Onde gravitazionali, domande e risposte
Che cosa sono. Perché sono così difficili da osservare. Come ce l’hanno fatta. Come facciamo a
sapere che il segnale che abbiamo captato è stato emesso da due buchi neri. Che cosa ci spiegheranno
di ELENA DUSI
11 febbraio 2016
Cosa sono le onde gravitazionali?
Sono increspature dello spazio tempo previste dalla teoria della relatività generale. Secondo
Einstein l’universo è formato da una trama di spazio e tempo. Quando un oggetto dotato di massa
subisce un’accelerazione, questa trama si deforma come quando appoggiamo una palla di bowling su un
lenzuolo steso. Questa deformazione si propaga nell’universo alla velocità della luce come un’onda e viene chiamata appunto onda gravitazionale.
Perché sono così difficili da osservare?
Perché le onde gravitazionali non interagiscono con la materia e sono molto deboli (la forza di
gravità è la più debole fra le forze fondamentali dell’universo). Le onde gravitazionali erano
l’ultimo tassello della relatività generale ancora da dimostrare sperimentalmente. Affinché sulla
Terra giunga un’onda abbastanza intensa da essere osservata occorre che nell’universo si produca un
evento cataclismatico: fusione di due buchi neri o di due stelle pulsar, esplosione di supernove. La caccia alle onde gravitazionali andava avanti dagli anni ’60.
Come sono state osservate?
Con uno strumento chiamato “interferometro a raggi laser”. Questi interferometri sono formati da due
tunnel lunghi alcuni chilometri (tre nel caso dell’osservatorio di Càscina, a Pisa, quattro nel caso
dei due interferometri americani) disposti ad angolo retto. Nei due tunnel viene sparato un raggio
laser, che rimbalza varie volte alle estremità e torna al punto di partenza. Se la lunghezza dei due
bracci varia a causa del passaggio di un’onda gravitazionale, avviene uno “sfasamento” dei due raggi
laser, che viene captato dagli strumenti. Per captare un’onda gravitazionale bisogna essere in grado
di misurare variazioni dell’ordine di un miliardesimo del diametro di un atomo (10 alla -19 metri) su un braccio che è lungo 3 chilometri.
Come facciamo a sapere che il segnale che abbiamo captato è stato emesso da due buchi neri?
Quando due buchi neri stanno per fondersi, iniziano ad avvicinarsi lungo una vorticosa orbita a
spirale. In questa situazione emettono onde gravitazionali a frequenze sempre crescenti, per poi
cessare improvvisamente ogni emissione nel momento in cui si congiungono. Le onde gravitazionali
sono state “tradotte” dai fisici anche in onde sonore. La fusione dei due buchi neri viene descritta
come un cinguettio, in cui l’altezza del suono aumenta progressivamente per poi zittirsi del tutto. Il segnale dura alcuni secondi.
A cosa serve osservare le onde gravitazionali?
A studiare nuovi fenomeni dell’astronomia, i più cataclismatici. Per la prima volta, ad esempio,
avremmo la prova inconfutabile dell’esistenza dei buchi neri. Finora abbiamo osservato gli oggetti
celesti tramite la luce che emettevano, o i raggi x o le onde radio. Ma queste onde
elettromagnetiche non vengono emesse dai buchi neri: restano intrappolate al loro interno. Oppure
potrebbero essere assorbite o distorte lungo il loro viaggio nell’universo. Le onde gravitazionali
invece ci danno informazioni anche su quel che avviene nei buchi neri, e viaggiano indisturbate per
tutta l’estensione dello spazio tempo. Potrebbero fornirci dati importanti anche su stelle pulsar e supernove.
Ci spiegheranno anche cosa è avvenuto nel Big Bang?
Teoricamente questo è possibile, anche se le onde gravitazionali emesse durante il Big Bang sono
molto deboli e i nostri strumenti sono assai lontani dall’avere la sensibilità necessaria a
captarle. Attualmente, studiando le radiazioni elettromagnetiche, si riesce a risalire indietro nel
tempo fino a 380mila anni dopo il Big Bang (quando le radiazioni elettromagnetiche sono riuscite a
“liberarsi” dalla materia ancora molto densa). Con le onde gravitazionali è possibile – ma solo
teoricamente – risalire a 10 alla meno 43 secondi dopo il Big Bang (meno di un miliardesimo di
miliardesimo di secondo). L’interferometro italiano Virgo, però, ha la sensibilità per arrivare a 10
alla meno 28 secondi dopo il Big Bang. Si sta lavorando per realizzare un interferometro nello
spazio (il progetto si chiama Lisa), con tre satelliti che si inviano raggi laser a 5 milioni di chilometri di distanza l’uno dall’altro.
da repubblica.it/scienze
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