PALENQUE: L’ULTIMO STECCATO

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PALENQUE: L’ULTIMO STECCATO

di Mauro Paoletti
per Edicolaweb

Chi erano veramente i Maya e da dove venivano? Qual’è il reale significato delle incisioni della
lastra che ricopre il sarcofago di Re Pacal?
Palenque in spagnolo significa “steccato”, quello innalzato dai “conquistadores” intorno alle case
di Santo Domingo di Palenque, paese prossimo alla zona archeologica, per difendersi dagli attacchi
degli Indios.
L’antico nome era Nachan: “Gran città dei serpenti”.
A Palenque si trova il famoso tempio delle iscrizioni (620 in tutto), situato sopra una piramide
alta 65 metri, formata da nove gradini, che si vuole far corrispondere ai nove mondi religiosi dei
maya. Le cinque porte del tempio simboleggerebbero la terra, mentre la merlatura, nota come il
“pettine”, il cielo; facendo assumere al tutto la rappresentazione dell’albero della vita, più volte
raffigurato nei palazzi della città.

Nel 1952 Alberto Ruiz Lhuillier vi rinvenne una tomba, attribuita al Re Pacal (in lingua maya
“scudo”), che ne conservava ancora i resti insieme ai gioielli ed una maschera facciale di giada. Si
accorse che una delle grandi lastre di pietra del pavimento della piramide aveva una doppia fila di
fori chiusi da tasselli anch’essi in pietra, asportabili. Una volta rimossi, trovò l’accesso alle
scale che lo condussero in una camera di nove metri per sette. Sulle pareti figure in rilievo
considerate come la raffigurazione dei Nove Signori della Notte.
Nella tomba resti ossei mal conservati e più vecchi degli altri ritrovati intorno al sarcofago, lo
scheletro aveva la giada in bocca e in mano come vuole l’usanza cinese.
Il coperchio del sepolcro, una lastra di cinque tonnellate, presenta due problematiche:

1 – si trova in una stanza triangolare e risulta troppo grande, impossibile da rimuovere, incastrato
nella costruzione, tanto da far pensare che l’intero edificio fosse stato eretto dopo la messa in
opera della tomba e direttamente sulla stessa. Detta camera infatti si trova dentro un tempio più
antico sopra il quale è stata innalzata la piramide.

2 – I resti del defunto presentano un uomo alto e robusto di circa 40 anni; Pacal, che stando alla
storia visse fino a più di 80 anni.
Il personaggio, secondo le iscrizioni, sarebbe vissuto fra il 603 e il 683; ma lo studio dello
scheletro ha appurato che l’uomo sepolto non può avere più di 45 anni. La sua statura, un metro e 73
centimetri, è inoltre, venti centimetri più alta della media e il suo cranio non presenta il
caratteristico schiacciamento comune ai rappresentanti della nobiltà Maya. Mancano anche le
deformazioni dentarie caratteristiche; quindi il dubbio che l’uomo non corrisponda a quel Re Pacal
citato nelle iscrizioni. Il rinvenimento dello scheletro smentì, all’epoca, gli archeologi che non
credevano tombe le piramidi maya.

Da segnalare una curiosa notizia divulgata da “La Nazione”, il 4 giugno 1994, riguardo ad una
scoperta, a Palenque, della tomba di un dignitario Maya vissuto tra il 660 e l’800: “lo scheletro
perfettamente conservato per l’ermetica chiusura della tomba, appartiene ad un uomo di circa
quarant’anni”. Siamo di fronte ad un altro Re Pacal?
A Palenque è stata rinvenuta anche quella statuetta, molto bella, raffigurante un uomo con testa di
aquila usata per pubblicizzare la nota Mostra tenuta anni fa a Palazzo Grassi a Venezia.
Sulla Pietra del sarcofago, scoperto da Alberto Ruiz Lhuillier, si trova un disegno che secondo
Kasanzev, Daniken, Zirov, Agrest, rappresenterebbe un astronauta mentre pilota un razzo; gli
archeologi, ovviamente non sono d’accordo.

L’uomo – non vi sono evidenti segni da far supporre che sia una figura femminile – è raffigurato in
una strana posizione, tale da fornire l’impressione stia pilotando un oggetto volante; le sue mani
armeggiano su delle leve, la testa poggiata su un supporto, con il volto rivolto verso la prua, lo
sguardo vigile di chi sta osservando, il naso vicino a quello che sembra un respiratore. Davanti a
lui tubi, utensili, apparecchi, misti a simboli scolpiti alla rinfusa. Tutta la figura è protesa in
avanti con gli arti inferiori posizionati in modo da sostenere il corpo in una precisa funzione. Sul
dietro una grossa maschera che alcuni indicano come la raffigurazione del Sole, alla cui estremità
risulta evidente, per alcuni ufologi, un getto di fiamme tipico dei razzi. Curioso che le linee
aeree Messicane abbiano creato un biglietto con la raffigurazione della Lastra del sarcofago.
La prua è formata da un “Caluro Quesal”, l’uccello assunto a simbolo solare.

Dal punto di vista simbolico interessante quanto scrivono Adrian Gilbert e M. Cotterel nel Libro “Le
Profezie dei Maya”, ove illustrano un’altra teoria. Riprendendo la teoria di Cotterel, sulla pietra
è raffigurata la dea Chalchiuthlique e con lei gli Dei Tlaloc, Tonatiuh e Ehecatl. I simboli e i
disegni rappresenterebbero, in pratica, il Popol Vuh scritto; con la creazione delle razze e le loro
relative distruzioni.
Per i Maya noi apparteniamo alla Quinta creazione e questo riporta alla mente altri miti, fra i
quali “Le stanze di Dzyan”. Diversi però sono i tempi, i cieli, le epoche e le previsioni delle
catastrofi future. A quale credere dunque? Le leggende Maya, Tibetane, Sumero-Babilonesi, Cinesi,
Indù, lasciano supporre che all’inizio delle storie sia esistito un regista di origini non
terrestri, appartenente al “regno dei cieli”.
Ma quali cieli? Quelli di Sirio, di Orione, di Marduk e Thiamat; quelli da cui proveniva Rama col
suo vimana, dal quale scese la “razza dei serpenti” che creò la Quinta razza; il cielo di Jeova o
quello delle Pleiadi?
Cercando di rimanere neutrale vorrei evidenziare che lo scheletro e molto antico, il colore rosso
della pietra simboleggia la provenienza da Est, dove sorge il sole e che Otto Muck, nel suo libro “I
segreti di Atlantide”, pose in risalto la somiglianza dei tratti della maschera di giada con quelli
somatici del popolo basco, ipotizzando un’origine comune.
Forse a Palenque è stato sepolto un superstite di Atlantide?
Molte volte gli archeologi hanno inventariato, addirittura scartato, oggetti a loro sconosciuti, o
ritenuti privi di significato, solo perché riproduzioni di cose non ancora scoperte dall’umanità.
Fra questi le pile di Bagdad, le riproduzioni di lampade sui bassorilievi di Dendera, gli alianti
egizi, gli aerei di Bogotà. Non a caso guardando i manufatti Maya sono moltissimi i riferimenti al
volo.

Altri bassorilievi hanno fornito rappresentazioni di oggetti comuni alla nostra attuale civiltà,
anche se rappresentati con infiorettature; quanto meno non attribuibili a simbolismi religiosi. Le
immagini che l’occhio trasmette al cervello hanno richiami e forme precise nella nostra mente;
quindi, se talvolta non ne sappiamo fornire l’esatta definizione, è a causa della distorsione
d’immagine che si viene a creare, oppure perché ciò che stiamo guardando non fa ancora parte del
nostro bagaglio informativo.

I documenti affiorati dal passato sono pieni di nozioni astronomiche, scientifiche, matematiche,
mediche che non ritenevamo conosciute e praticate migliaia di anni fa, prima della loro
“riscoperta”.
Adrian Gilbert attacca Daniken affermando: “…non c’era nulla in Messico che suggerisse che a
quell’epoca, lui o chiunque altro avesse visto una navicella spaziale, per non parlare di
guidarla…”. Non basiamoci però sul presupposto della non esistenza perché all’epoca non era stata
ancora inventata dall’uomo. Ricordiamoci degli avvistamenti dei cosiddetti “scudi ardenti” e delle
“travi”. Obbiettivamente nessuno può affermare oggi, con matematica certezza, che in Messico, nel
680 d.C., o in tempi precedenti o successivi, qualcuno abbia, visto o non visto, una navicella
spaziale, o qualsiasi altro oggetto levarsi in volo; per il semplice fatto che non era presente.

Curioso che nel libro si riporti la storia di Ordonez sulla fondazione di Palenque, ad opera di
Votan, che aveva come simbolo un serpente, e della sua gente. Si racconta che indossavano lunghe
tuniche. Era il dio che i Peruviani chiamavano Guatan, ovvero “vento a turbine”. Gli spagnoli nei
racconti hanno affermato di aver visto molte statue che lo raffiguravano.
Conosciuto anche in Guatemala, presso gli Aztechi e gli Zapotechi. Odino, il dio del Walhalla e
delle Walchirie che guidavano le anime degli eroi, veniva chiamato Wotan. Nel pantheon germanico con
Odino si trova la Dea Frigg la quale inviò l’ancella “Gna” in diversi mondi.
Gna utilizzò per il viaggio “il cavallo magico scalpitante” che viaggiava sopra la terra e i mari
innalzandosi in aria. In un passo di questa storia si legge:”Gna incontrò in aria alcuni Wanan
stranieri… il nordico Thor col suo martello tonante è il signore dei Wanan che rendono insicuri
gli spazi aerei”.

Thor, Wotan, Odino, Lug della tribù di Danan dio dei Celti, tutti di origine misteriosa; quali
collegamenti con il Votan del popolo Maya? Si dice che nel significato della parola in lingua Chivim
è nascosta la provenienza. Perché Votan proviene da Valum Chivim? Votan intraprende, in tempi
brevissimi, quattro viaggi, che all’epoca dovevano durare mesi. Non suscita curiosità conoscere il
mezzo di trasporto usato, o i tempi realmente trascorsi da un viaggio all’altro, anche per chi, come
Gilbert, esclude veicoli spaziali in quell’epoca, ma, in piena contraddizione, intravede porte
stellari e il racconto di una distruzione cosmica incisa sulla lastra di Palenque?
Come si può incidere su di una lastra di pietra delle figure, pensando che sovrapponendole in
combinazioni diverse, si otterranno altre figure e simboli e che, chiunque la ritroverà, potrà
leggervi la storia incisa su di essa perché adotterà lo stesso sistema di lettura?
Questo è quanto scrive Gilbert continuando nelle sue contraddizioni; difatti per lo scrittore era
naturale concepire un simile sistema per un popolo più avanzato di noi quale quello di Palenque. Per
citare le sue parole: “Se non usavano la ruota significa che non ne avevano bisogno. Con la nostra
arroganza ci si aspetta che l’equipaggio di una navetta spaziale ricorra alla bicicletta”. Secondo
Gilbert, che per dimostrare la sua teoria si è servito di fotocopie acetate facilmente
sovrapponibili, i Maya potenziavano le loro capacità di ragionamento deformando il cranio.

Lo facevano anche per rendere la testa simile a quella del serpente. Ai bambini della nobiltà veniva
appiattita la testa per entrare a far parte dei Chanes come si definivano; cioè Serpenti.
Nell’architettura, nei costumi, nelle arti, nelle decorazioni, nelle costruzioni è ripetuto il
motivo di riquadri intrecciati che comprendono un disegno a croce, ritrovabile sulla pelle del
Crotalo Durissus Durissus, rettile tipico dello Yucatan, chiamato Gran Signore Serpente.
I maya conoscevano molte cose: per esempio sapevano predire le eclissi e le tavole per effettuare
tali calcoli sono visibili nel Codice Dresda.
Sempre in tale codice si trova un numero considerato speciale: 1.366.560 che Cotterel ha riottenuto
moltiplicando i cicli temporali usati da quel popolo, compreso quello di 260 giorni che non viene
mai menzionato, per il numero nove corrispondente ai mondi religiosi.

144.000 x 9 = 1.296.000
7.200 x 9 = 64.800
360 x 9 = 3.240
260 x 9 = 2.340
20 x 9 = 180

totale = 1.366.560

Tale numero è prossimo a quello che indica il ciclo delle macchie solari che è 1.366.040.
Dagli studi effettuati da Cotterel sarebbe inoltre emerso che nei periodi di intensità delle macchie
solari si producono molti ioni che si addensano nelle fasce di Van Allen creando una protezione per
le radiazioni cosmiche e producendo il C14 (Carbonio 14).
I raggi cosmici trasformano atomi di azoto in C14 radioattivo. Nel tempo questa radioattività
diminuisce e quindi si possono datare le cose. Ma il C14 non è costante a causa dei raggi cosmici
che influiscono sugli atomi si azoto. Ne deriva che in periodi di intensa attività solare abbiamo
meno C14 e più macchie solari che coincidono con la nascita di civiltà potenti e un aumento
culturale. Al contrario nella fase di scarsa attività solare si riscontra una diminuzione delle
nascite e un declino culturale.

Se noi annotiamo che la variabilità dei campi magnetici influenza il sistema endocrino ed ha un
effetto diretto sul bioritmo e la fertilità umana la cosa diventa intrigante.
A Palenque le teste scolpite, ritenute raffigurazioni di Pacal, presentano in tre punti, tre fiori;
unendoli con delle linee rette si scopre che evidenziano la regione ove risiede l’ipotalamo. Gilbert
suggerisce che i fiori, somiglianti a fontane, erano in realtà oggetti di natura magnetica capaci di
potenziare la comunicazione degli emisferi cerebrali. Tutto questo ci conduce ai “rapimenti alieni”,
agli oggetti estratti dal dottor Derrel Sims dai corpi degli addotti, alla “Tecnica del dottor Jho”;
qui ci fermiamo…

I Maya sembrerebbero stati capaci intellettualmente di usare il loro cervello come un computer,
ordinando l’accumulo delle informazioni in un emisfero neurale; nei processi informatici un
programma può immagazzinare dati in memorie separate per processi indipendenti. Chi erano veramente
i Maya e da dove venivano, e quale, allora, il reale significato delle incisioni della lastra di
Palenque?

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