Secondo una ricerca di Henry Lai, biologo dell’università di Washington, le onde elettromagnetiche
portano danni alla salute
Henry Lai è un minuto professore di biologia dell’Università di Washington. Arrivo nel suo ufficio
di Seattle, stipato di documenti e libri, dopo aver letto la sua storia sulla prima pagina del
giornale locale: con il Bioinitiative Working Group, Lai e i suoi colleghi stanno portando avanti
tra mille difficoltà la ricerca sui danni causati dalle onde elettromagnetiche. Per capirci, quelle
prodotte da telefoni cellulari e forni a microonde. Per questo, Lai si trova spesso catapultato suo
malgrado là dove scienza, politica e business si intrecciano strettamente, invischiato in una
battaglia in stile Davide contro Golia con una delle industrie più ricche e potenti del mondo:
quella dei cellulari.
L’occasione che lo ha rimesso in prima pagina è il dibattito seguito alla pubblicazione da parte dei
giornali Usa di un avvertimento che arriva dal direttore dell’Istituto di oncologia dell’Università
di Pittsburgh, Ronald Herberman, che ha inviato ai suoi colleghi una nota in cui afferma:
«Recentemente sono venuto a conoscenza di un crescente numero di studi che collegano l’uso a lungo
termine dei telefoni cellulari e possibili effetti negativi sulla salute, incluso il cancro»,
sconsigliandone l’uso almeno per i bambini. Fin qui niente di nuovo, dato che i dubbi sui danni
prodotti dalle radiazioni emesse dai telefonini non sono mai stati fugati del tutto. Tuttavia
l’ironia, come ricorda Lai, è che i media sembrano accorgersene solo quando vogliono, mentre il suo
gruppo di ricerca (e non solo quello) ne parla da più di dieci anni.
Il problema, ripete Lai, è che «questo è un enorme business. L’industria dei cellulari ha un sacco
di soldi e molta influenza sui governi». La strategia dell’industria è spesso questa: «ogni volta
che un ricercatore pubblica uno studio sui pericoli delle onde elettromagnetiche, loro dicono che
quei risultati non sono certi e che non occorre preoccuparsi. Soprattutto, ripetono che non c’è
bisogno di fare altre ricerche». Secondo il professor Lai, è stata la loro influenza a far sì che
negli Stati Uniti «non si faccia quasi più ricerca» su questo problema: quasi «un paese del terzo
mondo», dal punto di vista dei finanziamenti a questo tipo di ricerca.
E lui ne ha avuto esperienza diretta quando la Motorola ha fatto pressioni sulla University of
Washington per farlo licenziare e qualcuno ha scritto ai National Institutes of Health,
l’istituzione che finanziava le sue ricerche, chiedendo di ritirare i fondi. Inoltre il ritrovamento
di un memorandum interno della multinazionale ha permesso di scoprire che c’erano piani per una
“guerra” contro di lui. Negli anni Novanta infatti Lai lavorava a un progetto sulle radiazioni
elettromagnetiche in collaborazione proprio con Motorola: «Siamo stati ingenui» dice ora, nel
credere che loro avrebbero collaborato. Invece, quando i primi risultati hanno cominciato a rivelare
effetti dannosi sul Dna di ratti esposti alle radiazioni, la Motorola si è tirata indietro e uno
scienziato che lavorava a un progetto da 25 milioni di dollari pagati dalla multinazionale è
arrivato a chiedere il licenziamento di Lai e del suo collega Narendra Singh.
L’idea che sta dietro alle loro ricerche è semplice: esponendo le cellule del cervello dei ratti a
dosi di radiazioni considerate “sicure”, Lai ha trovato che si verificavano danni e rotture del Dna,
che possono dare origine a mutazioni e tumori. Niente di più, se non un ulteriore prova che in
questo campo siamo lontani dalle certezze.
In una lettera al Seattle Post-Intelligencer , Paula Thornton Greear, una portavoce di Motorola,
continua a negare di aver fatto pressioni per togliere agibilità al professor Lai, ma allo stesso
tempo insiste nell’affermare che «è noto che la scienza sostiene che molte evidenze dimostrano che
l’esposizione a frequenze radio non induce danni al Dna». Ma quale scienza? Lai mi mostra un lavoro
pubblicato un anno fa su Environmental Health Perspectives che calcola i risultati ottenuti in
diverse centinaia di studi sui danni da radiazioni elettromagnetiche: la maggioranza di quelli
indipendenti ha dimostrato effetti biologici delle onde. La maggior parte di quelli finanziati
dall’industria non ha trovato alcun effetto. In totale, un sostanziale pareggio. Ma allora «non
siamo sicuri che non ci sia alcun effetto. E soprattutto questo studio è interessante perché rivela
un altro dei modi in cui l’industria dei cellulari influenza la scienza», finanziando ricerche che
possono essere usate «per affermare che non ci sono problemi e che non occorre studiare ancora».
Inoltre, secondo Lai, «l’industria dei cellulari ha fatto un buon lavoro anche con i media, che
ripetono spesso che i rischi non esistono, ma forse anche il governo è coinvolto: si tratta di
un’industria troppo grande» per non intravvedere una classica teoria aamericana del complotto. Però
ammette: «forse sono in errore, in completo errore. Ma di certo c’è bisogno di ricerca» e non
possiamo permettere che l’industria impedisca di risolvere queste incertezze. Intanto, se lo
cercate, chiamatelo in ufficio. Ovviamente, non ha un cellulare.
Alessandro Delfanti
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