Non riuscire ad adattarsi, cosa fare?

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Non riuscire ad adattarsi, cosa fare?

Quando sentiamo di non essere capaci ad adattarci, la cosa migliore è fermarci. Non siamo obbligati
a frequentare luoghi, persone e situazioni che non sono a misura nostra. Essere felici della nostra
identità, delle nostre passioni e rafforzare ogni giorno l’autostima devono essere i principali
obiettivi.

Non riuscire ad adattarsi, cosa fare? Sono tante le persone che, in modi diversi, sprecano una
grande quantità delle loro energie cercando di integrarsi, di essere come gli altri, di fare parte
di associazioni. Rinunciano persino alla propria individualità a favore di un rassicurante senso di
appartenenza. Spesso, tuttavia, si dimentica un aspetto fondamentale: quanto sia straordinario
essere unici, diversi dagli altri.

È pur vero che si può soffrire anche per il peso della vergogna, dell’isolamento. In quanto esseri
sociali, abbiamo bisogno non soltanto di interagire con gli altri. Desideriamo anche sentirci parte
di qualcosa, di qualcuno; cerchiamo un minimo senso di appartenenza, di sicurezza, radici che ci
aiutino a crescere, a sviluppare il nostro progetto di vita.

Come conciliare il bisogno di appartenenza con la necessità di rafforzare la nostra individualità,
la “magia” della diversità? In realtà si tratta solo di imparare a bilanciare entrambi gli aspetti.
Tutti subiamo questo scomodo dualismo fra ciò che siamo e ciò che dobbiamo mostrare al mondo per
essere accettati.

Di conseguenza, benessere significa non perdere la propria essenza e il senso dell’io. La chiave si
trova nell’essere accettati dalle persone importanti per noi, nell’essere capaci di apprezzare tutto
quello che siamo, le nostre peculiarità, le nostre grandezze e le nostre insicurezze.

“Dai tempi della mia giovinezza, non sono stato com’erano gli altri, non ho visto come vedevano gli
altri, non ho potuto trarre le mie passioni da una comune primavera” (…)

-Edgar Allan Poe-

Non riuscire ad adattarsi, che sofferenza!

È difficile non sentirsi estranei in questo mondo. In alcuni momenti sembra di andare
controcorrente, di essere apolidi in un paese in cui tutti sembrano incantati dalla stessa melodia,
mentre noi ci sentiamo ispirati da un’altra. Forse siamo come la jacaranda, quel meraviglioso albero
tropicale che fiorisce in una tonalità violacea mentre gli altri intorno a lui fioriscono di verde.

Sentire di non riuscire ad adattarsi fa soffrire (e questo capita molto spesso); inoltre è un tipo
di sofferenza che tende a cronicizzarsi. La sensazione di non sentirsi integrati, infatti, spesso
nasce già nell’infanzia. Tant’è che si finisce per pensare che il problema stia dentro di noi, che
“fiorire” in viola, sia negativo. Quando in realtà le nostre particolari sfumature ci rendono
elementi unici del bosco della vita.

La teoria delle forze vitali di Bowen

Murray Bowen (1913-1990), divulgò negli anni ’50 la teoria delle forze vitali osservando come
l’essere umano si sviluppi sia da un punto di vista emozionale che fisico.

Bowen individuò un aspetto molto importante dello sviluppo. Nell’essere umano esistono due forze
vitali tanto fondamentali quanto opposte.

La prima è una potente forza di crescita che ci spinge verso l’individualismo, una dimensione dove
costruire un io separato dalla nostra famiglia, dagli amici, dalla società.

La seconda forza ci spinge, invece, a ricercare la vicinanza emozionale.

Secondo questo schema, la maggior parte di noi si muove quotidianamente in questa dualità spesso
dolorosa. Ci sentiamo diversi perché il nostro senso dell’io cerca di separarsi dal resto. Tuttavia,
desideriamo ansiosamente di adattarci, di fare parte delle stesse dinamiche in cui si muovono gli
altri.

La vergogna di non riuscire ad adattarsi a niente

Quando sentiamo che non ci adattiamo a niente, tendiamo a colpevolizzarci. Potremmo arrivare a
pensare che il mondo stesso non abbia senso. È ciò che è stato dimostrato in uno studio condotto
nell’Università del Michigan da Gregory Walton e Geoffrey M. Cohen.

In questo lavoro si è potuto notare che le persone che soffrono per lo “stigma” dell’esclusione, per
“l’incertezza dell’appartenenza”, sperimentano un calo della motivazione, del rendimento scolastico
e lavorativo e presentano un maggiore rischio di soffrire di qualche tipo di malattia psicologica.

Voglio “sentirmi parte”, cosa posso fare?

Spesso, l’idea di non riuscire ad adattarsi ha la sua origine nell’ambiente familiare. La nostra
educazione e le dinamiche che si instaurano in questi micro scenari instillano in noi prematuramente
l’idea di “non essere normali”. Magari non ci sentiamo tali agli occhi dei nostri genitori perché
non siamo brillanti come nostro fratello.

Perché siamo venuti su più ribelli, perché i nostri interessi, i gusti e le nostre passioni non si
confanno al progetto familiare. In questo modo, potremmo trascinarci questo marchio per anni,
riducendo le nostre abilità sociali, l’autostima e la nostra identità. Per evitare di soffrire, e
per rafforzare queste nostre dimensioni e migliorare il nostro senso di appartenenza, varrebbe la
pena di riflettere su queste idee.

Definite chi siete e permettetevi di splendere

Uno dei contributi più interessanti di Carl Jung fu la teoria del processo di individuazione.
Secondo questo approccio, una delle nostre responsabilità più importanti è risvegliare il nostro
potenziale, la coscienza individuale, vincere le nostre paure e resistenze ed esprimerci di fronte
al mondo così come siamo. Con sicurezza e gioia.

Questo processo ha bisogno di tempo. Tuttavia, prima di “volerci adattare agli altri” la cosa più
giusta è “adattarci a noi stessi”. Bisogna imparare ad accettarci, sapere chi siamo e cosa vogliamo.

Non si tratta di “incastrarci”, ogni resistenza crea dolore

Tutti abbiamo cercato qualche volta di “incastrare” un pezzo forzatamente in un angolo del puzzle.
Ci rendiamo subito conto che non serve a niente usare la forza. Non serve quando le forme non si
armonizzano, non serve quando i vuoti non si adattano agli spigoli.

Dobbiamo capire che in realtà, nella vita non bisogna cercare di adattarsi, ma è necessario fluire.
Se cercheremo di adattarci per forza, soffriremo e potremmo perfino pensare di rinunciare a parte di
quello che siamo per integrarci in un puzzle sbagliato.

Dobbiamo capire che ci saranno persone, luoghi o gruppi con i quali ci identificheremo, e altri con
i quali non ci identificheremo. Inoltre, nel nostro viaggio alla ricerca di un senso di
appartenenza, potremo fare mille variazioni fino ad ottenere il nostro spazio ideale.

Non riuscire ad adattarsi: siate voi stessi ogni giorno della vostra vita e la vostra “tribù”
arriverà

Non succede niente se per un po’ di tempo continuiamo il nostro viaggio da soli. Durante il
tragitto, ci limiteremo a celebrare noi stessi. Seguendo il ritmo di una passione o di un impulso o
di un particolare slancio, finiremo per trovare la nostra “tribù”; quella dove tutto è in armonia,
dove siamo accettati e valorizzati in ogni nostro aspetto, in ogni sfumatura così speciale.

Per concludere, se sentiamo che non ci adattiamo, la prima cosa che dobbiamo fare è ridurre questa
sofferenza. Gestendo le paure, smussando le insicurezze e rafforzando il senso dell’io e
l’autostima, riusciremo a trovare il nostro posto.

Bibliografia

Walton, GM y Cohen, GL (2007). Una cuestión de pertenencia: ajuste social y logro. Diario de la
personalidad y la psicología social , 92 (1), 82-96. doi.org/10.1037/0022-3514.92.1.82

psycnet.apa.org/doiLanding?doi=10.1037%2F0022-3514.92.1.82

da lista mente gg

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