Non so che cosa avrei fatto senza la pratica!

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Non so che cosa avrei fatto senza la pratica!

di J.Kabat Zinn

Quando viaggio mi capita di continuo di essere avvicinato da persone che
mi raccontano la « totale catastrofe » capitata loro nella vita, una delle
tante possibili, e poi commentano qualcosa come: « Non so che cosa avrei
fatto senza la pratica! ». Ogni volta mi commuovo. Con quella frase si
riferiscono alla pratica meditativa e ai diversi modi di accogliere ogni
genere di esperienze, i quali danno vita sia alle esperienze sia a loro
stessi.

Quando ci installiamo nella consapevolezza del momento presente,
invariabilmente ci sentiamo in intima relazione con le cose così come sono,
comunque siano. Certo, lo siamo in ogni caso, che lo sappiamo o no; ma se
non lo sappiamo, se non ne abbiamo consapevolezza, siamo gravemente
handicappati nella nostra capacità di riconoscere, capire, prendere atto e
accettare la realtà della situazione in cui ci troviamo, specie quando non
è di nostro gradimento. Di conseguenza forse siamo anche gravemente
handicappati nella nostra capacità di agire in modo saggio e gentile e
anche utile. Spesso le azioni non sagge generano situazioni difficili e noi
non riusciamo neanche a capire da dove nascano gli ostacoli, che poi
diventano sempre più grandi.

La meditazione è un modo di ridare un certo grado di equilibrio e di
chiarezza all’interazione fra i mondi inferiori e quelli esteriori; ci
mostra come possiamo incarnare un po’ di saggezza e almeno un pizzico di
compassione proprio qui e proprio ora, come possiamo incarnare la libertà
dalle afflizioni e dalle tempeste emotive. È in grado di calmare il cuore e
di concentrare e schiarire la mente in tutte le stagioni della **vita,
anche nel mezzo delle tempeste più terribili e violente, senza affatto
trascurare l’angoscia e l’enormità della sofferenza che possono generare,
né la necessità di andare avanti anche in situazioni di grandissima e
dolorosa incertezza.

Da dove vengono, quella saggezza e quella compassione? Da dentro di te:
fanno parte della tua costituzione. Puoi arrivare a incarnarle in misura
molto maggiore se ci tieni, basta solo che continui a praticare.

Dunque di nuovo – lo ripeto solo per ricordarlo bene: la meditazione non è
quel che si pensa. Non è una sorta di manovra interiore che zittisce
l’attività di pensiero e reprime i sentimenti e ricopre le cose di una
calma artificiosa, anche se è questo che credono tanti non praticanti, e a
volte anche i praticanti. Non si tratta di aggiustare o sistemare o
raggiungere o ottenere niente. Non è un unico stato mentale, sia pure
meraviglioso. E un andare al di là di tutti gli stati mentali e di tutte le
opinioni, perfino di tutte le diagnosi. E un arrivare a fermarsi, in pace,
in una consapevolezza che può contenere tutto ciò che accade mentre accade,
senza respingere niente, anche Se spiacevole o doloroso e indesiderato,
senza rincorrere all’ esperienza solita, né farne un’ossessione infinita
anche se è estremamente piacevole e vorremmo che non finisse mai.

La meditazione riguarda proprio la libertà: è innanzitutto e soprattutto
una pratica di liberazione. È un modo di essere che ci restituisce l|a vita
e la felicità, proprio qui, proprio ora, strappandola alle chiacchiere
dell’inconsapevolezza, dell’abituale disattenzione, del sonnambulismo che
minacciano di imprigionarci facendoci soffrire quanto soffriremmo se
perdessimo la libertà fisica. Ci libera dal rischio di continuare a
prendere sempre le stesse decisioni [poco sagge], le cui conseguenze ci
stanno lì proprio davanti agli occhi, evidenti e ben riconoscibili, se
solo guardassimo, se solo vedessimo davvero.

Per tutte queste ragioni la pratica di consapevolezza può essere un
catalizzatore naturale per approfondire e ampliare la democrazia, una
democrazia in cui la libertà si incarni non solo nella retorica e nelle
leggi e istituzioni così come sono applicate concretamente (per quanto
siano cose importantissime) ma che si incarni anche nella nostra saggezza
di singoli cittadini: una saggezza duramente conquistata, che proviene
dall’osservazione profonda della nostra vera natura e dalla sua percezione
«da dentro»; una saggezza incarnata nel nostro cuore e nell’amore che
proviamo per i panorami interiori della mente e del cuore. Più intimità
acquisiamo con quel panorama, più efficacemente possiamo partecipare alla
vita della società, apprezzando la bellezza e le potenzialità del tutto
personali di ognuno di noi. Più la gente scende su questo terreno, più
beneficeremo tutti della distribuzione della saggezza e della disponibilità
a prenderci in considerazione reciproca; tutto questo si può tradurre in
comunità più sane, in società più sane, in una nazione che conosce le
proprie priorità e le porta avanti nel mondo, con rispetto e reverenza
sinceri e incrollabili.

Quel genere di libertà non può conoscere frontiere. Se gli altri non sono
liberi, neanche noi possiamo essere completamente liberi, né in pace: è un
dato di fatto molto reale, proprio come non possiamo essere del tutto sani
in un mondo malsano. Ma non significa che siamo in qualche modo « gli unti
del Signore », incaricati di esportare alle altre culture la nostra
definizione e visione della libertà: è molto meglio se, con radici ben
salde in quella libertà, dedichiamo le nostre energie alla guarigione, alla
valorizzazione e al recupero dell’interezza, a cercare terreni comuni a noi
esseri umani. E questo il vero obiettivo della pace e della politica, della
saggezza nel mondo, e può essere l’espressione più profonda e più
soddisfacente della nostra crescita e della nostra forza, una fonte di
vera ferità e forza esterna.

Forse un giorno il capo dello Stato, alla fine di una lunga e faticosa
giornata di lavoro, si rivolgerà a sua moglie dicendo: « Non so che cosa
avrei fatto senza la pratica! ».

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