Né qui, né là

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Né qui, né là

(di Thomas Moore)

Esistono luoghi, in questo mondo, che non sono né qui né là, né sopra né
sotto, né reali né immaginari. Sono i luoghi di confine, difficili da
trovare e ancora più da tollerare. Tuttavia, sono i luoghi più fertili che
esistano. Infatti, in queste strettoie liminali la vita prende forme fuori
dall’ordinario, creative e talvolta genuinamente magiche. Tendiamo a
dividere la vita in mente e materia, dando per scontato che dobbiamo essere
nell’una, nell’altra o in entrambe. Ma la religione e il folclore parlano di
un altro luogo, spesso scoperto per caso, dove si verificano strani eventi e
impariamo cose che non potremmo conoscere in altro modo.

A volte, i luoghi di transizione sono fisici e abbastanza ovvi. Un
ascensore, per esempio, è un luogo particolare dove può essere difficile
parlare, e dove le convenzioni sociali possono sembrare bizzarre. Una scala
mobile offre molte occasioni di esistenza interstiziale, quando è possibile
vedere tutto ma non fare niente. Come scrittore, sono alla ricerca di luoghi
liminali dove sono accumulate idee, parole e immagini pronte all’uso. Per
molte persone, la doccia sembra uno di questi luoghi, ma non per me. Lì
ricevo moltissime sensazioni, ma nessuna reverie. Suonare il pianoforte mi
pone su una soglia in cui i pensieri si moltiplicano e prendono vita. Ma una
conferenza noiosa è la cosa migliore di tutte, anche una che stessi tenendo
io.

L’emozione è un buon veicolo verso i luoghi di confine. Si sentono storie di
persone che, dovendo salvare un bambino, hanno scoperto di possedere una
forza prima sconosciuta. Io mi sono spinto più in là dell’ordinario nei
momenti di depressione, quando ero così chiuso che un senso sconosciuto
dell’io
sembrava emergere improvvisamente dall’ombra. Il Natale e Halloween, se
vissuti in modo autentico, possono gettare un incantesimo che mette in
secondo piano la consapevolezza ordinaria, creando una magia momentanea.
Credo che l’esuberanza fantastica di queste due festività, a parte i
significati religiosi, mantenga sana la nostra società eccessivamente
razionale.

La forma di un ingresso è fondamentale. Una porta. Una finestra. Abbiamo
bisogno di una crepa nella superficie (altrimenti impenetrabile) di ciò che
giudichiamo reale e decoroso. Recentemente, una donna mi ha scritto per
raccontarmi un sogno. Si trovava in un giardino, teneva per mano un bambino
e stava entrando nel buco di una siepe, quando una farfalla si è posata sul
suo naso, coprendole il viso. Questo è il passo numero uno: abbiamo bisogno
di un caso fortunato che celi la nostra identità tradizionale. I greci
pensavano che l’anima fosse una farfalla: una copertura perfetta.

Il buco nella siepe portava verso un’area centrale inondata dal sole.
L’apertura
può non essere fisica, ma è necessaria. Nella selva oscura all’inizio del
suo viaggio cosmico, Dante dice: “Io non so ben ridir com’i’v’intrai, /
tant’era
pien di sonno a quel punto / che la verace via abbandonai”. Prima di
addormentarmi, le idee vengono fuori, e talvolta mi chiedo se il problema
della droga nella nostra società non sia nulla di più che la ricerca del
sonnambulismo dantesco.

La religione cerca di trovare e costruire metodi per farci addormentare,
farci sentire perduti, farci partire e arrivare: pellegrinaggi, processioni,
digiuni, incensi, canti, testi illuminati. In modo simile, la psicoanalisi
utilizza il transfert, che vuol dire portare attraverso, un termine che
richiama facilmente un ponte; Sandor Ferenczi lo ha interpretato come il
movimento da ciò che è a ciò che sarà. Nella vita comune abbiamo bisogno di
tecniche efficaci, adatte al nostro carattere, che ci portino fuori
dall’abitudine
e dai sentieri battuti.

Lo stesso giorno che ricevetti la lettera sul sogno della siepe, ebbi
notizie da una persona che si stava chiedendo se abbandonare l’esercizio
della professione forense e diventare storico dell’arte. Era come se si
trovasse dentro un ascensore: lo stare tra un luogo e l’altro lo riempiva di
disagio. Ma questa è un’altra caratteristica delle soglie: l’insicurezza
sembra l’emozione consona al luogo. Scrissi di rimando a quella persona
dicendo che provavo allo stesso tempo invidia e sollievo per non essere nei
suoi panni.

Penso che la sventura della liminalità richieda una cura specifica. Abbiamo
bisogno di esplorare più a fondo e con più determinazione quella dimensione
che si trova sotto i sassi e al di là dello specchio. Siamo troppo sinceri,
produttivi e realistici. Nel suo piccolo libro, dall’appropriato titolo di A
Celtic Twilight (Crepuscolo celtico), W. B. Yeats racconta molte storie
sconcertanti su personaggi che non sono né fate né esseri umani, o che sono
entrambi, e che sarebbero buoni modelli di comportamento per tutti noi:

Vicino alla strada dell’ospedale c’è il sentiero delle «fate». Tutte le sere
esse vanno dalla collina al mare, dal mare alla collina. Alla fine del
sentiero, dalla parte del mare, c’è una casetta. Una notte, Mrs. Arbunathy,
che viveva là, lasciò la porta aperta, come se stesse aspettando il figlio.
Suo marito si era addormentato accanto al fuoco; un uomo alto entrò e si
sedette accanto a lui. Dopo un po’, la donna disse: «In nome di Dio, chi
sei?». Egli si alzò e se ne andò, dicendo: «Non lasciare mai la porta aperta
a quest’ora, o il maligno potrebbe venire da te». Lei svegliò il marito e
gli raccontò il fatto. «Uno degli Esseri Buoni è stato con noi», disse lui.

In psicoterapia ho sentito molti sogni di porte lasciate socchiuse e
finestre aperte. Il sognatore era mortalmente spaventato da chi o cosa
potesse entrare a causa di questa negligenza; io naturalmente, come
terapista, sospettavo che chiunque fosse, era probabilmente una persona
utile e necessaria.

Spesso raggiungiamo le soglie più facilmente quando siamo disattenti. Se
desideriamo i benefici delle soglie, invece di cercare sempre la
consapevolezza e la vigilanza, potremmo cercare una pausa nella nostra
attenzione. Dal mio punto di vista, l’accento che alcune comunità spirituali
pongono su una consapevolezza continua è controproducente.

Sono attratto dalle porte, gli ingressi e i vestiboli. In un’altra vita, mi
piacerebbe essere un fabbricante di porte straordinarie. Esse sono vere e
proprie soglie, e allo stesso tempo immagini di profondi passaggi
transitori. In piedi in un ingresso sei costretto a usare l’immaginazione,
chiedendoti cosa troverai dall’altra parte. È un luogo pieno di fantasie di
aspettazione. Gaston Bachelard ha detto: “Se una persona dovesse fare un
resoconto di tutte le porte chiuse, aperte o che vorrebbe riaprire, dovrebbe
raccontare la storia di tutta la sua vita”. William Blake ha realizzato
un’incisione
della porta della morte, in cui si vede un vecchio che sta per passare sotto
l’architrave, con la didascalia: “La porta della morte è fatta d’oro, che
gli occhi immortali non sono in grado di scorgere”
.
L’atrio (foyer) di un edificio è un altro luogo di speciale suggestione
liminale e magica. Esso ti porta all’interno dal caldo o dal freddo,
preparandoti a un clima umano e alle relazioni. Nei teatri, è anche luogo di
convivialità durante l’intervallo – liminale in sé – di una recita, uno
spettacolo o una musica; in esso è possibile tornare a parlare, mangiare e
muovere il corpo. È una pausa deliziosa e ristoratrice.

Secondo un’audace spiegazione etimologica, foyer ha la stessa radice di
focus, che vuol dire cuore o focolare, e che è strettamente connessa con la
divinità Hestia, cioè il calore delle emozioni elevato al rango di divinità.
Fatto interessante, Keplero usava il termine focus per indicare il punto
centrale di una lente di ingrandimento, probabilmente perché è il punto
attraverso cui puoi bruciare una foglia o un piccolo insetto, come confesso
di avere fatto quando ero ragazzino. Il foyer è dunque il punto caldo,
l’athanor
alchemico in cui avvengono le cose, il forno o la griglia di trasformazione.

Questo è il punto chiave riguardo le soglie: non sono il luogo della vita né
della morte. Nei loro angusti confini, puoi trovare la fantasia, la memoria,
il sogno, l’ansia, il miracolo, l’intuizione e la magia. Questi sono i
mezzi – né all’interno della vita né del tutto al di fuori di essa – grazie
ai quali prospera l’anima profonda. Questo è un buon luogo in cui prendere
una decisione e avere un’intuizione. È la dimora autentica della creatività.
È anche il luogo claustrofobico della massima paura. In questi interstizi –
tunnel, passaggi e periodi attesa – può avvenire qualunque cosa. Essi sono
indispensabili, tuttavia devono restare tangenziali.

Ci vuole molto coraggio per restare il tempo necessario in un luogo di
confine, e occorre molta sacra follia per cercarne uno. Forse abbiamo
bisogno di un’esperienza di soglia solo per trovare la soglia giusta.

Le mie preferite sono: un pianoforte, una cattedrale gotica, un megalite, un
dolce, un sentiero nella foresta, un pub irlandese, una stanza da letto
buia, Guillaume Dufay, una vasca da bagno a lume di candela, Lord Peter
Wimsey, il dopobarba, le brughiere e il caprifoglio. Tutte queste cose
stanno ai margini della vita, ciononostante ognuna la rende meritevole di
essere vissuta

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