Morte, Rinascita e il Potere del Phowa – 1

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Morte, Rinascita e il Potere del Phowa – 1

Lama Ole Nydahl

Da: Buddhism Today, vol.2, 1996

La seguente intervista è stata realizzata da Tony Dylan nel Marzo 1994 a Calgary, Canada.

parte 1

Tony:Uno degli argomenti che maggiormente affascina l’umanità è quello della morte e di ciò che
sopravvive ad essa. Qui a Calgary si è trattato della concezione di morte e rinascita nel buddhismo
tibetano; è un argomento molto vasto e non possiamo sperare di esaurirlo ma forse ci potresti dire
qualcosa per aiutare chi non ha familiarità con questa visione.

Ole: Tutto si basa sulla comprensione della natura della mente. Se osserviamo la mente, essa
presenta chiaramente due aspetti: c’è qualcuno che sperimenta e qualcosa che viene sperimentato, un
oceano e molte onde, uno specchio e le immagini in esso riflesse. Così abbiamo sia la consapevolezza
che l’oggetto della consapevolezza stessa: la mente è entrambe le cose. Un esame del soggetto che
vede attraverso i nostri occhi e che ascolta attraverso le nostre orecchie, ci mostra come tale
soggetto, l’osservatore, abbia la medesima natura dello spazio. Proprio come lo spazio, esso non ha
colore, peso, odore, dimensione e forma: in definitiva la mente non è una cosa. Allo stesso tempo,
però, possiede la chiarezza che permette di capire e comprendere.

Questa chiarezza è senza tempo e senza limiti.

Un’essenza aperta, chiara, senza limiti, deve per forza essere al di là della nascita e della morte;
se non è mai stata creata, non potrà mai smettere di esistere. Sebbene la mente pervada ogni cosa e
sia indistruttibile, molto raramente una persona sperimenta la propria natura in questo modo. Coloro
che non praticano la meditazione, principalmente ne hanno esperienza nei momenti di grandissima
gioia, come quando fanno l’amore, o durante il salto nel vuoto che caratterizza il bungee jumping o
prima che il paracadute si apra durante un lancio. Per il resto del tempo la gente è persa nelle
mutevoli esperienze della vita; essa è fatta di sentimenti e pensieri che sorgono dall’interno e da
avvenimenti che accadono nel mondo esterno. Naturalmente sia i pensieri che i sentimenti e gli
avvenimenti esterni, cambiano in continuazione. Quindi, tutti sperimentano queste condizioni e
credono perciò all’esistenza di un “sé”, di una “persona”, di un “ego”, di un “atman” o a qualcosa
d’altro che la loro mente abituale percepisce come reale; ma, se ricercano con attenzione, scoprono
che questo soggetto non può essere trovato. Non c’è nulla nel corpo, nei pensieri e nelle sensazioni
che resti immutato. Solo la “chiara luce” della consapevolezza è impermanente. Ed essa è la medesima
in me, in te, in qualsiasi altra persona, in ogni essere senziente. Nonostante tale evidenza ,
finché non si raggiunge l’illuminazione, la gente sperimenta le immagini nello specchio e non il suo
potere riflettente. Le persone si perdono così nelle proprie esperienze con una scarsa
consapevolezza di sé in quanto sperimentatori.

La comprensione del fatto che ogni cosa condizionata sia transitoria, comunque, non implica che essa
non abbia un valore relativo. Una legge di causalità crea il mondo interiore ed esteriore e, sebbene
nulla rimanga mai identico a sé stesso, c’è una continuità. Nessuna condizione mentale o fisica
rimane immutata: un essere umano è dapprima un bambino, poi diventa un uomo. Ma, se non ci fosse
stato il bambino, non ci sarebbe potuto essere l’uomo. Un evento condiziona il successivo e così,
quando il corpo muore, i sensi di base, l’oggetto di identificazione di questo flusso di esperienze,
viene perduto.

Sebbene la morte possa apparire in forme diverse, in realtà essa accade sempre ed esattamente nello
stesso modo. In primo luogo, la coscienza si ritrae dai sensi di percezione nel canale centrale di
energia, un asse che attraversa il corpo e che presenta polarizzazioni alle estremità. Mentre la
consapevolezza diminuisce, si perde il controllo delle parti solide e liquide del corpo, il suo
calore e respiro. Quindi, gradualmente, le energie dalla sommità e dall’estremo inferiore del canale
di energia si spostano contemporaneamente verso il centro del cuore, mentre la mente vive delle
forti esperienze di chiarezza e di gioia. Dopo aver esalato l’ultimo respiro vi è un periodo, che
può variare dai venti ai trenta minuti, in cui si sperimenta una totale oscurità, prima che una luce
molto chiara appaia nel centro del cuore. A questo punto si presenta un’occasione unica: se avete
meditato a lungo, se avete staccato il vostro biglietto di buddhisti, se siete stati completamente
onesti con voi stessi, c’è la possibilità di riconoscere e trattenere questa luce raggiungendo di
fatto l’illuminazione. In questo stato non c’è separazione tra lo spazio e la consapevolezza
interiore ed esteriore. Tutte le limitazioni personali svaniscono ed è possibile rinascere in
innumerevoli universi, con molti sorprendenti poteri per aiutare gli altri.

Nella maggior parte dei casi, però, gli esseri cadono in uno stato di incoscienza a causa della
intensità troppo forte di questa luce. Questo stato dura circa tre giorni al termine dei quali c’è
una sorta di risveglio. Ora il soggetto non è consapevole, né vuole esserlo, di essere morto; per
circa una settimana la mente resta in contatto con il mondo che ha sperimentato nella sua vita più
recente. Torna nei posti che ha frequentato, dalle persone che ha conosciuto, le quali, logicamente,
non possono né vederlo né sentirlo. In questo stato il soggetto è molto confuso a causa della
perdita del corpo, cosa che gli permette di ritrovarsi in qualsiasi posto egli pensi.

Dieci giorni dopo la morte, dopo una settimana in questa situazione, riconosce infine di essere
morto. Questa consapevolezza è come uno shock, che provoca una sorta di svenimento. Quando la mente
si riprende da questo secondo stato di incoscienza, il mondo abituale è svanito, e prende vita il
subconscio personale. Le impressioni immagazzinate appaiono e, entro non più di cinque settimane e
mezza, esse maturano in consistenti strutture psicologiche che esprimono le più forti tendenze
mentali sviluppate durante l’ultima vita.

Siano orgoglio o gelosia, attaccamento o rabbia, avidità o confusione, esse condizionano la mente e
allo stesso tempo la inducono a sperimentarsi di conseguenza e la conducono nei luoghi e dagli
esseri che corrispondono ai propri contenuti. Così le buone azioni generano rinascite piacevoli in
posti favorevoli, mentre le azioni nocive generano rinascite in condizioni di sofferenza, come nella
maggior parte del mondo attuale.

E’ sempre stato così. La mente (inconsapevole dello stato di pace che costituisce la sua vera
natura) si muove incessantemente dopo la morte fino a che non trova uno spiraglio adatto ; allora si
sveglia ad una nuova vita e ricomincia a progettare come sua abitudine da un tempo senza inizio.
Essa produce sia i vari stati mentali che gli esseri che li sperimentano e rimarrà attaccata a
questo libero gioco finché non riconoscerà se stessa come chiara luce non nata. Quando la
consapevolezza è sperimentata, con o senza oggetto, l’obbiettivo ultimo e senza tempo è stato
raggiunto.

Tony: A questo punto una domanda è d’obbligo: come fai a sapere queste cose?

Ole: Le so per molte ragioni, sia personali che generali. Devo dare qualche dettaglio? D’accordo. In
primo luogo, io appartengo a quel gruppo di persone che hanno dei ricordi delle loro vite passate.
Non sto dicendo che fossi un angelo, ma ebbi grandi amici, fantastiche donne, e molto divertimento
nelle mie vite precedenti. Ero principalmente impegnato a combattere i soldati cinesi per proteggere
la popolazione civile del Tibet orientale. Già all’età di 2-3 anni in Danimarca, durante la guerra,
avevo sogni ricorrenti in cui combattevo contro soldati dalle facce tonde e proteggevo uomini che
indossavano gonne (questo era il modo in cui interpretavo le vesti dei monaci). Non avevo mai visto
montagne, non ce ne sono in Danimarca, ma disegnavo ripide pendenze rocciose con cecchini da
snidare. Il mio Lama, il 16° Karmapa, mi chiamava “Mahakala” (un protettore del Buddhismo) e
“generale del Dharma” e io sono nato con alcuni segni sul mio corpo che stanno ad indicare come
avessi realizzato e intrapreso azioni di protezione. Nel 1986, durante un tour segreto nel Tibet
orientale, dove nessun occidentale era mai stato, io e mia moglie Hannah riconoscemmo i luoghi
conosciuti nella nostra vita precedente, come il villaggio dove il nostro principale Lama, il 16°
Karmapa, nacque e dove dobbiamo aver passato del tempo con lui. Nel Bhutan, ebbi esperienze simili.
Tra le altre cose devo aver contribuito a respingere le truppe mongole durante la grande battaglia
del 1642. Attualmente io posso essere considerato più un programma che una persona e difficilmente
ho qualche problema o complicazione nella mia vita privata. Sembra che io abbia espresso la profonda
volontà e promesso di esercitare un certo tipo di attività durante la mia permanenza in questo
mondo; e lo faccio con vera gioia. Proteggere gli esseri ed aiutarli a svilupparsi su tutti i
livelli, è un proposito che è sempre presente nella mia mente.

In secondo luogo ci sono altre ragioni meno personali per cui conosco queste cose. Varie persone
sono venute da me dopo la loro morte. Fantasmi, spiriti o in qualsiasi modo noi li chiamiamo in
occidente. Sebbene alcuni mi siano apparsi in anticipo di ore rispetto a quanto descritto nel “Libro
Tibetano dei Morti”, qualsiasi altra loro esperienza si adattava completamente con gli insegnamenti
riportati in quel testo. Inoltre, Hannah ed io ricevemmo molte spiegazioni da maestri viventi di
sorprendente intuizione e saggezza spirituale come il Karmapa, la cui diciassettesima reincarnazione
Thaye Dorje è stata presentata pubblicamente nel Marzo 1994, a Delhi. Nella sua vita precedente,
come 16° Karmapa, egli dimostrò grandi capacità di chiaroveggenza. Senza delle ragioni comprensibili
egli sapeva cose che non poteva conoscere; ad esempio, spesso semplicemente affermava che una
persona aveva lasciato la propria abitazione, e diceva quando sarebbe arrivata da lui. Conosceva
sempre quello che le persone stavano pensando e frequentemente riconosceva precedenti incarnazioni.
Egli mi confermò come protettore del Buddhismo e dopo la morte di mio padre affermò che egli si
trovava in una “Terra Pura”. Senza il 16° Karmapa non potrei ritenermi un esperto di morte e
rinascita.

Una importante verifica di tutto questo processo si ha durante i centinaia di corsi sul Phowa , dove
la gente impara a morire e a rinascere in modo consapevole. Io insegno questa pratica dal 1987,
principalmente nei Paesi occidentali, ma anche a Singapore e in Giappone. Circa 22000 persone (ad
eccezione di una piccola parte) hanno ottenuto il pieno risultato. In un seminario di intensa
meditazione che dura dai quattro ai cinque giorni, il Buddha della Luce Infinita (Amithaba) benedice
i praticanti ed essi ricevono i segni interiori, esteriori e segreti del successo, a dimostrazione
del fatto che raggiungeranno una “Terra Pura” al momento della loro morte. I segni sono molto
convincenti: si riceve una piccola apertura attraverso il cranio che produce un segno visibile sulla
sommità del capo, si hanno forti esperienze di gioia e purificazione e sorge una crescente
comprensione di cosa realmente conta nella vita e nell’esperienza della morte. Le persone sono
concordi sul fatto che la vita dopo il Phowa cambia e migliora molto. Un’alta percentuale dei
partecipanti ha la percezione di lasciare il proprio corpo e la maggior parte raggiunge stati di
grande beatitudine. Da quanto so questa pratica meditativa esiste solo nel Buddhismo Tibetano.

continua…

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