Musica e filastrocche, così i bambini parlano prima

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Musica e filastrocche, così i bambini parlano prima

Lo documenta uno studio Usa. Il parere della dottoressa Lopez, un’esperta italiana.

Eleonora Limiti

Giochi in rima e filastrocche per i bambini non sono soltanto un semplice passatempo, ma un vero e
proprio stimolo per il loro cervello e li aiutano a parlare meglio e più in fretta. È quanto emerge
da uno studio americano condotto da Jenny Saffran ed Erik Thiessen, dell’Università del Wisconsin e
della Carnegie Mellon University, in Pennsylvania, inserito nel volume “The Neurosciences and Music
– III, Disorders and plasticity”, pubblicato in collaborazione con la New York Academy of Sciences.
Il testo riporta oltre 60 lavori scientifici sullo stato dell’arte nel campo “neuromusica”. Le
ricerche sono state presentate al convegno organizzato a Montreal nel 2008 dalla Fondazione
Pierfranco e Luisa Mariani.

Lo studio punta sul “mondo sonoro”
Saffran e Thiessen, in particolare, si sono concentrati sull’ambiente sonoro in cui crescono i
bambini, fin dalla nascita permeato di musica e dominato da un linguaggio chiamato “Infant Directed
Speech” (una specie di lingua cantilenata con cui gli adulti si rivolgono ai bambini). Secondo i due
ricercatori le mamme fanno bene a parlare ai piccoli con filastrocche e cantilene perché in questo
modo i bambini imparano più parole e le memorizzano meglio se sono cantate in rima o fanno parte di
una canzone. Ma è davvero così?

Il parere di un’esperta italiana
Lo abbiamo chiesto ad una esperta italiana, la dottoressa Luisa Lopez consulente della Fondazione
Mariani (dedicata alla neurologia infantile), specialista in neurofisiopatologia e neuropsichiatria
infantile, responsabile medico dell’Ambulatorio di Neuropsichiatria Infantile “Villaggio Eugenio
Litta”, che si trova alle porte di Roma, nel comune di Grottaferrata.

Dottoressa Lopez, secondo il lavoro svolto da Jenny Saffran ed Eric Thiessen, le filastrocche
rappresentano uno stimolo in più per i bambini per memorizzare le parole e li aiutano, quindi, a
parlare più fretta. Davvero la musica potrebbe essere impegnata con successo per accelerare
l’apprendimento dei piccoli?
Uno dei processi fondamentali dell’apprendimento del linguaggio è la consapevolezza fonologica,
ovvero la capacità di cogliere che le parole sono composte da suoni, che possiamo chiamare fonemi, e
che questi suoni si combinano fra loro in un certo numero di modi che dipendono dalla lingua di
appartenenza.
Le filastrocche che i bambini imparano da piccoli sono esercizi fonologici utilissimi per
l’apprendimento del linguaggio. L’utilizzo della musica fornisce un ottimo supporto sensoriale alle
filastrocche.

Come mai se la musica ha le parole i bambini la ricordano meglio?
Per quanto detto prima, sia la melodia che le parole giungono al cervello e forniscono una traccia
mnemonica, se questa viene combinata in uno stimolo percepito come armonico, come generalmente sono
le melodie per bambini, avrà maggiori probabilità di diventare una memoria a lungo termine.

Dietro le osservazioni degli studiosi americani, c’è l’idea che la musica possa essere anche un
mezzo per facilitare la codificazione di messaggi non musicali, come il linguaggio, e per stimolare
i processi di attenzione dei bambini? Lei ci conferma questa ipotesi?
Il gruppo della Saffran conferma quello che in passato era stato osservato, ovvero che l’esposizione
alla musica, che si tratti di insegnamento strutturato o di ascolto guidato, favorisce lo sviluppo
di componenti non prettamente musicali che hanno dei punti in comune con il linguaggio, ad esempio,
integrazione rapida dei suoni, attenzione ai cambiamenti di altezza e frequenza, abilità a seguire
le regole musicali e di fare previsioni in base ad esse.

La musica può essere usata per scopi riabilitativi ed educativi in bambini con difficoltà
neurologiche?
La musica viene utilizzata in due modi. La musicoterapia utilizza strumenti non convenzionali oltre
a quelli tradizionali, e non cerca necessariamente una performance, ma un’esperienza che può essere
improvvisazione, relazione di gruppo e relazione con i terapisti. I risultati vengono valutati lungo
un numero di sedute attraverso parametri diretti (contatto visivo, contatto con lo strumento,
interazione
con il terapista o con il gruppo, etc) e indiretti (indicatori di qualità di vita forniti da
caregivers), parametri vegetativi (come la pressione o la frequenza cardiaca, etc). Queste tecniche
sono promettenti.

Ma non è una terapia rivolta solo ai più piccoli…
Infatti. Da alcuni anni anche in “popolazioni” di pazienti si utilizza l’insegnamento strutturato
della musica per sfruttare le sue potenzialità. Ad esempio nei pazienti con ictus, la musica viene
utilizzata ad Hannover dal gruppo di Altenmueller per recuperare la fluidità di movimento nell’arto
paretico, oppure nei pazienti parkinsoniani, l’utilizzo del ritmo e della musica facilitano la
marcia.

Ultimo aggiornamento: 19/09/09

www.ilsalvagente.it

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