OLEANDRUS E LA IATROMUSICA

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OLEANDRUS E LA IATROMUSICA

Prefazione ed articolo di Mario delli Ponti

Dare spazio ad una disciplina come la musicoterapia che presenta certamente elementi
documentatamente seri, iniziando con delle considerazioni volutamente scherzose, non significa
porporne una discussione con un preventivo segno negativo.

Le perplessità dei musicisti nei confronti delle modalità applicative dei suoni in senso terapeutico
sono note: “La musica può far ammalare” diceva Massimo Mila con sdegno provocato dal patetico e
dolciastro rapimento iniziatico di certi adepti, ma anche con l’ orgoglio di chi conosce la
sconfinata ricchezza umana e drammatica del linguaggio.

Di certo egli avrebbe, con almeno altrettante ragioni, potuto dimostrare che “la musica guarisce”.
Ma al grande musicologo torinese premeva sgombrare il terreno da equivoci. Ben sapeva l’ esistenza,
come ieri ha affermato il neo eletto Presidente dell’ Accademia Nazionale di Santa Cecilia Luciano
Berio, di una “musica imbecille”. E a Mila sarebbe apparsa ripugnante e blasfema la parafrasi del
famoso “tutto è Grazia” di Bernanos: “tutto è musica”, così cara e divulgata oggi.

In questo portale c’è spazio per tutti, per ogni esperienza e testimonianza. quindi ci auguriamo di
cuore di ospitare tanti contributi, felici se potremo con questo spazio, dar notizie sul tema della
musicoterapia ( o iatromusica come è scritto nel raccontino che segue, primo intervento in materia )
e fornire contibuti nuovi ed originali.

Non esiste lotta tra bit e atomo. Il mezzo portentoso che usiamo è al servizo della persona nella
sua complessa, straordinaria e straordinariamente indecifrabile interezza.

M.d.P.

Di certo egli avrebbe, con almeno altrettante ragioni, potuto dimostrare che “la musica guarisce”.
Ma al grande musicologo torinese premeva sgombrare il terreno da equivoci. Ben sapeva l’ esistenza,
come ieri ha affermato il neo eletto Presidente dell’ Accademia Nazionale di Santa Cecilia Luciano
Berio, di una “musica imbecille”. E a Mila sarebbe apparsa ripugnante e blasfema la parafrasi del
famoso “tutto è Grazia” di Bernanos: “tutto è musica”, così cara e divulgata oggi.

In questo portale c’è spazio per tutti, per ogni esperienza e testimonianza. quindi ci auguriamo di
cuore di ospitare tanti contributi, felici se potremo con questo spazio, dar notizie sul tema della
musicoterapia ( o iatromusica come è scritto nel raccontino che segue, primo intervento in materia )
e fornire contibuti nuovi ed originali.

Non esiste lotta tra bit e atomo. Il mezzo portentoso che usiamo è al servizo della persona nella
sua complessa, straordinaria e straordinariamente indecifrabile interezza.

Con l’ inizio dello “Scherzo” dal Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn, venni accolto
nella clinica di “fonoterapia artistica” di…Mi si perdoni se non posso citare la località, per
motivi che risulteranno evidenti più oltre. Si trattava di una registrazione, fissata su nastro
chiuso, che accoglie pazienti e visitatori di questo singolare Istituto medico. Io ero tra questi
ultimi, invitato l’ indomani di un concerto tenuto in quella città. Nell’ edificio, di linea
modernissima e circondato da un grande parco, si lavora ancora allo stato sperimentale e ciò spiega
l’ atmosfera di estremo riserbo che ricopre tutto ciò che vi avviene. Tuttavia le notizie
straordinarie che comunque trapelano, forse grazie all’ orgoglio fin troppo malcelato dagli abitanti
di quella località, fanno sì che ogni tanto a qualche “addetto ai lavori” giungano direttamente o
indirettamente, particolari strabilianti sulla natura di quegli studi e sui risultati già ottenuti.
Nell’ atrio, dove piovono da casse acustiche ben dissimulate nel soffitto, le pagine
mendelssohniane, campeggia al centro una scultura.

A prima vista essa sembrerebbe una di quelle mirabili creazioni di Costantin Brancusi che traducono
in forme visibili e corporee, in impressioni irresistibilmente tattili, il suo celebre assioma: “La
Bellezza è equità”. Ma, a differenza di Brancusi, con le sue stilizzazioni purissime di pesci, di
ali d’ uccello in volo, di uovo, l’ autore della forma esposta all’ ingresso della clinica
aggiungeva a dolcezza, potenza e mistero dell’ artista rumeno, un senso di movimento, di ancor più
silenziosa, ma alacre vitalità. Quest’ opera plastica appariva come vela appena mossa dal vento o
cima ondulata di una montagna coperta di neve, contro cui pare fermarsi a disegnarla l’ azzurro del
cielo. Non vi era alcuna targa con titolo e nome dell’ autore, ma difficilmente poteva far venire in
mente qualcosa di diverso da una straordinaria rappresentazione simbolica della musica. In fondo
all’ atrio, dietro un tavolo con i pannelli luminosi di un centralino video-telefonico, un’
infermiera in un abbagliante camice certamente disegnato da un grande stilista, abbronzata e dalla
voce vagamente esotica da receptionist poliglotta di una multinazionale, mi consegnò una specie di
casco da motociclista da cui pendeva un cavetto con spina: ” É una cuffia stereo – mi spiegò – le
servirà per inserirsi in ascolto nei locali della clinica.

Munito quindi di questo aggeggio che sarebbe troppo banale definire da cosmonauta, mi inoltrai nella
direzione indicata, come se si fosse in un museo dove si varca l’ atrio da un lato per ritornarvi
poi , alla fine della visita, da quello opposto. La prima sala sembrava proprio quella di una
galleria d’ arte: mi venne incontro un signore dall’ aria un po’ spiritata, ma certamente dotato di
forte presenza carismatica che, se le evidenze anagrafiche non avessero negato ogni suggestione,
avrei di certo preso per Gustav Mahler, tanto era impressionante la rassomiglianza sua con i
ritratti del grande musicista. “Sono il professor Oleandrus – esordì – e sono incaricato di farle da
guida nella clinica. Lei adesso si trova nella Sala degli Orfei che precede i padiglioni medici veri
e propri. Lei viene dall’ atrio dove avrè ascoltato lo “Scherzo” di Mendelssohn. Per un
professionista questa non è certo una pagina che giunga sconvolgentemente nuova, ma, mi creda, per i
nostri pazienti spesso del tutto ignari d’ arte, che attendono di essere registrati dalla
segreteria, essa agisce un po’ come il Lete di Dante: dà lì oblio, toglie la pesantezza delle cose
troppo terrene. Qui sotto ogni quadro è disposta una presa per la cuffia. Insieme a questo Orfeo di
Poussin lei può ascoltare Gluck, sotto quel Mantegna, Monteverdi, con quella china di Paul Klee, i
pezzi per clarinetto solo di Strawinsky, insieme a quel Casorati la Scarlattiana di Casella e così
via. Qui da noi Orfeo non è solo il mitico “inventore” della musica, ma è considerato il primo vero
e proprio “guaritore” attraverso i suoni, il nostro patrono. Del resto questa non è che una sala
introduttiva: Nella prossima inizia il settore esclusivamente medico.” E aprì una porta.

Ci trovammo in un ambiente completamente buio. “Ora siamo nelle camere dell’ anamnesi – proseguì
Oleandrus. Ogni paziente si distende su di un lettino come dallo psicanalista e detta al microfono i
sintomi che manifesta. Un elaboratore elettronico nel sotterraneo ricava quasi istantaneamente una
diagnosi preliminare ed assegna al malato la linea terapeutica da seguire. Quindi i pazienti vemgono
smistati ai vari reparti. Per esempio nalla camera n.14 è entrato ieri un avvocato di 58 anni.
Sembrava inesorabilmente avviato alla sala operatoria essendo fallite tutte le normali e più
aggiornate vie terapeutiche. Oggi, invece, grazie alle precise indicazioni anamnestiche ha già
iniziato, un trattamento ben mirato e fra poco più di un mese uscirà perfettamente guarito. Quasi
tutti i nostri guai fisici-e qui lo sguardo del Professor Oleandrus si fece ancor più esaltato-
dipendono da una avvenuta minor resistenza psichica allo scorrere più o meno traumatico della vita.
L’ ascolto razionale e terapeutico della musica ripristina questo stato di forze necessarie al
divenire fisiologico dell’ uomo. Del resto è più che lecito considerare l’ arte come fonte d’
energia. Abbiamo anche stabilito dei parametri quantitativi e qualitativi per classificare la musica
nella sua funzione curativa. Essi sono l’ ergofono e il melometro.

Il primo stabilisce un fattore attivante; il secondo uno di riposo, rilasssante. Il paziente riceve
dal computer una valutazione ergofonica e melometrica in funzione di una misura ottimale calcolata
100. Tanto per semplificare la spiegazione, il malato di cui le avevo parlato prima indicava 55 di
ergofonia e 35 dimelometria. Per cui gli è stata inizialmente assegnata una cura di 45 unità
ergofoniche e di 65 melometriche. Un equipe di medici-musicisti ha lavorato nove anni per mettere a
punto una classificazione in tal senso di gran parte della letteratura musicale e continua ad
operare per completare questa indagine e per aggiungervi i necessari aggiornamenti. “Farmaco” e
posologia sono stati fissati con assoluta precisione. Inoltre questo gruppo di studiosi ha messo a
punto, in collaborazione con famosi tecnici di Silicon Valley un sistema computerizzato di realtà
musicali virtuali. Con interfacce come un casco dai display stereoscopici, tracciatori magnetici,
guanti particolari, mouse tridimensionali a forma di bacchetta, è possibile vivere esaltanti e
liberatorie esperienze entrando in uno scenario ricavato dalla campionatura accurata dei video di
grandi direttori d’ orchestra. Lei saprà benissimo del resto, quale sensazioni vibranti, fisiche e
psichiche, procuri l’ esercizio direttoriale.”

Certo che lo sapevo! Il delirio di potenza dello strumentista ha spesso trovato sfogo nell’ agitare
una bacchetta. Ma a sentire tutte quelle spiegazioni, io, povero pianista, ero sprofondato in una
inattesa crisi professionale e di identità. Ma come -mi dicevo- da tanti anni suono in giro per il
mondo e solo ora vengo a sapere che ciò che credevo fosse l’ irripetibile e l’ immisurabile per
eccellenza è invece consumato e pesato come una pastiglia d’ aspirina e poi anche campionato e
clonato. Allora, se ciò è vero, chissà quante volte ho creato danni facendo sentire ad un iperteso
una musica molto ergofonica o a un depresso pagine dal forte valore melometrico. E quanti se ne
creeranno quando i marchingegni della musica virtuale saranno alla portata di un qualunque utente di
Personal computer come software in alternativa ai videogames.

Io intanto ero giunto alla fine di quella sala buia in comunicazione con le camere dell’ anamnesi.
Mi mancava quasi il respiro: ero intanto entrato in un grande ambiente dal bianco accecante dove
decine di persone, con un casco uguale al mio se ne stavano tutte sedute contro il muro con il loro
cavetto inserito in un apposita presa, come se stessero facendo applicazioni di aerosol. Io mi
sentivo sempre più a disagio in quell’ ambiente così insolito e inquietante dove la musica veniva
usata secondo modalità a me ignote. “Questo è il padiglione del primo ascolto – incalzò Oleandrus –
dove avviamo i malati alle prime audizioni terapeutiche.” E dopo un po’, mi scoprì impallidire
guardando tutta quella gente intenta ad ascoltare ciascuno una diversa musica nel silenzio assoluto
assicurato dalle cuffie: “ma lei non si sente bene – osservò con accorata premura e mi portò subito
verso una poltroncina libera – le do una bella scarica di 90 unità ergofoniche e vedrà che starà
immediatamente meglio.” Armeggiò un po’ con la spina e con un paio di pulsanti, dopo di che udii in
cuffia una musica che mi assalì con suoni di inaudita potenza suggestiva e che, pur vergognandomene,
non riscii a identificare. Vistomi in breve ben rianimato Oleandrus mi disse: “Ancora una volta la
più bella pagina del nostro secolo non ha fallito lo scopo!”

Scusandomi alla meglio per ignorare tutto di questa straordinaria musica che colpevolmente non avevo
mai udito, gli chiesi cosa fosse. “Pochissimi la conoscono – rispose benevolmente – è il finale di
Apocalipsis cum figuris di Adrian Leverkühn.” Passai quindi alla sala successiva. Troneggiava al
centro una poltrona dall’ aspetto un po’ sinistro come quella di un dentista. Al posto del trapano,
da una colonna di acciaio maltato in verde chiaro, pendeva un groviglio di cavi. Era un apparecchio
per elettroencefalografie a cui venivano collegati i pazienti per controllare le loro reazioni alle
cure. Gli elettrodi venivano collegati alla scatola cranica durante gli ascolti programmati secondo
il fabbisogno accertato di ergofonia e di melometria. Mentre Oleandrus mi forniva queste
spiegazioni, mi lanciava strani sguardi come mossi da una incontrollata cupidigia. “Non abbiamo mai
fatto – mi disse – esperimenti di questo genere con esecutori mentre suonano o su di un compositore
mentre scrive e le saremmo tanto grati se lei si prestasse a suonare sotto il controllo di questa
macchina. Avevo già letto da qualche parte di simili esperimenti fatti da non ricordo più quale
grande direttore d’ orchestra, ma poiché, in genere, ho una paura irrazionale persino del rasoio
elettrico e dell’ asciugacapelli, balbettai smarrito qualche maldestra scusa, chiedendo subito con
accenti di ben simulato interesse quale musica avesse fatto sentire all’ avvocato di cui mi aveva
parlato prima. Rispose che si era trattato di Des pas sur la neige di Debussy eseguito da Glenn
Gould e mi dimenticò, o finse con cortesia di farlo. Proseguì quindi a vantarmi le prodezze del suo
istituto. “Come vede qui tutto è di straordinaria qualità: la musica e la sua esecuzione. Anche i
mutuati qui ricevono il medesimo trattamento e non, come sarebbe facile credere, solo Julio Iglesias
o tuttalpiù qualche vecchio disco del Concerto di Varsavia.

Intanto eravamo usciti dalla sala degli elettroencefalogrammi per entrare nel “padiglione del
silenzio” come indicava una scritta sopra la porta di un grande vano colorato di verde e con al
centro, unica immagine presente, il volto misterioso celato dal dito indice di Le Silence di Odilon
Redon. Qui i malati venivano portati con i loro caschi ad ascoltare, si fa per dire, dosi di
silenzio integrale, varianti dai due minuti all’ ora. “Questa – disse Oleandrus proseguendo la
visita e aprendo un’ altra porta di quello strano edificio – è la prima sala del dipartimento di
psichiatria, ed è l’ unica che non viene mostrata, per ovvi motivi, ai pur rari visitatori, medici e
musicisti. I principi adottati sono quelli alla base della nostra specializzazione. Solo la
posologia e la gradualità di somministrazione dei fonofarmaci variano secondo schemi piuttosto
complessi e sofisticati. Lei saprà – proseguì accalorandosi – che in natura esistono delle frequenze
bassissime, non udibili dall’ orecchio umano, che la fisica assegna alla banda degli infrasuoni.
Questi ultimi, anche se non percepiti dall’ apparato auditivo, vengono in qualche modo captati dal
sistema nervoso. É stato provato che alcune di queste frequenze hanno un effetto fortemente
eccitante. Lei saprà – incalzava la mia dotta guida, ma io proprio non sapevo un bel niente – che
quando galline, cavalli o cani sono inquieti prima di un terremoto o di un violento evento
atmosferico, ciò accade perchè essi poseggono un apparato fisico che consente loro di sintonizzarsi
con quel bombardamento di onde a bassa frequenza che la natura scaglia in queste circostanze. Noi
abbiamo studiato, isolato e riprodotto infrasuoni anche dall’ effetto opposto. Siamo cioé in grado
di emettere fasci d’ onde dall’ azione potentemente sedativa, privi del tutto di qualsiasi tossicità
o reazione indesiderata.

Ma, soprattutto, siamo convinti che nella musica è racchiusa questa gamma di frequenze, quasi
fossero degli armonici di segno, per così dire, negativo, dall’ effetto sicuramente risolutore nei
confronti di molti disturbi mentali. Solo con la presenza di questi infrasuoni, del resto, si
spiegherebbe scientificamente la capacità che ha la musica di commuovere o di agitare nel profondo
l’ animo umano. Prenda ad esempio La mer di Debussy, un brano tipico per questo genere di terapia,
anche se il senso di queste pagine non è affatto consolatorio. Il loro fascino che si rinnova ed
aumenta ad ogni ascolto, non è certo legato a pur indiscutibili, ma in fondo poco significative
capacità di rappresentazione di un’ immagine marina. Direi che sta soprattutto nell’ incanto,
in-canto in senso letterale, della infinita mutevolezza e instabilità dei suoni e delle tinte. L’
ascolto dello schizzo sinfonico debussyano suggerisce ai pazienti un percorso per accettarsi così
essi sono, appunto mutevoli e instabili, atteggiamento che è l’ unica meta terapeutica
raggiungibile, in tanti casi, da parte dello specialista di malattie mentali.” Io ascoltavo un po’
stordito le parole del Professore e così, andando per le lunghe la mia visita, mi distrassi e persi
la descrizione di alcuni clamorosi casi clinici risolti mirabilmente da Debussy, médecin malgré lui.
E intanto Oleandrus continuava a parlare un po’ da scienziato, un po’ da esteta, più da invasato
comunque che da uomo di studio. “Questo Debussy – concludeva – è un invito verso l’ infinito. Un
infinito che magari non ci rassicura per niente, che ci lascia comunque nell’ inquietudine.

Ma questa, vede, viene in tal modo resa più penetrante e umanamente accettata per la malia estrema
dei suoni, di frequenze, che esplorano, attraverso vie che non sono più quelle del solo orecchio, le
zone più segrete e vive del nostro essere.”Ad un certo momento ci trovammo davanti ad una porta
blindata come quelle di un sommergibile: “Ecco, entriamo qua dentro – disse il Professore che sapeva
ben dosare gli effetti teatrali della visita – questo è il laboratorio di neurobiologia musicale.
Deve sapere che la capacità di reagire positivamente agli impulsi della musica è data dalla presenza
in ognuno di noi di una piccolissima zona nel lobo paretale destro. Una sua eventuale malformazione
congenita rende un individuo incapace di percepire un qualsiasi significato nella musica. Noi
chiamiamo questo fenomeno “amusia”. Possiamo comunque guarirlo; anzi risultati clamorosi sono stati
uttenuti colpendo con un laser questo punto nel lobo paretale. Le dirò in confidenza che un medico
oggi operante nella clinica solo quattro anni fa manifestò questa anomalia in forma estrema e
altrimenti senza speranza, un’ amusia congenita e pesantemente invecchiata. Il terapeuta a cui venne
affidato gli somministrò come cura intensiva, insieme all’ azione del laser, l’ ascolto delle nove
sinfonie di Beethoven. Ebbene, la cura non arrivò nemmeno al termine programmato, che il paziente
progressivamente e con febbrile, prodigiosa rapidità prese ad amare e conoscere nel profondo la
musica. Dopo aver ascoltato tutte le sinfonie, eccetto l’ ultima, volle carta pentagrammata ( prima
non sapeva nulla di musica se lo ricordi bene! ) e in un mese di lavoro accanito, appassionato e
miracoloso scrisse una sinfonia per orchestra , soli e coro. Era così stupefacentemente bella che la
facemmo eseguire dall’ orchestra sinfonica della nostra città. Vuole sentirne un brano dal grado
ergofonico e melometrico 100? “

In quel momento mi svegliai. Avevo ovviamente sognato tutto. E fin qui una certa banalità e un senso
del dejà vu la fanno fin troppo da padrone: però sono sicuro che se avessi terminato il sogno avrei
ascoltato, naturalmente, le note della IX di Beethoven.

Ma, si sa, anche la musicoterapia è un sogno, quando si muove da presupposti attenti alla realtà del
linguaggio. Altrimenti è fonoterapia, come accade nella maggior parte dei casi: è l’ ennesima
riduzione della musica ad oggetto: un oggetto sonoro dai significati posticci e intercambiabili, un
aspetto delle illusioni generate dalle culture alternative di valere di più di quelle mediate da
studio e lunga sperimentazione. Studio e sperimentazione difficili, controversi, pieni di tante
negative componenti umane, che tuttavia indicano un cammino meno insicuro e precario. La musica,
insomma, è comunque una terapia, a patto che non si inventi la “musicoterapia”. Come scriveva
Jean-Marie-Gustave Le Clezio si potrà forse consentire a che un jour, peut-être, on saura que on
avait pas d’ art, mais de la médicine.

Mario Delli Ponti

www.classicaonline.com/medicalsound/30-02-02.html

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