Osservare l’odio
di Jiddu Krishnamurti
“Nessuno ti può insegnare ad amare. Se si potesse insegnare l’amore i
problemi del mondo sarebbero molto semplici, no?… Non è facile imbattersi
nell’amore. È invece facile odiare e l’odio può accomunare le persone… Ma
l’amore è molto più difficile. Non si può imparare ad amare: quello che si
può fare è osservare l’odio e metterlo gentilmente da parte. Non metterti a
fare la guerra all’odio, non star lì a dire che cosa orribile è odiare gli
altri. Piuttosto, invece, vedi l’odio per quello che è e lascialo cadere…
La cosa importante è non lasciare che l’odio metta radici nella tua mente.
Capisci? La tua mente è come un terreno fertile e qualsiasi problema, solo
che gli si dia tempo a sufficienza, vi metterà radici come un’erbaccia e
dopo farai fatica a tirarla via. Invece, se tu non lasci al problema il
tempo di metter radici, allora non sarà possibile che esso cresca e finirà,
piuttosto, con l’appassire. Ma se tu incoraggi l’odio e dai all’odio il
tempo di mettere radici, di crescere e di maturare, allora l’odio diventerà
un enorme problema. Al contrario, se ogni volta che l’odio sorge tu lo lasci
passare, troverai che la mente si fa sensibile senza diventare sentimentale.
E perciò conoscerà l’amore”.
In un passo evangelico Gesù dice:
“Non resistete al male” (Mt 5, 39).
Tutto questo è in piena consonanza con la nostra pratica meditativa. Si
medita anche per eliminare la nostra vergognosa abitudine a fare della
nostra mente un terreno fertile all’odio, nel quale esso attecchisce, si
moltiplica e ci domina.
È un esercizio che il buon meditante porta sempre con sè, anche fuori dalla
nostra sala di meditazione. Una buona pratica qui conduce ad una buona
pratica là fuori, e viceversa: ricordiamoci sempre questa regola evidente a
tutti coloro i quali meditano già da un po’ di tempo.
Facciamo un esempio.
Sono in autobus, seduto in un posto non riservato ad anziani o a persone con
difficoltà motorie. Dentro l’autobus c’è molta gente, tutti i posti a sedere
sono occupati e anche le persone in piedi sono di un certo numero. Entra una
signora anziana, con evidenti difficoltà nel destreggiarsi; si guarda in
giro in cerca di un posto libero, io la noto e le lascio la mia sedia. La
signora si siede senza ringraziarmi.
Bene: cosa succede a questo punto?
Nella stragrande maggioranza dei casi, nasce in me un moto di stizza, di
antipatia per quella donna. Diciamolo pure: odio. Siamo abituati ad
associare questa parola a grandi eventi, alla guerra, a relazioni veramente
conflittuali. Ma è da queste piccole situazioni che l’odio si genera in noi;
è qui che comincia a sedimentare in noi questo automatismo.
Dunque mi accorgo che spesso e volentieri anche le azioni apparentemente più
morali, più giuste, tante volte sono dei piccoli ricatti camuffati, dei do
ut des: io faccio questa buona azione, ma dall’altra parte ci deve essere un
tornaconto. Ti faccio un piacere? Bene, ma te lo devo fare pagare in un modo
o nell’altro: attendo un tuo ringraziamento o un tuo gesto di piena
riconoscenza. Faccio qualcosa che viene considerato moralmente elevato?
Allora mi aspetterò un riconoscimento da parte di qualcuno, la famiglia, gli
amici, la società, le persone che mi circondano.
Invece se vogliamo sviluppare la qualità della benevolenza e della
equanimità, due aspetti molto importanti nella pratica della meditazione,
bisogna cercare di svincolarci da tutto ciò. È essenziale partire da queste
piccole situazioni – che piccole poi non sono! – per poi procedere verso
questioni più pesanti: è come sollevare i pesi, si inizia dal poco e poi,
quando si è dovutamente allenati, si aggiungono altri chili al nostro
bilanciere.
Dunque, quando il seme dell’ira, dell’odio sta subdolamente facendo ingresso
nella nostra mente, noi ci fermiamo, lo osserviamo, creiamo uno spazio vuoto
attorno a lui, ed esso in brevissimo tempo scomparirà.
Anche qui, come nella pratica meditativa, molto importante è non giudicare
il male che fa capolino, ma solo osservarlo in modo distaccato, senza
valutarlo in alcun modo. Lo stato subito seguente a questa operazione sarà
qualcosa simile ad una quieta soddisfazione, un pacificato piacere: non ci
siamo fatti ingabbiare dalla nostra reazione automatica che genera in noi
odio al presentarsi di una certa situazione nella quale ci veniamo a
trovare; siamo riusciti a svincolarci da un funzionamento puramente
meccanico della nostra persona, abbiamo consapevolmente osservato e mutato
il nostro stato. Si fa in noi quindi chiara la sensazione che su questa via,
se perseguita, non si può che giungere ad estirpare un’abitudine malefica e
sostituirla con un’abitudine benefica.
Ogni giorno si presentano innumerevoli occasioni per esercitarsi in questo
modo. Davanti ad ognuna di esse abbiamo due possibilità: o continuare ad
essere succubi delle circostanze, comportandoci come delle macchine che a
certi input danno sempre certi output; oppure svegliarci dal nostro sonno,
scegliendo un percorso di liberazione dalla nostra angusta situazione. Cosa
scegliamo?
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