Naltrexone a basso dosaggio: è una panacea?

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Naltrexone a basso dosaggio: è una panacea?

Il farmaco naltrexone, noto da tempo, sembra donare sollievo da molte patologie se assunto a basso
dosaggio. Eppure, in ambito medico si nutrono diversi sospetti. Cosa si sa al riguardo?

Negli ultimi decenni si è osservato un crescente interesse pubblico nei confronti di un antagonista
oppiaceo, il naltrexone. Assunto a basso dosaggio (LDN o Low Dose Naltrexone) sembrerebbe offrire
diversi benefici in presenza di molte malattie, aspetto a cui la comunità medica guarda ancora con
sospetto.

Molto spesso capita di sentir dire agli anziani che la cura non è sempre la medicina, che quanto
prescritto dai medici e venduto dai farmacisti a volte fa più male di altre opzioni.

Questa massima ipotetica sembra essersi avverata con la scoperta, inizialmente casuale, formale e
accademica poi, di questo modo tutto nuovo di assumere il farmaco Naltrexone. Si ritiene un utile
strumento di difesa per varie malattie, persino, secondo quanto è stato affermato, dal cancro e
dall’HIV.

Storia della scoperta del naltrexone a basso dosaggio

Intorno al 1985 l’ormai scomparso Dr. Bernard Bihari (psichiatra newyorkese laureatosi ad Harvard)
-sulla base di un importante numero di pubblicazioni sui suoi lavori, si rese conto che l’assunzione
di naltrexone a basso dosaggio migliorava la risposta immunitaria all’HIV (virus responsabile
dell’AIDS).

Alcuni anni più tardi scoprì che questo farmaco, che in dosi terapeutiche (ovvero prescritte per la
somministrazione ufficiale, come aiuto nella disintossicazione da oppiacei) veniva utilizzato nei
casi di dipendenza da eroina e/o da morfina, dava benefici anche a pazienti affetti da cancro e da
malattie autoimmuni.

Secondo i registri dei progetti terapeutici del Dr. Bihari, in quasi un quarto dei circa 500 casi di
neoplasie da lui trattati con l’aiuto del naltrexone a basso dosaggio, questo farmaco ha ridotto le
dimensioni del tumore di almeno il 75%.

Sin dalle prime fasi della somministrazione -e nel corso dello sviluppo successivo- il Dr Bihari
ipotizzò che il meccanismo anticancerogeno dell’LDN si deve probabilmente alla sua tendenza a
incrementare il numero e la densità di recettori oppiacei nella cellula.

In particolare, i recettori di endorfine, i cosiddetti oppiacei naturali o molecole della felicità,
il che la rende più sensibile ai benefici terapeutici della suddetta molecola. Anche il numero e
l’azione delle cellule immunitaria sembrano aumentare grazie a questo farmaco.

Per molte persone è difficile credere che un solo farmaco possa svolgere tutte queste funzioni. Ma
la LDN non tratta i sintomi, come invece fa la maggior parte dei farmaci. Lavora controcorrente per
regolare i meccanismi di base responsabili di uno stato di malattia.

-Dr. Burton M. Berkson-

Per quali disturbi potrebbe essere utile questo approccio?

Oltre alla già note utilità nella lotte alla dipendenza, sono molte le patologie che potrebbero
trarre beneficio -almeno ipoteticamente- da questo approccio terapeutico così poco conosciuto:

Cancro.

Epatite C.

Lupus.

Neuropatie diabetiche.

Colite Ulcerosa.

Dermatomiosite.

Autismo.

Sclerosi Multipla (SM).

Sindrome della stanchezza Cronica (ME/CFS)

Morbo di Crohn.

HIV/AIDS.

Morbo di Alzheimer.

Morbo di Parkinson.

Sindrome del Colon Irritabile.

Tiroide di Hashimoto.

Ecc.

Il naltrexone a basso dosaggio

Risulta di grande interesse che una sola sostanza possa avere effetti su tante malattie così diverse
tra loro, anche se agli occhi più esperti può apparire evidente una sorta di connessione che collega
tutte queste patologie.

Presentano tutte un processo infiammatorio e di carattere autoimmunitario. Meccanismi per i quali
una disfunzione immunitaria provoca una reazione del nostro stesso sistema immunitario contro le
nostre cellule stesse.

I problemi trattati con l’LDN hanno in comune tra loro una stessa caratteristica: in tutti i casi il
sistema immunitario svolge un ruolo centrale; sono anche presenti bassi livelli ematici di
endorfine, che contribuiscono ai deficit immunitari associati alla malattia.

-Dr Bernard Bihari-

Come agisce esattamente la LDN?

Il meccanismo di azione di questo farmaco non potrebbe essere più logico e semplice, oltre che, al
tempo stesso, complesso. Anno dopo anno vengono a galla nuove scoperte sui processi biochimici a cui
prende parte, così come emergono sempre più benefici per molteplici malattie.

Una delle scoperte più recenti le attribuisce la capacità di aumentare la sopravvivenza dei neuroni
a seguito di danno cerebrale. Ciò si deve all’azione del naltrexone sulle citochine, che regolano i
processi infiammatori. Dietro questi meccanismi sembrano celarsi, in ordine cronologico:

Temporanea inibizione del rilascio di endorfine.

L’organismo reagisce con un incremento del rilascio delle stesse così come della quantità di
ricettori cellulari che si uniscono a queste molecole.

Esauritosi l’effetto inibitorio dell’LDN, ci troviamo di fronte a un aumento delle endorfine in
circolo che, oltre a promuovere una sensazione di benessere e persino un aumento della libido, dà
origine alla crescita del numero di potenti difensori linfociti T.

Lo squilibrio delle cellule T, tipico di una vasta gamma di malattie, risulta ripristinato, con
conseguente riduzione degli effetti della malattia.

Perché i medici non parlano spesso di questa terapia?

Molte fonti affermano che l’utilizzo della LDN, con le dovute precauzioni, è relativamente sicura.
La quantità di naltrexone indicata varia in base alla persona e alla patologia e in ogni caso
dovrebbe essere prescritta da uno specialista che inoltre si occuperà di monitorare la situazione.

Nelle prime fasi del protocollo LDN possono insorgere sintomi quali la debolezza, la disestesia, la
stanchezza, il dolore e, in particolare, i disturbi del sonno e gli incubi.

Questi effetti secondari, in ogni caso, dovrebbero sparire nel giro di una o due settimane e sono
dovute a insolite quantità di endorfine nell’organismo.

Qualunque persona interessata al potenziale utilizzo di questa variante terapeutica deve, come già
indicato, consultare un medico specializzato.

Oltre a ciò, è più che probabile che il suo medico non abbia familiarità con questo approccio
terapeutico, visto che è scarso l’interesse che il suo studio e la sua applicazione suscita in campo
clinico e tra le grandi case farmaceutiche.

Ciò si deve allo scarso profitto economico della sua commercializzazione a tale fine, tanto che
potrebbe essere il paziente a informare il professionista sanitario su questo tema.

bit.ly/3BKIJSa

da lista mente gg

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