima,
tutto il modo di vivere, e quindi anche di morire, muterà radicalmente.
La morte va considerata soltanto come un altro passo compiuto sul cammino
che porta alla luce e alla vita.
Negli ultimi stadi di vita, abbiamo la cristallizzazione della forma e l’
uomo si rende conto della sua insufficienza. Giunge allora la liberazione
chiamata morte, il gran momento in cui “lo spirito prigioniero” sfugge dalle
mura che lo costringono entro una forma fisica.
La morte che dico è la Grande Liberatrice, che spezza le forme che uccidono
quanto racchiudono.
Molte volte ho ripetuto che l’uomo spirituale agisce solo sull’aspetto
sostanziale, cioè sull’anima umana, e che – agli occhi del Maestro – la
forma è relativamente senza importanza. La liberazione dalla triplice forma
è sempre considerata, dall’uomo spirituale, come il massimo bene, purché
avvenga secondo la legge, come risultato del suo destino spirituale e delle
decisioni karmiche; non come atto arbitrario, per evadere dalla vita e dalle
sue conseguenze fisiche, o per auto-decisione.
È interessante notare come la morte sia regolata dal Principio di
Liberazione, e non da quello di Limitazione. Le vite auto-coscienti la
riconoscono come un semplice fattore di cui tener conto, ma gli umani non la
comprendono, perché sono le più illuse fra tutte le vite incarnate.
La morte è semplicemente Portatrice di Trasformazione.
… la morte stessa è parte del processo creativo di sintesi.
Io parlo della Morte in quanto la conosco sia nella sua espressione mondana
ed esterna, quanto nella verità della vita interiore, dove non esiste. Si
entra, semplicemente, in una vita più vasta.
La Legge della Morte e del Sacrificio regola la graduale disintegrazione
delle forme concrete e il loro sacrificio alla vita che evolve …
La Legge del Sacrificio e della Morte governa il piano fisico. La
distruzione della forma, perché la vita progredisca, è uno dei metodi
fondamentali dell’evoluzione.
Il Maestro impara il significato della limitazione della forma; quindi
assume il controllo ed applica la legge a livello di quella forma. In tal
modo, dopo averla trascesa, la scarta, in cerca di altre migliori. In tal
modo procede, sempre mediante sacrificio e morte della forma. La riconosce
come limite e la sacrifica e respinge per elevare sempre più la vita. La via
della resurrezione passa per la morte sulla croce, ma poi giunge al monte
dell’Ascensione.
L’intero deve essere considerato come più importante che la parte: non si
tratta di un sogno, o di una visione, di una teoria, non è una vana
speranza, un semplice anelito. È una necessità innata e imprescindibile.
Implica la morte, ma come bellezza, come gioia, come spirito in atto, come
perfezione del bene.
La morte è solo un metodo per riconcentrare l’energia, prima di rinnovare l’
attività, che tende sempre e senza sosta al miglioramento.
…per l’anima prendere forma e quindi immergersi in essa, e morire, sono
sinonimi.
Il terrore e la morbosità evocati normalmente dal pensiero della morte, e la
renitenza ad affrontarlo a dovere per comprenderlo, sono dovuti all’
importanza che si annette al corpo fisico, con il quale è tanto facile
identificarsi; ma è anche basato sul timore innato della solitudine e della
perdita di ciò che è familiare.
Eppure, la solitudine sperimentata dopo la morte, allorché ci si trova privi
di corpo fisico, è nulla se paragonata a quella che ci coglie alla nascita.
Qui, l’anima si ritrova in un ambiente nuovo e confitta in un corpo ancora
inadatto per badare a se stesso, e per lungo tempo anche incapace di
stabilire contatti intelligenti con le circostanze.
L’uomo nasce senza memoria dell’identità, o dell’importanza del gruppo di
anime incarnate con cui si trova in rapporto; questo isolamento scompare a
poco a poco solo quando egli avvia suoi propri rapporti personali, scopre
individui congeniali e raccoglie attorno a sé un gruppo di uomini che chiama
amici.
Ma, dopo la morte, non è così, poiché dall’altra parte del velo ritrova
coloro che gli sono noti e gli sono stati accanto nella vita terrena, e
quindi non è mai solo, almeno nel senso che si intende di norma la
solitudine; inoltre, è conscio di quelli che ancora vivono incarnati; può
vederli, può sentirne le emozioni e persino i pensieri, poiché non è più
impedito dal cervello fisico, che agisce come deterrente. Se gli uomini
fossero più saggi, temerebbero assai più la nascita che la morte, poiché
quella getta davvero l’anima in carcere, mentre questa è il primo passo
verso la libertà.
Tratto dalla mailing list Sadhana
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