Oltre la Vita – Testimonianze di pre-morte – pareri degli studiosi 1
“Oltre la vita”
– di Lucia Pavesi –
“IL PARERE DEGLI STUDIOSI – prima parte”
°°°
COS’E’UN’ESPERIENZA DI PRE-MORTE
Lo studio di questi fenomeni è stato avviato in modo sistematico dalla’americano RAYMOMD A. MOODY,
di cui parleremo più diffusamenre nel prosimo capitolo. A questo scienziato spetta l’indiscusso merito di aver portato l’argomento all’attenzione del grande pubblico.
Dopo la pubblicazione del suo primo libro, “”La vita oltre la vita” (1975), in cui ha raccolto
parecchie testimonianze di “sopravvissuti, sempre più numerosi sono stati gli studiosi che hanno avviato sistematiche ricerche in questo campo.
Moody ha coniato l’espressione: NEAR DEATH EXPERIENCES “esperienze di pre-morte” e nel suo testo “Nuove ipotesi sulla vita oltre la vita” (1977) dà questa definizione:
“Si potrebbe definire ‘esperienza di pre-morte’qualsiasi esperienza conscia e percettiva che abbia
luogo durante un ‘incontro con la morte’. Incontro con la morte può, a sua volta, venir definito un
avvenimento nel corso del quale la persona interessata rischia seriamente di morire o di venire
uccisa (talvolta al punto di venire dichiarata clinicamente morta) ma sopravvive e continua la sua vita fisica”.
Secondo la specifica classificazione di Moody, esistono particolari caratteristiche che compaiono tutte o in parte in ogni testimonianza di pre-morte.
INCERTEZZA E INCOMUNICABILITA’
Non tutti coloro che vivone questa esperienza sono consapevoli di trovarsi davanti alla morte e, provando stupore e paura, si domandano: ..Cosa mi sta succedendo?..
Riuscendo, comunque, a percepire sensazioni e pensieri dei medici o di quanti li circondano, tentano
inutilmente di comunicare con loro, di chiedere spiegazioni o di avere un contatto fisico.
Il racconto dell’esperienza di Fiorella è molto chiaro in proposito (vedi pag. 55):
“…Cercai con tutte le mie forze di prendere a calci l’infermiere che mi stava più vicino, ma il mio piede toccò solo l’aria””.
Silvia tenta di parlare con loro, per fornire importanti indicazioni (vedi pag. 15):
“…Avrei voluto aiutarli e consigliare loro di tagliarmi gli abiti che indossavo ancora e che
nascondevo una profonda lacerazione dell’arteria omerale. Tentai con tute le mie forze di fare dei cenni… ma ogni tentativo fu vano: non potevano né vedermi né sentirmi””.
Alcuni provano addiritturA vergogna nel vedere il proprio corpo. Anna racconta (vedi pag, 72):
“…ma non avvertivo né dolore… solo un certo imbarazzo per la disposizione dei lenzuoli verdi, che nettevano in evidenza la nudità delle mie parti intime”.
Altri, invece, stentano a riconoscersi. La testimonianza di Andrea (vedi pag. 108) ne è un chiaro esempio:
“Avevo l’impressione di conoscere quell’uomo inerte, ma non ne ero sicuro”. E aggiunge: “…Mi sentivo un intruso che si trova in casa d’altri…”
Ma, passato il primo istante di incertezza, la stragrande maggioranza dei “sopravvissuti” ha
dichiarato di aver provato uno stato di beatitudine, nel quale tutto è chiarezza e consapevolezza..
SCOMPARSA DEL DOLORE FISICO
Nel preciso istante in cui il morente percepisce cosa gli sta accadendo, non prova più alcuna sofferenza.
Chi ha vissuto un’esperienza di pre-morte dichiara di aver provato un immenso sollievo nel momento in cui ha abbandonato il proprio corpo.
Qualunque sia la causa determinante lo stato in cui viene a trovarsi, il dolore fisico scompare
completamente. La testimonianza di Fabio (vedi pag. 31) fornisce un chiaro esempio di quanto dichiarato:
“…Provavo un dolore lancinante alla testa e la parte sinistra del mio corpo sembrava immersa nelle
fiamme dell’inferno… Di colpo…non provavo alcun dolore, ma solo una piacevole sensazione di leggerezza…”
USCITA DAL CORPO
Generalmente questa fase interviene nel preciso momento in cui il paziente viene dichiarato morto.
Allora, si sente uscire dal proprio corpo e prova una sensazione simile a quella di togliersi un abito. In seguito si può librare nell’aria, sfuggendo alla legge della gravità.
Vede chiaramente se stesso e tutti i tentativi di rianimazione che i medici attuano. Francesca (vedi pag. 41) dice:
“…Volteggiavo sospesa nell’aria … Guardai incuriosita i monitor collegati al mio cuore: emettevo
un sibilo acuto e sinistro, mentre mostravano una linea perfettamente retta. Avvertivo lo sbigottimento di quanti mi circondavano…”
Qualcun altro racconta di essersi spostato in altri luoghi e di aver visto posti e persone conosciute o no, ma di cui fornisce una perfetta descrizione.
“…A un certo punto mi vidi scendere dal letto, camminare sul linoleum candido, aprire la porta a
vetri e uscire nel lungo corridoio… Vi erano due panche di freddo metallo… e una scrivania
dietro la quale sedeva un’infermiera dai capelli grigi…” Così dice Silvia nella sua testimonianza (vedi pag. 16).
Ancora più emblematico è il racconto di Andrea (vedi pag. 109):
“…Entrai in una piccola stanza d’attesa… Tre persone erano sedute sulle poltroncine di pelle…
una signora bruna, visibilmente tesa, che fumava accanitamente. Un altro uomo, in piedi, con indosso uno sgualcito impermeabile bianco, aveva il naso arrossato…”
Chi ha vissuto questo genere di esperienza concorda nell’affermare di non essersi sentito ridotto
solo a un residuo astratto di coscienza. L’insieme delle sensazioni provate era così completo da
dargli l’impressione di possedere un altro corpo, anche se diverso nella sostanza da quello fisico.
La forma spirituale sembrava composta da una sagoma completa di gambe e braccia, ma impossibile da
descrivere nel suo reale contenuto. La maggior parte delle testimonianze parla di un “campo energetico” dai colori indefinibili.
Scompare completamente il concetto di tempo reale: nessuno è stato in grado di quantificare la
durata dell’esperienza. Cadendo i confini dello spazio fisico, il paziente può spostarsi da un luogo a un altro semplicemente desiderandolo.
PASSAGGIO DALLA ZONA BUIA ALLA LUCE
Successivamente, il morente avverte una forte spinta verso il vuoto assoluto e viene avvolto da un
vento caldo. Generalmente, questo momento è preceduto o accompagnato da un rumore partivolare e forte: un sibilo, un ronzio, un botto, un gong e così via.
Solitamente, la prima parte del viaggio è compiuta nell’oscurità nell’oscurità totale e ciò ingenera
timore e confusione, sentimenti questi che scompaiono alla vista di una “luce meravigliosa”.
La grande maggioranza delle testimonianze raccolte racconta che il passaggio dalle tenebre alla luce
avviene percorrendo uno stretto tunnel o una galleria immersa nella nebbia. Altri, invece, parlano di caduta in un buco nero (vedi la storia di Fabio a pag. 32).
“… Allora una forza sconosciuta mi trascinò in un tunnel oscuro e il vento caldo mi avvolse completamente”.
Paolo, invece, dice (vedi pag 119):
“… fui scosso da un rumore… che somigliava molto al suono dei tam-tam nella jungla. Di colpo mi
sentii risucchiare entro un vortice di vento caldo… verso una galleria stretta, di cui non si intravvedeva l’uscita…”
Altri hanno descritto in modo molto diverso questo passaggio. Qualcuno ha dovuto salire una scala,
oppure è stato proiettato, a immensa velocità, dalle tenebre alla luce. Alcuni raccontano di aver
ettraversato, durante il viaggio, una porta o un cancello (vedi La storia di Stefano a pag. 90).
“… Il cammino mi fu, per un attimo, ostruito da un pesante portone scuro che si aprì subito al mio arrivo.
Entrai in un luogo pieno di colori e di pace.”
INCONTRO CON ENTITA’SPIRITUALI
Dopo avere attraversato le tenebre, il morente si trova in un luogo fantastico, illuminato da una
luce così viva da non poter essere descritta a parole, e in cui ode melodie e canti soavi. Il
paesaggio ha diverse varianti: prati verdi, fiori profumati e multicolori, immensi parchi, alte
montagne, città fiabesche, limpidi ruscelli, e altro (vedi ancora la storia di Paolo sempre a pag. 119).
“… camminavo su un prato veredissimo, sulla cui superficie sorgevano palazzi incredibilmente alti
e di una luminosità quasi accecante… Dovunque l’organizzazione era perfetta: viali alberati, fontane zampillanti e modernissimi edifici costruiti perfettamente…”
Quasi tutti raccontano di aver incontrato, durante ilo cammino, varie entità luminose e sorridenti
che li hanno accolti con grande amore. Queste entità emanano una stupefacente luminescenza, molto
più splendente di qualsiasi fonte luminosa terrestre e hanno il compito di far da guida, da
consiglieri, di accompagnare la persona verso la Luce suprema e, in certi casi, di aiutarla a ritornare nel mondo dei vivi.
Generalmente, sono amici scomparsi o parenti del morente, ma possono essere anche dei semplici sconosciuti. Andrea (vedi pag. 110) ricorda:
“… venni circondato da una grande folla di gente festosa che intonava una melodia dolcissima.
Tutti avevano un aspetto sereno e dai loro volti emanava una luce d’amore tanto intensa da non poter essere descritta”.
La sensazione provata è quella di essere entrati in contatto con l’amore universale. La sensazione
resta nel “sopravvissuto” anche dopo il ritorno alla vita e spesso lo porta a modificare il suo modo di vivere e di condurre i rapporti con il prossimo.
INCONTRO CON L’ESSERE DI LUCE
A questo punto, alcuni raccontano di aver incontrato un Essere Supremo, il cui splendore
soprannaturale è inesprimibile e la cui luce è superiore, per intensità, a quella di tutti gli altri.
Subito dopo l’apparizione, l’Essere entra in comunicazione con il morente, trasmettendo telepaticamente il proprio oensiero, senza utilizzare suoni, gesti o parole.
Dalla Luce emanano calore, comprensione e amore infiniti. Vari sono i tentativi di identificare l’Essere, in base alle convinzioni religiose dei “resuscitati”.
I cristriani spesso lo identificano con Dio Padre o Gesù Cristo, i buddisti con Buddha, i mussulmani
con Allah e così via. L’incontro con l’Essere comporta una profonda e critica autoanalisi della
propria esistenza terrena, che scandaglia i recessi più nascosti della coscienza. Tutto ciò avviene
attraverso un riesame completo della propria vita (vedi la storia di Andrea a pag. 111).
“… una luce vivissima mi investì e una voce lontana m’indusse a guardare fisso di fronte a me. Il “film” della mia vita scorreva velocemente davanti ai miei occhi.”
L’ESAME DELLA PROPRIA VITA
Chi ha vissuto questo tipo di esprienza afferma di aver rivisto proiettare contemporaneamente, come su un grande schermo, le azioni compiute, dall’infanzie al momento presente.
Le immagini sono straordinarie vivide, a colori, tridimensionali e in movimento (vedi La storia di Anna a pag. 78).
“… attraverso una sottile nube di nebbia, rividi tutta la mia vita… Tutto scorreva fluidamente
nella mia mente, in cui non esistevano più il concetto di passato o di futuro, ma ogni evento era solo presente…”
Lo scopo dell’esame è quello di raggiungere una maggiore consapevolezza dei propri doveri e responsabilità.
Il toccante racconto di Fabio spiega perfettamente questo delicato momento del viaggio (vedi a pag. 32).
“… vedevo le mie azioni, le persone che avevo ferito e fatto gioire, captavo ogni sfumatura dei
loro sentimenti …La paura, l’amore, l’odio, lo sgomento, l’abbandono, la violenza, la generosità.
il perdono che… avevo suscitato… ora erano dentro di me: IO ERO DENTRO GLI ALTRI… Vidi mio padre, mia madre, ne compresi i sentimenti, capii…”
La persona che ha vissuto questa fase riporta con sè un nuovo desiderio di conoscenza e uno spirito di maggiore solidarietà e amore.
LA RILUTTANZA A TORNARE
Il viaggio meraviglioso verso la luce è talmente dolce e pieno d’amore, che spesso i morenti
dichiarano di non aver provato alcun desiderio di tornare nel mondo (vedi sempre la storia di Fabio a pag. 33).
“… Non volevo più tornare indietro! Chiesi alla Luce di fermarmi in quella pace, ma il peso della responsabilità… chiedeva il giusto riequilibrio…”
Alcuni raccontano di averlo dovuto fare per espresso ordine dell’Essere di Luce (vedi La storia di Luca alle pagg. 66 e 67).
“… Qui hai imparato a respirare l’amore universale… Cerca di trasmetterlo… I tuoi compagni… possono riposare… Tu, ora, girati e vai!”
Altri ricordano di aver ricevuto l’ordine da un parente o da un amico. Silvia (vedi pag. 16) racconta:
“…L’abbracciai e le chiesi di tenermi con sé per sempre… La nonna mi sorrise, ma con affettuosa
fermezza mi respinse, dicendo che non potevo rimanere con lei. Il mio cammino non era ancora giunto al termine…”
Qualcuno ha riferito di aver deciso di rientrare unicamente perché spinto dal senso del dovere verso chi aveva lasciato.
La testimonianza di Paolo (vedi pag. 121) ci fornisce un chiaro esempio:
“…ora che conosci il significato delle parole ‘dovere’e ‘responsabilità’, il tuo cuore ha deciso
di tornare nel mondo per rimediare a tutto il male che hai compiuto… io ti lascio ripartire.”
C’è chi, come Anna (vedi pag. 78), ha chiesto e ottenuto il permesso di rientrare:
“…hanno tanto bisogno di me. Come posso lasciarli soli ora?… Ti prego, lasciami andare da
loro…” e la Luce: “E sia… ma ricorda: la prossima volta dovrai fermarti qui per l’eternità”.
Particolarmente interessante è la testimonianza di un docente di Filosofia, da sempre dichiaratosi ateo. Egli racconta:
“… dopo aver riesaminato la mia vita al cospetto dell’Essere di Luce, ebbi la netta sensazione che
una forza, come una corrente d’amore, tentasse di opporsi a Lui… Mi sembrò che quest’ultimo
accettasse di piegarsi a un’energia positiva… decise di cedere alle preghiere che altri gli
rivolgevano… Ho saputo di essere stato richiamato in vita dall’amore dei miei genitori… La
scoperta della potenza dell’amore fu per me una grossa sorpresa… Fino ad allora ero vissuto egoisticamente chiuso nella mia esistenza di intellettuale…”
RIENTRO NEL CORPO FISICO
Questo è il momento più doloroso e molti tendono a rimuoverne il ricordo. L’aver abbandonato un
mondo di serenità e sapere di tornare in un mondo di sofferenza non è certo molto piacevole.
Alcuni ricordano di essere stati proiettati verso il basso e di essere entrati immediatamente nel
proprio corpo, sprofondando poi in uno stato di incoscienza. Il racconto di Stefano fornisce un chiaro esmpio (vedi pag.91):
22…Improvvisamente venni sollevato e di colpo spinto verso il basso in una pazzesca corsa a testa in giù…”
Per altri, come per Fabio (vedi pag. 33), la discesa eè invece meno traumatica:
“… Dolcemente fui respinto dentro il buio tunnel e iniziai il viaggio di ritorno. Il mio corpo
inanimato ora giaceva sul lettino dell’ambulanza… lo ritrovai e ne ripresi possesso…”
Alcuni dopo essersi allontanati dal mondo di pace, non rientravano immediatamente nel proprio corpo, ma vagano
ancora per qualche tempo (vedi La storia di Andrea alle pagg. 111 e 112):
“… La mia discesa non fu veloce come la salita, ma presto mi ritrovai nella stanza d’attesa
dell’ospedale… Riconobbi subito la signora bruna… era mia moglie… Quel corpo disteso sul
lettino operatorio sono io… ora devo trovare il mio corpo al più presto… perché so di essere ancora vivo.”
“… Fui allora ricacciata indietro… Ero nuovamente sospesa a circa trenta centimetri dal mio corpo… In quell’istante percepii, inequivocabilmente, queste parole: “…
staccate il respiratore!” Una disperazione infinita e una rabbia feroce mi sopraffecero… precipitai nel vuoto assoluto…” (Vedi la storia di Silvia alle pagg. 16 e 17).
Ovviamente, le esperienze di pre-morte divergono per contenuto e forma, come per le modalità che
portano a viverle. Chi ha avuto l’avventura di vivere un’esperienza simile ha raccontato proprie
impressioni e proprie sensazioni, esteriorizzandole secondo il suo modello comportamentale. Certo
però, ognuna, per essere dichiarata tale, deve racchiudere in se una o più delle caratteristiche
sopra elencate. Le testimonianze che ho riportato nella prima parte del libro, forniscono particolari e interessanti spunti di riflessione.
STUDI E RICERCHE
CENNI STORICI
Lo studio dei fenomeni di pre-morte è stato affrontato scientificamente solo negli ultimi anni. Le
tecniche di rianimazione oggi disponibili sono estremamente avanzate, per cui molti pazienti che
solo qualche anno fa sarebbero morti, ora possono fornire le loro testimonianze su eventueli esperienze vissute durante il coma.
E’, comunque, giusto sottolineare che anche in tempi molto remoti, esistevano tecniche, seppure molto rudimentali, di rianimazione.
La Bibbia fornisce numerosi esempi di metodi allora in uso per riportare in vita persone esanimi. Il
più diffuso consisteva nell’insufflare aria direttamente nella bocca del morente, pratica che
richiama la concezione religiosa dell’anima intesa come “soffio vitale” e che ha sorprendenti
analogie con la moderna respirazione artificiale. Una tecnica diversa, invece suggeriva di scaldare
l’addome del paziente. Tutto ciò permette di ipotizzare che anche in tempi molto remoti, possono
essere accaduti episodi di “ritorno dalla morte” e che il verificarsi di tali fenomeni abbia
influenzato, direttamente o indirettamente, la tradizione religiosa e letteraria.
A conferma di tale ipotesi è sufficiente ricercare negli antichi testi le testimonianze relative.
Vari racconti presentano sorprendenti analogie con i fenomeni oggi chiamati di “pre-morte” e narrano
di esperienze direttamente connesse con la morte o di visioni mistiche legate a tradizioni religiose o filosofiche.
Platone, nel decimo libro della sua “Repubblica”, narra la storia del soldato Er. Caduto in
battaglia, il suo corpo era già stato posto sul rogo, secondo la tradizione religiosa dell’antica
Grecia, quando i soldati presenti per tributare al compagno l’ultimo onore, con sgomento lo videro rialzarsi in mezzo alle fiamme.
Il filosofo spiega l’accaduto raccontando che l’anima di Er, dopo aver abbandonato il corpo, si era
unita a quella dei compagni uccisi nella stessa battaglia e insieme a loro aveva attraversato
un’immensa valle verde, dove avevano incontrato degli esseri divini. In quel luogo fantastico, ogni
soldato aveva potuto rivedere tutta la propria vita. Er aveva chiesto il permesso di restare per
sempre in quel mondo luminoso, ma un essere divino, la cui luce era assai più forte di quella degli
altri, gli aveva ordinato di tornare sulla Terra, con il preciso incarico di raccontare tutto ciò che gli era stato concesso vedere.
Uno dei testi antichi più significativi sull’argomento di una vita spirituale superiore è il “Libro
tibetano dei morti”, la cui stesura risale circa all’VIII secolo dopo Cristo. Tale importantissimo
documento letterario si basa sugli insegnamenti più antichi tramandati oralmente da Lama a Lama.
Questi dotti sacerdoti, nel comporlo, si prefissero due scopi diversi ma altrettanto importanti. Il
primo era quello di fornire una precisa descrizione dell’esperienza della morte, in modo da
preparare i mortali ad affrontare con la migliore disposizione d’animo il distacco dal mondo terreno.
Il secondo, ma non meno importante, era quello di aiutare i parenti dei morenti a esprimere solo
sentimenti di positiva rassegnazione nei confronti del defunto, evitando in tal modo di trattenerlo
con il loro affetto e la loro disperazione. In questo antichissimo testo la morte viene descritta
come un viaggio da compiersi attraverso varie e distinte fasi. Vi si narra che l’anima, appena
uscita dal corpo si trova immersa nel vuoto assoluto. In quello stadio è possibile udire suoni simili al tuono o al fischio del vento.
In un secondo tempo, il “morente” ha la precisa visione del proprio corpo fisico, dei parenti, degli
amici, dei preparativi in atto per il suo funerale, e soprattutto dei luoghi in cui ha abitato sino ad allora.
In quel preciso momento, lo spirito si accorge, con stupore, di essere uscito dal proprio involucro
materiale, ma non avendo ancora compreso di essere morto, cerca in ogni momento di comunicare con gli altri.
In quella delicata fase, si sente disorientato e , non conoscendo ancora la propria destinazione finale, preferisce temporeggiare in luoghi più familiari.
I suoi sensi sono più acuti del normale e ha la capacità di spostarsi, quasi istantaneamente,
dovunque. Si accorge, inoltre, con meraviglia, che eventuali sue menomazioni fisiche sono scomparse completamente.
Allontanandosi dalla Terra, incontra altri esseri simili a lui, immersi in una luce pura, e,
finalmente, trova una pace e una serenità immense. L’idea che l’anima del morto resti a vagare per
un certo tempo nei luoghi in cui ha abitato è comune a parecchie tradizioni religiose.
Presso molti popoli lo scopo del culto dei morti (sepoltura, cremazione, imbalsamazione ecc.) era
proprio quello di dare pace all’anima del defunto, aiutandolo a raggiungere serenamente l’aldilà.
Basta ricordare, per tutti, gli antichi Egizi. Presso quell’antichissimo popolo il passaggio verso il mondo superiore era la base su cui si fondavano religione e cultura.
I numerosi reperti pervenutici da quella nobile civiltà testimoniano in modo chiarissimo quanto gli Egizi credessero in una vita ultraterrena.
Altre testimonianze, per alcuni aspetti, più interessanti, riportate in testi classici, pongono
l’accento in modo significativo sul mutamento della vita avvenuto in seguito a un’esperienza di “morte”.
Dopo aver vissuto un’esperienza del genere, il “sopravvissuto” apprezza maggiormente l’esistenza
terrena, egli sa saggiamente distinguere i beni preziosi e duratutri, come l’amore universale, da quelli ingannevoli ed effimeri, apprezzati dall’egoismo umano.
Lo stesso concetto, descritto in modo diverso, è presente in molte tradizioni filosofiche e religiose.
Il venerabile BEDA, monaco inglese che visse nel VII – VIII sec., narra la storia di un uomo morto nelle ultime ore della notte e tornato a vivere all’alba.
Qyel possidente terriero, durante la sua esperienza di “morte”, venne guidato da uno spirito lucente
dall’oscurità a un luogo vasto, sereno e più luminoso del sole; qui lo spirito lo esoltò a tornare
nel mondo e a vivere con maggiore semplicità e virtù. L’uomo, conquistato dalla piacevolezza del
luogo e della compagnia che vi aveva trovato, non desiderava riprendere l’esistenza terrena, ma li
suo destino doveva ancora compiersi e, senza sapere come, si ritrovò di nuovo nel suo corpo fisico.
In opere letterarie molto famose è stato trattato il tema del “giudizio della vita”, per motivare il
cambiamento di vita attuato da un determinato personaggio. Un chiaro esempio si trova ne “Il
racconto di Natale” dello scrittore inglese Dickens il cui protagonista è un vecchio avaro, che tormenta i suoi impiegati e nega il minimo aiuto a chiunque.
Durante un’esperienza di “morte”, egli viene sollevato da tre spiriti in un mondo luminoso, dove ha
la possibilità di rivedere tutta la sua nita e di comprendere e condividere i dolori e le pene che
il suo egoismo ha provocato. Tornato “in vita”, ha modo di pentirsi e, rinnovato completamente
nell’animo, impara a porre l’amore per il prossimo al primo posto nella scala dei suoi valori.
I PIU’ILLUSTRI STUDIOSI
La svolta medico-ideologica sui confini tra la vita e la morte si verifica all’incirca negli anni
Sessanta, per merito della psichiatra statunitense Elisabeth Kubler-Ross, che, dedicatasi per anni a
pazienti affetti da malattie incurabili, provò un interssamento sempre maggiore per il fenomeno della morte.
Grazie all’opera sua e dei suoi discepoli, la medicina moderna ha preso atto di dovere e poter
aiutare il morente ad affrontare l’ultimo viaggio con serenità e dignità. Nella complessa tecnica adottata dalla psichiatra, si uniscono amore e psicanalisi.
La Kubler-Ross ha chiarito il reale significato delle prime pagine del “Libro egiziano dei morti”:
“A quei tempi la morte non era considerata un tabù. Il morente si preparava a dare l’addio alla vita
circondato dall’affetto dei familiari. Il suo viaggio nell’aldilà iniziava così in un clima di grande serenità”.
Dichiarando anche:
“Sappiamo molto su come si giunge alla morte, ma sono molti i problemi insoluti che riguardano il
momento del decesso e l’esperienza conosciuta da pazienti dichiarati clinicamente morti”.
Il già citato Raymond A. Moody, nato nel 1944 in Georgia (USA), come abbiamo detto è stato il
pioniere che ha aperto la porta su questo mondo sconociuto. Quando insegnava filisofia
nell’Università della Virginia, durante una lezione sulle opere di Platone, fu interrotto da un allievo che affermava di credere fermamente all’immortalità dell’anima.
Qualche anno prima, sua nonna, dopo essere entrata in coma, ne era miracolosamente uscita,
raccontando al nipote una storia incredibile e meravigliosa circa un viaggio compiuto in un mondo di luce.
Moody ne rimase molto colpito, soprattutto perchè quel racconto somigliava moltissimo a
un’esperienza raccontatagli quindici anni prima da un collega che l’aveva appresa da George Richtie,
un illustre psichiatra che, in conseguenza di una polmonite doppia, era stato dichiarato clinicamente morto e poi era “resuscitato”.
Al suo risveglio aveva raccontato così la sua straordinaria storia:
“Dopo aver abbandonato il mio corpo, lo vidi steso su un letto d’ospedale. Dopo averlo
tranquillamente contemplato, come se si trattasse di un perfetto sconosciuto, ebbi la sensazione di
allontanarmi da tutto. Ero immerso in un oceano di pace e andavo verso il sole purissimo dall’estrema realtà… Mi avvicinai poi a una città cristallina.
Si trattava di cristallo formato da una straordinaria sostanza che irradiava luce… Mentre ero lì, un incommensurabile sentimento d’amore s’impadronì di me…”
Da quel giorno Moody si interessò sempre di più all’argomento e raccolse un notevole numero di
esperienze, cui diede il nome di “near death exsperiences”. Nel 1969 si laureò in medicina e fece di tali indagini una ragione di vita.
Identiche ricerche furono contemporaneamente effettuate da Kenneth Ring, uno psicologo del
Connecticut che, nel 1980, pubblicò un libro estremamente importante sull’argomento: Life at death:
a scientific investigation of the near death experiences (La vita al momento della morte: un’indagine scientifica sulle esperienze di pre-morte).
Ring, esaminando nei dettagli le interviste di persone che avevano vissuto quell’esperienze, mise in
rilievo un dettaglio di estrema importanza: le tesimonianze raccolte non presentavano sostanziali differenze determinate da età, razza o religione di chi le aveva vissute.
A Ring spetta, inoltre, il merito di aver messo a punto un particolare metodo di intervista,
adottato come questionario ufficiale per appurare se il paziente ha veramente vissuto un’esperienza di pre-morte.
Segue il contenuto integrale del test.
1. E’un’esperienza difficile da tradurre in parole? (Se si): Può provare a dirmene il perché? Cosa
c’è in questa esperienza che la rende così difficile da spiegare? Era come un sogno o diversa da un sogno?
2. Quando si è verificato questo episodio, pensava di essere in punto di morte? O pensava
addirittura di essere morto? Ha forse sentito dire da qualcuno che lei era morto? Cos’altro ricorda di aver sentito quando lei era in quello stato?
3. Quali erano le sue sensazioni durante l’episodio?
4. Ha sentito rumori o suoni insoliti, durante l’episodio?
5. Ha mai avuto la sensazione di viaggiare o di muoversi? Com’era? (Se opportuno). Questa sensazione era in qualche modo collegata al rumore che ha descritto prima?
6. Durante quest’esperienza, ha mai avuto la sensazione di separarsi dal corpo fisico? Durante
questo tempo, ha mai avuto coscienza di vedere il suo corpo fisico? (Porre queste domande in
successione; quindi, se necessario, chiedere): Potrebbe descrivermi quest’esperienza? Come si
sentiva mentre era in quello stato? Dov’era mentre stava fuori dal suo corpo fisico? Aveva un altro
corpo? (Se si): Vi era una relazione fra lei e il suo corpo fisico? Una sorta di legame che lei
riuscisse a vedere? Me lo descriva. Mentre era in quello stato, qual era la sua percezione del
tempo, dello spazio e del peso? Riusciva forse a fare delle cose che non potrebbe fare normalmente
nel corpo fisico? Sentiva dei sapori, degli odori? Mentre era in quello stato erano coinvolti, e
fino a che punto, la vista e l’udito? Ha provato un senso di solitudine? Fino a che punto?
7. Nel corso dell’episodio, ha incontrato altre persone, vive o morte? (Se si): Chi erano? Cosa è
successo quando le ha viste? Hanno comunicato con lei? Come? Perché crede che le abbiano detto certe cose? Come si sentiva al loro cospetto?
8. Le è mai capitato di vedere una luce, un bagliore, un’illuminazione? potrebbe descrivermela? (Se
si): Questa “luce” le ha comunicato qualcosa? Cosa? Cos’era per lei questa luce? Come si sentiva?
(Oppure come la faceva sentire?) Ha incontrato qualche figura religiosa, come l’Angelo custode,
Cristo, e via dicendo? Ha incontrato spiriti malvagi come demoni, streghe o addirittura il diavolo?
9) Durante quest’eperienza, le è mai appara davanti la sua vita intera o qualche scena di questa,
come nell’immaginazione o nel ricordo? (Se si): Può spiegarmi meglio? Come è stata quest’esperienza?
Che sensazione le ha dato? Le è sembrato di apprendere qualcosa da questa esperienza? Cosa ?
10. Ha mai avuti l’impressione di raggiungere una sorta di confine, un limite, una soglia, un punto
di non ritorno? (Se si): Potrebbe descrivermelo? Nell’avvicinarsi al confine, ricorda di aver avuto
pensieri o sensazioni particolari? Ha un’idea di cosa rappresentasse o significasse quel confine?
11. (Se il paziente ha affermato di essere stato in punto di morte, chiedere): Quando sentiva che stava per morire,
cosa provava? Voleva tornare nel corpo, nella vita? Come è stato quando si è ritrovato nel suo
corpo, di nuovo cosciente? Ha qualche ricordo del momento in cui è rientrato nel corpo fisico? Ha
un’idea del perchè non è morto allora? Si è mai sentito giudicato da una forza impersonale?
12. La sua esperienza recente, tuttavia mi chiedo se si sente cambiato in qualche modo. Cosa ne
pensa? Se è cambiato, in che senso lo è? (Se è necessario o opportuno, chiedere ancora). Dopo questa
esperienza, è cambiato il suo atteggiamento nei confronti della vita? Come? ha forse modificato le sue idee religiose? In tal caso, come?
Rispetto a prima, ha maggiore o minore paura della morte, o forse la stessa? (se opportuno): Me lei
ha paura della morte? (Se è un paziente che ha tentato il suicidio, chiedere): Quanto ha influito
quest’esperienza sulla sua idea del suicidio? (Con estrema cautela): Che probabilità vi sono che lei tenti nuovamente il suicidio?
13. (Se non è stato chiarito in pieno nel corso delle domande il punto 12 e se il paziente ha
dichiarato di essere stato in punto di morte, chiedere): Lei che è giunto così vicino alla morte, può dirmi a suo modo cos’è adesso la morte per lei?
14. C’è qualcosa che vorrebbe aggiungere riguardo alla sua esperienza o agli affetti che ha avuto su di lei?
Questo importantissimo questionario è stato utilizzato da George Gallup jr., erede del più
importante e prestigioso istituto di sondaggi del mondo. Nel 1982 questo centro americano avviò
un’inchiesta, chiamata “Evergreen” (sempreverde), che rivelò un dato incredibile: ben otto milioni
di Americani avevano vissuto questo tipo di esperienza, ma la cifra si supponeva superiore, tenendo conto di coloro che potevano aver preferito non confessarlo.
Successivamente, ancora Ring analizzò attentamente il comportamento delle persone ritornate alla
vita. Nel suo libro “Heading toward Omega” (Diretti verso Omega), dichiara: “Abbiamo scoperto che
queste esperienze hanno modificato i punti di vista sulla vita e sulla morte di chi le ha provate e hanno modificato i valori, i comportamenti e gli schemi della loro vita”.
Un altro emerito studioso di questi fenomeni è Michael Sabom, notissimo cardiologo di Atlanta (USA)
che eseguì un’indagine approfondita e d’importanza basilare per quanti si interessano allo studio delle esperienze di pre-morte.
I suoi studi si concentrano in modo particolare sull’esperienza extra-corporea. Esaminò attentamente
le testimonianze di tutti i pazienti che avevano dichiarato di aver assistito, dopo l’abbandono del
corpo, alla “risuscitazione” dello stesso avvenuta grazie all’intervento dei medici.
Confrontò il loro racconto con quello di altri pazienti, che non avevano compiuto lo stesso “viaggio”, ma conoscevano esattamente il metodo per riattivare il cuore.
Scoprì con grande stupore che, mentre gli “esperti” avevano commesso grossolani errori, i
“resuscitati”, pur non avendo la minima cognizione di medicina, erano stati in grado di descrivere
perfettamente tutto il procedimento. Il risultato di quella ricerca confermò, al di là di ogni
dubbio, che questo ultimi avevano realmente vissuto un’esperienza di abbandono del corpo.
Le esperienze di pre-morte non sono state vissute solo da adulti, ma anche da bambini di ogni età.
Le testimonianze di esperienze vissute da soggetti, che per la propria giovene età non hanno subito
particolari condizionamenti etnici, religiosi o culturali, assume un significato importantissimo nello studio di tali fenomeni.
Il racconto dei piccoli pazienti non si differenzia molto da quello degli adulti. Sergio, di 11 anni, racconta:
“Mi avevano appena regalato una bicicletta per il mio compleanno e non vedevo l’ora di correre fuori
per farla vedere ai miei compagni. Ero contento e cantavo a squarciagola, correndo come un pazzo. Non mi accorsi della grossa macchina che mi investì.
Ricordo solo il terribile urto dopo il quale mi trovai a galleggiare sospeso nell’aria. Sotto di me
vedevo “l’altro me stesso” sull’afalto, tutto coperto di sangue.C’era un sacco di gente che urlava.
Qualcuno cercò di spostarmi, qualcun altro gli disse che era meglio non toccarmi aspettando che arrivasse l’ambulanza.
Io, sinceramente, mi stavo divertendo un mondo e cercavo di dire a quelle persone di non
preoccuparsi perchè stavo benissimo, ma era tutto inutile. Nessuno mi sentiva, nessuno mi vedeva. Pensavo di essere morto, poi cominciai a guardarmi in giro con curiosità.
Stavo attraversando una galleria molto buia che era in salita. Però non avevo paura, perchè vicino a
me c’erano due bellissime donne con i capelli lunghi che mi facevano compagnia. Alla fine di quella
salita mi trovai davanti al sole, anzi a una cosa che era molto pù bella della luce del sole. Mi
dispiace solo che non posso trovare le parole per descrivere quanti colori c’erano intorno a me.
Camminavo su un prato verde, molto più bello di quello dello stadio, e vedevo tante figure che mi
sorridevano, anche se non mi conoscevano per miente. Allora raccontai l’incidente che mi era
capitato, ma non mi sgridarono; sentivo che mi volevano tanto bene e decisi che sarei rimasto sempre lì, in quel posto incantato.
Cominciai a correre tutto intorno, quando una figura più grande di tutte e molto più luminosa delle
altre mi disse che dovevo tornare subito indietro perchè il mio papà e la mia mamma stavano piangendo.
Rientrai allora nella galleria, che questa volta era in discesa e mi trovai subito davanti al mio
corpo disteso su una brandina. Volevo dire ai dottori di non preoccuparsi troppo perchè ero vivo, ma sapevo che non mi avrebbero sentito.
Uno di loro cominciò a prendere a pugni il mio costato, poi non mi ricordo più niente.
Quando mi sono svegliato in ospedale, ho raccontato immediatamente tutto alla mia mamma, ma lei mi
ha detto di non dire sciocchezze. Io però continuavo a insistere che era vero quello che avevo visto, che non me l’ero sognato.
Allora un giorno lei mi ha portato da un dottore e ho capito subito che lui mi credeva, perchè
studiava queste cose e le ha spiegate alla mia mamma. Da quel momento, finalmente, mi ha creduto.
Anzi continua a dirmi che sono diventato più bravo; quando muoio ancora, voglio tornare in quel bel posto!”
Lo scienziato cui spetta il merito di aver iniziato la ricerca sulle esperienze di pre-morte relative ai bambini è l’americano Melvin MOrse, pediatra di Seattle.
In anni molto recenti, anche le cronache italiane hanno citato le toccanti testimonianze di bambini
“rivissuti”. La Scienza ufficiale, a tutt’oggi, mantiene un atteggiamento di diffidente scetticismo
nei confronti dei fenomeni di pre-morte. Incontestabilmente, però, l’interesse al riguardo sta aumentando rapidamente.
In ogni aprte del mondo, sempre più numerosi sono i medici, gli psicolgi, gli psichiatri, i socilogi
che si dedicano a tale studio. In Italia sono sorti parecchi centri di ricerca e molti illustri
scienziati stanno raccogliendo testimonianze. Uno dei nomi più illustri e quello del dottor Marco
Magnelli, neurofisiologo, presidente della Società Italiana per lo studio degli stati di coscienza. Egli dichiara:
“Il problema principale è quello della coscienza:
i neuroscienziati ritengono che la coscienza sia rigidamente collegata al cervello. Se questo
funziona, allora c’è coscienza; se si altera o muore, la coscienza si distorce o scompare.
Negli ultimi cinquant’anni, tuttavia, molti medici si sono arresi all’evidenza che l’esperienza di
pre-morte è talmente frequente da dover essere considerata un fenomeno “naturale”, per il quale le
abituali spiegazioni non sono più sufficienti. L’esperienza di pre-morte è un ‘cavallo di
Troia’psico-filosofico, perchè ammettendolo come fenomeno naturale, obbligherà i neuro scienziati a
definire chiaramente il concetto di coscienza e con ciò li obbligherà a entrare in un campo di
confine, nel quale le esperienze incomprensibili sono molto numerose. Il ‘cavallo di Troia’è gia
entrato nella cittadella del sapere: si stima che circa il 50% dei morti d’infarto, poi rianimati,
abbia questa esperienza e si è già dimostrato che solo una minima percentuale di costoro può aver avuto delle allucinazioni patologiche”.
Lascia un commento