Nulla da fare e nessun luogo dove andare?

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Nulla da fare e nessun luogo dove andare?

di Rani

< La Pratica Spirituale, la sua bellezza, le sue trappole e strategie ed il
suo vero scopo >

“Non c’è niente da fare e nessun luogo dove andare.” “Non fare nulla!
Semplicemente Sii!”

Chi non conosce questi slogan? Ma chi veramente comprende il significato
profondo di queste parole? La maggior parte delle persone non possono
accoglierle in modo diretto senza l’interpretazione della mente.

Non c’è da meravigliarsi che alcuni recenti percorsi spirituali si esprimano
così nettamente contro la meditazione, l’auto-indagine o qualsiasi altro
genere di pratica, perché per la mente pratica vuole dire: migliorare,
raggiungere qualcosa o fare qualche cosa.

Comunque è precisamente la pratica che sostiene la maggior parte di noi che
siamo su un percorso verso l’unità, verso il “non fare”.

– Pratica come fuga –

Noi esseri umani stiamo sempre facendo qualcosa. Seguiamo consapevolmente o
inconsapevolmente i nostri impulsi mentali. Non sappiamo cosa significa non
fare e lasciare che Dio viva attraverso questo nostro corpo, senza opporre
resistenza.

Non abbiamo molta esperienza, come ricercatori spirituali, di un rapporto
senza conflitti tra la quotidianità e lo spirituale, oppure tra quello che
“facciamo” e quello che pensiamo che dovremmo fare.

Nella maggior parte dei casi il terreno su cui si poggia la nostra vita
spirituale è il fare, un allontanarsi dalla vita così come è, una fuga dai
dolori del passato. Non c’è da andare in nessun luogo, e ciò nonostante
stiamo tentando di fuggire da questo momento per trovarne uno migliore! Noi
vogliamo abbandonare la personalità per trovare il vuoto, creando rifiuto e
separazione nel nome dell’unità.

– La negazione –

Quindi, la verità è che noi non siamo molto abili nel non fare. Finché siamo
presi dal nostro pensare automatico, siamo nel “fare”. Sfortunatamente
conosco troppi cosiddetti illuminati, amici ed insegnanti contemporanei che
stanno seguendo la loro mente nevrotica e dichiarano cose come:

“…accade tutto naturalmente, non c’è nessun “io” che sta pensando.”

Una persona mi disse persino, dopo aver avuto una notte insonne a causa di
preoccupazioni su dei problemi di natura economica:

“Ah! Ma io sono illuminato, io chiaramente non stavo pensando, era solo
un’attività
spontanea della mente. “.

Il negare è profondo. Che peccato che la verità non possa essere espressa.
Una nuova separazione. Così tanti malintesi su ciò che è l’illuminazione.
Chiaramente, capisco il terrore di ammettere di ritrovarsi nuovamente perso
nei pensieri dopo un pieno e profondo risveglio. Anch’io mi sono trovata in
quella condizione.

Tuttavia il dolore di dover mantenere tale facciata è molto maggiore che non
essere nella realtà, nell’Essere chi sei. Inoltre mantiene in vita la bugia
che, una volta risvegliati alla propria vera natura, ci si trova in uno
stato permanente di beatitudine e non si incontra più alcuna profonda
inconsapevolezza. Per la maggior parte di noi, nulla potrebbe essere più
lontano dalla verità. Oltre tutto, questo rifiutare e dissimulare alimenta
le proiezioni che gli studenti hanno verso gli insegnanti.

Un numero crescente di insegnanti ed amici hanno il coraggio di ammettere la
verità della loro realtà, cioè che è stata trovata molta libertà ma che allo
stesso tempo si presenta ancora molto materiale inconscio. La realizzazione
di se stessi non significa che dobbiamo negare i dolori umani, le paure e le
esigenze che ancora si presentano. Possiamo abbracciarli con la nostra
consapevolezza e possiamo riceverli con comprensione.

Jack Kornfield intervistò un numero sorprendente di insegnanti spirituali su
questo argomento nel suo libro “After the Ecstasy, the Laundry” (“Dopo
l’Estasi,
il bucato”).

– Pratica senza motivo –

Quando vogliamo ritornare completamente e pienamente al nostro vero stato
naturale, fluire nella naturalezza dell’amore e della luce ed incarnarlo,
percepiamo che la pratica da noi seguita (meditazione, auto indagine,
preghiera, adorazione) non è un mezzo per giungere a mete più alte ma un
supporto, un ricordo di ciò che è prima del fare. Ciò che è ed è sempre
stato.

Infatti, noi usiamo il “fare” della pratica, per disfare i nostri fare e noi
stessi. Le nostre credenze, il nostro pensiero abituale e la nostra
personalità.

Questa è un’arte piuttosto raffinata.

Hai mai meditato senza un obbiettivo? Solo per il piacere di sederti? Di
essere qui? Sei stato in grado di trovare la perseveranza necessaria quando
non c’era motivo? Hai mai pregato Dio / l’Esistenza senza volere che ti dia
qualcosa?

Ha mai indagato in una credenza solo per amore della verità? Veramente senza
desiderare che la situazione dolorosa che stai indagando scompaia? Anche
questa è un’arte decisamente raffinata.

Il rischio di ogni strumento è che sarà distorto strategicamente dalla mente
per sfuggire dal dolore. L’ego non può sopravvivere senza motivazione o
strategia. Vuole sempre avere qualche cosa in cambio dei suoi “sforzi”, in
effetti vuole sempre. L’ego è semplicemente così. Gli Ego non danno,
vogliono.

– La prospettiva corretta –

Quindi per arrivare alla prospettiva corretta, da dove avviare la pratica,
abbiamo bisogno di divenire consapevoli di tutti gli strati dell’avidità, del
materialismo spirituale, del controllo, della manipolazione e di fuga.

Praticando l’Essere Qui, il primo passo è vedere quanto non vogliamo essere
qui. Quanto non vogliamo essere in questo mondo, in questa società, in
questo corpo, in questa vita con tutti i suoi dolori e difficoltà.
Ammettendo questo, diventiamo immediatamente più veri, meno separati dalle
cosiddette persone non spirituali. Ora possiamo vedere le credenze nascoste
che creano così tanta paura e dolore.

Come: ” Io non voglio avere nulla a che fare con questo mondo perché… È
troppo doloroso… È troppo duro… Le persone solamente ti abusano… Io
non ce la farò mai, ecc.”

L’auto indagine in ogni forma (ma particolarmente come nel Lavoro di Byron
Katie), è una potente torcia della verità. Illumini con la luce della verità
e. vedi! Formulando delle semplici domande: “È vero?”, “Puoi assolutamente
sapere che è vero?”, “Come reagisci quando pensi quel pensiero?”, “Chi
saresti senza quel pensiero?” Poi inverti la frase (cosicché troviamo lo
spettro intero di quella credenza nella dualità).

Emergiamo da tale pratica più veri, più umani e soprattutto più integri.
Sperimentiamo direttamente che tutto è, così come è, che tutto è buono,
perfetto. Comprendiamo direttamente che non dobbiamo liberarci di alcunché
per arrivare in uno spazio migliore. È già tutto perfetto proprio dove
siamo. In altre parole siamo fortemente radicati in una dimensione più
profonda della mente.

Noi siamo esseri multidimensionali e la realtà è multidimensionale. Per
Unità si intende veramente UNITÀ. Tutto è Uno sia nel piano orizzontale sia
nel piano verticale. La personalità è accolta nello stesso modo in cui diamo
il benvenuto alle esperienze di noi stessi di maggior beatitudine raggiante.
Una dimensione non è migliore dell’altra. Se preferisci uno stato interiore
spirituale maggiormente del tuo stato fisico, stai creando ancora
separazione e quindi dolore per te. Come dice Almaas, indicando quella
dimensione più profonda che conosce e vede: “La pratica, invece di volere
realizzare particolari stati, dovrebbe essere rivolta verso l’essere liberi
dal volere qualsiasi stato interiore.”

– L’arte della meditazione –

Ora, come applichiamo questa comprensione della globalità ed unità alla
nostra meditazione? Quando ci sediamo e ci focalizziamo in una particolare
area per esempio, non vogliamo giungere ad un particolare stato interiore?
Cosa facciamo quando un dolore fisico o emotivo appare al posto dello stato
interiore desiderato? Possiamo abbracciarlo come fosse veramente la miglior
cosa possibile?
L’arte della meditazione è molto sottile (ci sono chiaramente molte vie e
tradizioni diverse di meditazione). Stiamo con quello che sta accadendo e
permettiamogli di dispiegarsi e contemporaneamente seguiamo la nostra
particolare pratica. Questo vuol dire che quando il dolore appare, il dolore
è qui, è presente, lo abbracciamo totalmente, senza alcuna riserva, gli
diamo il benvenuto come divino, sapendo che Dio vuole che sia così adesso,
altrimenti non accadrebbe. Ed ogni qualvolta possiamo, ritorniamo ad essere
presenti nella testa, nella pancia o nel cuore, qualunque sia la nostra
pratica di quel periodo.

La chiave è includere tutto. Nulla è qui che non ci dovrebbe essere. Non è
semplicemente possibile per Dio… commettere errori di questo tipo. Quello
che chiamo Dio, lo possiamo chiamare anche Esistenza o in qualunque altro
modo che vogliamo. Quando dico Dio, indico ciò che è onnipresente,
onnisciente, amorevole, buono e globale. Ciò che dà la vita a tutte le cose.
Ciò che io sperimento direttamente al centro di tutto. Nel cuore della
verità.

Insieme alla meditazione, continuiamo l’auto indagine sulla nostra avidità
spirituale che continua a fare capolino ogni volta che pensiamo di avere
finalmente “trovato”. Come manipolo la realtà interiore ed esteriore? Cosa
faccio quando non ottengo quello che voglio? Quando rispondiamo a queste
domande, queste ci rivelano alcune delle credenze più profonde e
fondamentali che possiamo “smontare” con l’autoindagine.

– Il desiderio per la liberazione, come ostacolo –

La più grande trappola è chiaramente il nostro desiderio profondo per la
liberazione.

Domande come: “Cosa voglio realmente?”, “Cosa voglio più della vita?” sono
state date da ogni insegnante a ogni studente. Inizialmente abbiamo bisogno
di rispondere a queste domande per focalizzare la nostra mente, ma quando
ciò è accaduto, quello di cui abbiamo bisogno è lasciare di nuovo tutto il
nostro desiderare a Dio. E come possiamo arrendere il desiderio per la
nostra liberazione?

Osservando, guardando la realtà diritta negli occhi e vedendo che non ci
sono errori, in nessun luogo, che tutto è come dovrebbe essere. Che
l’arrendersi
stesso è parte dell’illusione. Tutto è ed è sempre stato nelle mani di Dio.
Contemporaneamente arrendiamo la mente e ci lasciamo andare energeticamente
nell’immobilità di Adesso. Il processo è molto complesso.

Vogliamo la libertà e se non la stiamo sperimentando nel modo in cui
pensiamo dovrebbe essere, allora anche questo è perfetto. Questa è una
liberazione più profonda e anche questa comprensione può trasformarsi
facilmente in un concetto mentale e quindi in una trappola. Questa
comprensione è una visione dalla profondità del cuore e può accadere
solamente quando la mente si immerge nel cuore, quando la consapevolezza si
scioglie nel cuore divino.

Vogliamo la libertà dal dolore, dalla guerra. Vogliamo la liberazione. Non è
ironico che, mentre noi vogliamo lasciare la violenza, il nostro sforzarsi
per la libertà spesso risulta una battaglia con Dio? Una battaglia con
quello che è. Dio ci porta questa realtà umana e noi vogliamo uscirne.
Vogliamo qualche cosa di diverso da quello che ci è dato.

Ci opponiamo a quello che È, disputiamo con Dio, tutto nel nome della
spiritualità. Vogliamo la pace ma le nostre paure e rabbia ci affliggono e
tentiamo di liberarci di loro per trovare la pace. Siamo sempre in lotta con
la vita e noi stessi. Cosa possiamo fare? Abbiamo una scelta qui?

– Libero arbitrio e scelta –

Oggi ci sono molte persone che hanno ricevuto dal loro insegnante una
trasmissione diretta in un momento di Grazia e cioè che non c’è libero
arbitrio e non c’è scelta. Così hanno veramente compreso che non c’è nulla
da fare. Comunque dopo che il Satsang è terminato accade quasi sempre che la
realizzazione se n’è andata ed è stata sostituita da un concetto mentale. La
realizzazione ora è divenuta una credenza che dice di lasciare perdere
qualsiasi genere di pratica. E senza che nessuno se ne accorga, la mente è
di nuovo al suo posto, riportando la persona direttamente
nell’inconsapevolezza.

Altre persone, di solito i meditatori, credono che esiste il libero arbitrio
e che solamente attraverso i loro sforzi possono arrivare in qualche luogo
migliore. Questo conduce alla rigidità e a una maggiore ignoranza.

Per rendersi conto profondamente della realtà che non c’è alcun libero
arbitrio e alcuna libertà di scelta e vivere questa realizzazione, abbiamo
bisogno di essere fortemente radicati in una dimensione più profonda, oltre
la mente. Quando ciò viene realizzato, sappiamo che ovviamente usiamo il
nostro libero arbitrio sapendo che stiamo agendo “come se”.

Per la maggior parte di noi questa non è la situazione in cui ci troviamo
(anche molte persone che si sono dichiarate illuminato dovrebbero
ammetterlo).

Dobbiamo ritornare al nostro vero Sé, ritornando più e più volte allo stato
naturale per avere l’esperienza diretta di questa verità. Dobbiamo fermarci
per un momento e comprendere di nuovo e poi di nuovo che tutto in questa
vita ed universo fluisce e si muove da solo. Tutto si muove secondo un piano
divino che è assolutamente spontaneo, naturale e libero.

La perfezione è oltre le parole. Il mistero è fantasticamente enorme ed
incomprensibile. Ma noi possiamo sperimentarlo direttamente. Di nuovo e poi
di nuovo, sappiamo che tutto è come è. Così semplice. Che tutto è come
dovrebbe essere, incluse le nostre lotte, paure o esperienze di beatitudine.

Il chiedere ed implorare sono sostituiti dalla gratitudine. La pratica
diviene libera dalle strategie mentali. La vita può essere vissuta e può
essere abbracciata invece di essere rifiutata.

La meditazione, l’auto indagine e la preghiera sono tutte dimensioni molto
profonde della mia vita, infatti, dovrei dire; “Pratica è il mio modo di
vita”. Per anni la pratica è stata un sostituto del vivere, poi ho gettato
tutto fuori dalla finestra nel nome del “non fare”.

Ora finalmente esse sono il fondamento della più grande pratica di tutte le
pratiche: la vita. Ti apri alla vita quotidiana in tutte le sue variazioni,
coi suoi dolori e gioie, i suoi picchi e le sue valli, per vedere veramente
che tutto è Uno.

Se la pratica diviene un sostituto della vita, una fuga dalla nostra
esistenza umana, il nettare si trasformerà prima o poi in veleno e la
beatitudine lascerà il posto all’amarezza e l’amore verrà sostituito
dall’egocentrismo
e dalla separazione.

Se noi non vediamo la divinità nel lavare i piatti o nel trovare un lavoro o
nelle nostre paure e dolori quando appaiono o nel litigare col nostro
partner quando questo accade, i nostri compiti non sono ancora finiti.

Noi siamo esseri umani, qui sul pianeta terra. Ed è esattamente qui che
saranno trovate la liberazione e la completezza.

Proprio qui.

In amore Rani.

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Per avere ulteriori informazioni sul lavoro di Rani, www.ranimu.org

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