Musicoterapia: dal suono all’uomo
Intervista a Domenico Vitolo
SARNO, 03 NOVEMBRE 2011 – Laddove non funzionano le parole, arriva la musica. L’idea che
l’educazione artistica migliori le abilità cognitive è alla base dell’approccio adottato dalla
musicoterapia. Quali sono i benefici di questo approccio? Cosa significa comunicare attraverso la
musica? Lo abbiamo chiesto a Domenico Vitolo, musicista e musicoterapeuta campano.
Musicoterapia: letteralmente prendersi cura di qualcuno attraverso l’utilizzo della musica. La musica può fare veramente del bene?
Assolutamente si! Non riesco ad immaginare una vita umana senza la musica, anche un rumore può
essere musica. Siamo stati creati con due mani, due occhi, due bracciatutti siamo in grado di
suonare un ritmo binario, di cantare una canzone, di andare ad un concerto. Persino i cori ultrà sono un momento di collettività musicale!
Puoi spiegare a chi non conosce questo metodo cos’è la musicoterapia e a cosa serve?
La Musicoterapia è una disciplina paramedica che utilizza il suono, la musica e il movimento per
provocare effetti regressivi e aprire canali di comunicazione con lobiettivo di attivare il
processo di socializzazione. Si può assimilare pertanto ad una tecnica psicoterapica utile per migliorare la qualità della vita, riabilitare e recuperare, dove è possibile.
Ogni essere umano è una partitura vivente (Stein) che il musicoterapista impara a leggere
attraverso un percorso di formazione. Al di là della preparazione professionale, la dimensione umana
riveste un ruolo importantissimo in questo lavoro. Quali sono, secondo te, le doti umane che un musicoterapista deve possedere?
La pazienza, lempatia, entrare nellaltro individuo ed immedesimarsi in lui, e linventiva.
Tu sei un musicoterapista con tantissime esperienze alle spalle, cosa ti ha spinto a diventarlo?
Innanzitutto lamore per la musica che mi accompagna da quando ero un bambino. Crescendo ho iniziato
a lavorare per il sociale come volontario, e ho capito che questo mondo mi appartiene, lo sento mio,
mi trovo a mio agio. Quando ho scoperto che esisteva una disciplina che accomunava le mie più grandi passioni, non ho esitato ad intraprendere questa strada.
La musica è un potente canale comunicativo che riesce a stabilire un contatto anche laddove sembra
impossibile. Tipico è il caso delle persone affette da autismo. Hai avuto qualche esperienza in merito? Puoi raccontarcela?
Ho seguito un bambino dolcissimo affetto da questa affascinante patologia. Allinizio è stata dura
perché era il mio primo caso da musicoterapista e poi perché i bambini affetti da autismo allinizio
sono molto diffidenti. Non è semplice avvicinarli, infatti ho avuto molta pazienza. La terapia è
durata cinque mesi e mi ha molto sorpreso tutto il percorso: il bambino allinizio non sembrava
interessato, era perso nel suo mondo, per i primi due mesi eravamo distanti, ma non mi sono
scoraggiato e dopo un po ho capito che si stava pian piano avvicinando a me attraverso il suono.
Grazie agli strumenti e alle tecniche di musicoterapia sono riuscito ad entrare in contatto con lui, ad interessarlo. È stata unemozione grande!
Oggi tutti ascoltano musica. Ma si tratta spesso di un ascolto distratto, che diventa sottofondo per
altre attività. Beneficiare veramente della musica significa soprattutto saperla ascoltare. Così
come bisogna saper ascoltare gli altri, per stabilire un contatto autentico e fornire un aiuto adeguato. Cosa significa per te saper ascoltare?
Ascoltare per me significa emozionarsi. Significa stare attenti a tutto ciò che ci circonda. Molto
spesso tendiamo ad ascoltare solo ciò che ci aggrada. Abbiamo paura di affrontare anche le cose che
ci appaiono negative. Io credo che bisogna ascoltare tutto nella vita. Per me lemozione è
ambivalente. E anche le note più nascoste, o che tendiamo a scacciare dalla nostra vita sono importanti. Chi non ascolta a fondo non cresce.
Qual è il ricordo più bello che hai della tua esperienza da musicoterapista?
Durante una mia esperienza di volontariato a Zagabria, in un ospedale pediatrico che si occupava di
orfani diversamente abili, con patologie molto gravi. Spesso portavo con me dei bambini vicino al
pianoforte. Tra di loro cera una bambina sordocieca ed io ero solito farla sedere sul pianoforte
mentre suonavo. Lei, ovviamente, non riusciva ad ascoltare la musica, ma ne percepiva le vibrazioni
e questa cosa la faceva sorridere e tranquillizzare; le sue stereotipie (azioni, atteggiamenti e
comportamenti caratterizzati da ripetizione monotona e rigida di movimenti di segmenti corporei, di
gesti o atti, frasi, senza alcuna apparente finalizzazione ndr) venivano cancellate. I suoi sorrisi
mi scaldavano lanima. Ecco una sfumatura molto importante della musicoterapia: fa bene a loro ma fa anche molto bene a me!
Lidia Tagnesi – infooggi.it
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