Nobili traghettatori

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Nobili traghettatori

di Altomonte, Athos A

La solitudine è la condizione di chi, avanzando, lascia indietro se stesso:
il sé plumbeo; e si separa anche da tutti coloro che riconoscono solo quel
metallo minore. Allora, vista sotto un diverso punto di vista, la solitudine
può apparire come una posizione privilegiata, magari pesante, ma pur sempre
d’elite. E per eletti non intendo solo gli Iniziati maggiori, ma anche
coloro che si lasciano dirigere sul Loro stesso Sentiero. E chi edifica
Cattedrali sottili, per rappresentare nel mondo delle Idee i principi
sanciti dai grandi Eletti, è un Operaio della Grande Opera. Un’Opera di cui
i Templi fisici sono solo l’ombra nella materia.

Così è detto.

Ognuno prima o poi deve fare la “grande scelta”. Lasciarsi alle spalle la
Città dell’Illusione per avviarsi ad attraversare il “deserto infuocato”,
perdendo di vista gli abitanti che abitano su quella sponda, mentre non sono
ancora in vista quelli che abitavano sulla sponda opposta. E rimandare non
serve.

Ma quando la decisione è presa non bisogna cedere alla malinconia, male
frequente nel viaggiatore incerto, perché sarebbe solo d’intralcio al
cammino. Perciò, non resta che stringere i denti ed accelerare il passo,
anche se ciò, inevitabilmente, può comportare dolore. Ma grande velocità e
grande dolore finiscono per sviluppare grande resistenza: e questa è la via
che sfocia nel potere dell’Atto di Volontà.

Ma non tutti sono “arrampicatori”. Molti hanno paura delle altezze e
preferiscono vie comode su cui attardarsi. Ma è proprio in quei cammini che
s’incappa nelle “tele di ragno” intessute da chi va a caccia dei senza
vista, perché sono quelle le “prede” più facili d’aspettare al passo.

D’altronde nessun “Nero” si avventura per le vette, tantomeno vanno incontro
ai più “agguerriti”.

In fondo perché rischiare un ambiente ostile (le vette) e l’incontro con i
Viaggiatori agguerriti, quando sui pianori abbondano prede indifese? Allora
si “urla” per cercare di allertare qualcuna delle possibili vittime, pur
sapendo che la maggior parte finirà nella rete e morirà per sempre.

Ma non si può afferrare la mano di qualcuno, per tirarlo via, a meno che non
sia lui stesso a tenderla. Altrimenti si corre il rischio d’interferire con
il suo Karma. E questo è vietato.

Ecco che non resta che “gridare da lontano”, fare gesti, ma di più non si
può. E se un “non vedente” fa finta di niente, allora, Karma. Bisogna
lasciarlo al suo destino di morte, perché così lui ha scelto.

Questo è il senso della Compassione. Per l’irreversibile morte delle
personalità che non riescono a collegarsi con l’Ego (Ponte Antahkarana),
tutte destinate al completo dissolvimento.
Questo è molto triste, soprattutto per l’insensata allegria che spesso si
vede stampata sui volti che vanno verso un penoso destino. Ogni personalità
da sola è priva di Libero Arbitrio. Senza collegamento con l’Ego superiore
(l’occhio dell’Anima), il se impermanente ha solo libertà di scelta, e
questa è la più grande fonte di guai per i “non vedenti”.

I più perspicaci usano l’appoggio di un bastone (l’Insegnamento vivente),
per guidarsi e sondare il terreno che non vedono. Ma il bastone bisogna
saperlo usare. E se non si è capaci, magari sarebbe meglio affidarsi alla
guida di qualcuno che ci vede di più e che conosce meglio il terreno.

Ecco che, anche nel deserto, ci sono molti fratelli che fanno i
“traghettatori”. Tra i volenterosi, i più veloci vanno e vengono per
“guidare” i viaggiatori più lenti al di là del tratto più solitario.

Questo allunga di molto la loro permanenza nel “deserto infuocato”. Ma lo
fanno volentieri, anche perché sanno di far parte di un’onda in cui
resteranno finché anche l’ultima goccia non sarà travasata nel “prossimo
bacino”.

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