Neuroscienza. Le mani sulla mente
di Margherita Fronte
Tratto da L’Espresso del 12 dicembre 2002
Seduto nell’ombra, un uomo osserva alcune immagini. Ne dà poi una descrizione precisa: ogni
dettaglio e ogni colore sono illustrati alla perfezione. Ma il flusso di ricordi e le parole si
interrompono all’improvviso, quando un rumore assordante irrompe nella stanza. La macchina ha
iniziato a funzionare. I muscoli sulla testa si contraggono forte, senza provocare dolore. Un
istante dopo l’uomo cerca nella memoria recente una traccia delle immagini che fino a un attimo
prima erano chiare davanti ai suoi occhi. Ma non le ricorda. Non può più descriverle. Un campo
magnetico intenso ha distrutto, per qualche minuto, la sua capacità di formare ricordi. E lui, per
qualche minuto, cerca di afferrare nel buio le immagini sbiadite. Uno scienziato, seduto di fronte,
osserva e prende nota.
L’ultima frontiera delle neuroscienze si chiama stimolazione magnetica transcranica. Ed è una
tecnica potente.
A differenza degli strumenti di imaging usati finora, che permettevano soltanto di osservare il
cervello in funzione, la stimolazione magnetica può interferire con l’attività nervosa. E se
l’ultimo numero del settimanale “The Economist” dedica la copertina alle tecniche della vecchia
guardia, proponendo di usarle al posto della macchina della verità, i neuroscienziati si sono già
spinti molto oltre. Modificando l’attività del tessuto nervoso, la stimolazione magnetica
transcranica promette di curare malattie e di svelare gli ultimi segreti sul funzionamento del
cervello. Ma può anche plasmare le coscienze, i comportamenti e le capacità intellettive, rendendo
incapace di parlare il migliore degli oratori, o abilissimo a risolvere quiz matematici il più asino
degli scolari. Almeno sulla carta, il suo potenziale è illimitato. E proprio per questo va
maneggiata con molta cura.
La tecnica nasce nel 1985, quando Anthony Barker, fisico medico al Royal Hospital di Sheffeld nel
Regno Unito, stupì i colleghi con un esperimento singolare. Barker applicò dei campi magnetici sulla
testa di un volontario e riuscì a far in modo che le sue dita tamburellassero senza che egli avesse
la minima intenzione di muoversi. L’esperimento ebbe una vasta risonanza per le evidenti conseguenze
che portava con sé. E da allora parecchi laboratori in tutto il mondo hanno acquistato i macchinari
necessari per portare avanti queste ricerche. Un resoconto di questi studi è stato appena pubblicato
sulla rivista scientifica “Nature”. Soltanto nel numero precedente la stessa rivista aveva ospitato
uno studio in cui alcuni scienziati erano riusciti a dirigere a distanza i movimenti di alcuni
ratti, stimolando regioni precise del loro cervello. Un esperimento da circo. Ma la tecnica è un
affare serio.
La stimolazione magnetica transcranica si basa sull’applicazione di campi magnetici potenti e di
brevissima durata a livello dello scalpo. Il campo magnetico penetra nella testa senza quasi subire
modificazioni, e induce correnti elettriche in zone localizzate del cervello. «In pratica, i
volontari stanno sdraiati oppure seduti, e l’operatore tiene sulla zona da eccitare una bobina di
rame, collegata a un condensatore», spiega Massimiliano Oliveri, che dopo essersi specializzato
sulla tecnica negli Stati Uniti è tornato in Italia, e conduce i suoi esperimenti fra l’Ospedale
Santa Lucia di Roma e l’Università di Palermo: «Quando parte la scarica si avverte un rumore molto
intenso. L’impulso dura un millesimo di secondo, e può essere ripetuto anche 50 volte nello stesso
secondo. In questo modo si interferisce con l’attività normale del cervello… e poi si vede che
cosa succede».
In origine la stimolazione magnetica era nata con scopi di ricerca. «I primi neurologi la usavano
per studiare i meccanismi cerebrali che governano il movimento», spiega Oliveri. Fra gli anni
Ottanta e gli anni Novanta le tecniche di imaging, che permettono di visualizzare in diretta
l’attivazione delle aree del cervello in relazione alla percezione di stimoli e allo svolgimento di
compiti, hanno permesso di chiarire molti aspetti del funzionamento del sistema nervoso. Ma la
stimolazione magnetica transuranica permette di compiere un passo in più. L’attività delle cellule
nervose, infatti, può essere temporaneamente modificata, aumentata oppure annullata. Così, gli
scienziati non sono più semplici osservatori di ciò che accade: possono fare esperimenti.
Lo scorso anno, stimolando con treni di impulsi magnetici ripetuti la corteccia prefrontale (una
zona del cervello implicata nei processi verbali), il neuroscienziato Alfonso Caramazza e i suoi
colleghi della Harvard University hanno osservato che i soggetti in esame non riuscivano più a
coniugare i tempi e i modi dei verbi, mentre erano perfettamente in grado di volgere i nomi al
singolare e al plurale. Questo significa che il cervello usa regioni diverse per coniugare i verbi e
per declinare i nomi.
Esperimenti analoghi hanno mostrato che è possibile rendere un soggetto incapace di identificare le
espressioni di ira dei suoi simili, o di riconoscere volti familiari; di percepire il movimento
degli oggetti, o di articolare le parole. La stessa tecnica può poi essere usata per migliorare le
performance individuali. Jordan Grafman, dell’Istituto nazionale delle malattie neurologiche di
Bethesda (Usa) è riuscito a incrementare per un breve periodo la capacità di alcuni volontari nel
risolvere problemi di geometria, semplicemente stimolando la zona della corteccia che, secondo studi
precedenti, risulta attiva quando il cervello è alle prese con puzzle e giochi di figure
geometriche. E, a conferma dell’interesse non solo scientifico per le possibilità praticamente
illimitate della tecnica, Mark George, psichiatra della Medical University della Carolina del Sud,
ha ricevuto fondi dal Dipartimento della difesa statunitense per verificare se la stimolazione
magnetica può essere usata per migliorare le capacità mnemoniche.
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